Delia Morea
A proposito di "Una furtiva lacrima”

Clinica Santanelli

L'esordio narrativo del grande drammaturgo napoletano Manlio Santanelli è nel segno dell'ironia vagamente surreale: il suo primo romanzo è una riflessione semiseria intorno alla morte. E alla possibilità di esorcizzarla con le parole

Una furtiva lacrima (GM Press edizioni – pp. 241, euro 15,00), è il primo romanzo “corposo” di Manlio Santanelli, drammaturgo di origine napoletana di chiara fama (tra le sue opere più importanti ricordiamo Uscita d’Emergenza, Regina Madre, Disturbi di memoria, Il Baciamano, L’Aberrazione delle stelle fisse, Bellavita Carolina, ecc.) pluri insignito d’importanti premi teatrali (tra cui il Premio Idi, il Premio Speciale della Critica), tradotto e rappresentato all’estero svariate volte, nel 2005 la casa editrice Bulzoni ha dato alle stampe un volume che contiene sei delle più importanti sue commedie che ha per titolo “Manlio Santanelli – Teatro”. Santanelli, comunque, da un po’ di anni affianca l’attività di drammaturgo a quella di narratore: ha pubblicato tre raccolte di racconti brevi e due racconti lunghi (La Venere dei Terremoti, Per oggi non si cade).

Una furtiva lacrima è dunque il suo primo vero romanzo per lunghezza e struttura, infatti lo stesso Santanelli, con la grande ironia e l’arguzia che lo contraddistinguono, in calce alla parola “fine” annota: «ringrazio la sorte che mi ha permesso di scrivere il mio primo romanzo alla rispettabile età di settantacinque anni». In un momento storico dove c’è spesso un esagerato proliferare di scrittori, a fronte di un calo considerevole di lettori, Santanelli si tuffa nella mischia e lo fa con la sua grande arte nel maneggiare le parole, nel costruire trame, insomma con la raffinatezza della sua articolata scrittura.

Consegna al lettore un romanzo interessante per la tematica che affronta ma soprattutto affascinante per la continua incursione in una struttura complessa che, come accade per le sue opere teatrali, ricorda forme letterarie di grande modernità, come ad esempio il Teatro dell’Assurdo. Ma il romanzo che ha un respiro più ampio, allarga la sua visuale e si compone in un affresco moderno, appunto, che si fa leggere con grande interesse.

Ci inoltriamo nel romanzo di Santanelli pensando a Buzzati, alla sua metafisica ricerca del surreale, del fantastico. Così Santanelli, pur costruendo una trama importante per l’argomento che affronta, non perde il passo con l’incursione nel surreale, in una certa leggerezza del vivere, il tutto venato da una grande ironia, dal guardare oltre gli accadimenti, oltre la vita e la morte.

Si racconta del rapporto tra un maestro e un allievo, da sempre importante binomio per affrontare l’esistenza e al giorno d’oggi spesso attraversato da una profonda crisi. Giorgio, con il pallino del cinema, è riconoscente al suo maestro Tarquinio, un regista che ha conosciuto tempi d’oro ed è stato insignito di alcuni premi per i suoi film, specie in Brasile, e lo raggiunge in una clinica della Provenza dove questi è ricoverato perché colpito dal male del secolo.

Giorgio compie una specie di “viaggio della speranza” che si concretizzerà in un lungo soggiorno vicino all’amico-maestro, per portagli assistenza ma anche la voglia di crederci, di potercela fare. Durante la sua permanenza in Francia, accanto a Tarquinio, in questo paesino appartato ma famoso in ragione della clinica, Giorgio compie anche una specie di viaggio all’interno di se stesso, all’interno delle sue ragioni del vivere e conosce una serie di persone, i cui caratteri sono descritti da Santanelli in maniera precisa e accattivante, che gli daranno un senso ancora maggiore dell’esistenza, tra questi l’infermiera Mireille che sarà personaggio chiave nell’economia della storia.

Un finale a sorpresa conclude un romanzo che apre molte strade e diventa, anche contenitore di altre storie inserite da Santanelli: racconti, soggetti cinematografici, con i quali si cimenta Giorgio durante la permanenza nella clinica, ad esempio, che arricchiscono, come un gioco di scatole cinesi, la narrazione.

L’ironia di Santanelli non si ferma, è sempre presente in tutto il romanzo, infatti alcuni capitoli hanno addirittura la scritta “facoltativo”, proprio nel senso della parola, e sono riflessioni dello scrittore, che diventa voce narrante esterna ma presente, sulla storia e che, come dice, sono facoltativi, possono anche saltarsi ma a maggior ragione invece vanno letti, per la curiosità che destano. Un romanzo articolato, interessante, che affronta il tema della morte con la naturalezza del quotidiano, come un accadimento ineluttabile guardato forse con distacco o forse con quell’esercizio di leggerezza che sembra allontanarlo o esorcizzarlo anche se alla fine si compie. Un romanzo da leggere.

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