Sergio Buttiglieri
Al centro sociale “Officina Giovani” di Prato

Cinico Babilonia

Il nuovo spettacolo di Babilonia Teatri, "Calcinculo" è una provocazione costante che fa il verso al nuovo suprematismo in politica, nella vita quotidiana e nella gestione dei desideri e delle illusioni

Calcinculo è il titolo del nuovo lavoro di Babilonia Teatri, compagnia attiva da molti anni sulla scena alternativa. Come dimenticare il loro irriverente Pornobboy del 2008 o l’altrettanto caustico Made in Italy del 2009? La Compagnia fu fondata nel 2005 da Enrico Castellani e Valeria Raimondi. Nei loro testi è sempre presente una riflessione non convenzionale del nostro caotico tempo. Un impietoso ritratto degli italiani, del nord est in particolare – area geografica da cui loro provengono realmente – tra il pop, il rock e il punk. In Calcinculo hanno introdotto a sorpresa il canto per svelare meglio le loro irrinunciabili litanie dissacranti. Un canto che Valeria Raimondi a più riprese interpreta visceralmente e che poi Enrico Castellani contrappunta con il suo ritmo apodittico.

Uno dei temi clou è il racconto ansioso della paura che ci pervade ogni volta che si torna a casa, ossessionati, complici anche i media programmaticamente ansiogeni, dall’intrusione dei ladri. Una paura che ci fa rinchiudere anche i nostri figli nelle loro camerette, sedati di videogiochi, di chat e youtube. Enrico Castellani ci fa percepire la paura dell’essere violati in casa, associata alla paranoia dell’igiene, come quando anche si dorme in un Hotel e tutto ci pare assolutamente da igienizzare. Queste paranoie del quotidiano ci vengono rinarrate da Valeria Raimondi mentre si dondola sul seggiolino del calcinculo: «La mia depressione fa l’orario continuato, ho chiesto il part time e non me lo hanno dato: mi sono suicidato».

Enrico incalza nuovamente con il rumore fastidioso, quanto paradigmatico, delle periferie residenziali del nordest disseminate di villette in cui domina il rito sacrale del benessere, materializzato nei tosaerba in azione tutte le domeniche che si incarnano con dedizione sui loro prati acquistati arrotolati perché più vicini a quelli ideali dei prati inglesi; ci srotola i pensieri dei suoi abitanti che non staccano la mente dai bonus famiglia, dai bonus cultura, dagli 80 Euro, e ora dal reddito di cittadinanza. Una sorta di tagliando dei loro ideali.

I Babilonia teatri instancabilmente ci raccontano un’Italia disorientata che indossa magliette un giorno con Che Guevara fronte retro, un altro giorno con i No Logo, un altro, diremmo noi, molto di moda recentemente, con «prima gli italiani». «Senza manutenzione non c’è rivoluzione» ci gridano e ci cantano questa inimitabile coppia teatrale.

Lui a questo punto inaspettatamente fa sfilare davanti a noi una serie di cani accompagnati dai loro padroni. Un defilè emblematico di come gli animali siano stati da noi trasformati in oggetti di culto. E il vincitore della sfilata sarà naturalmente deciso solo da lui perché «il nostro tempo non ha bisogno di decisioni collettive». «Mi manca un senso di appartenenza globale. La provincia non è poetica. Il mio vicino ha voce solo per bestemmiare. Come cavalli pestiamo il mondo. L’orrido è post, più che post, come quello che sto per postare.

solo dialetto sento parlare»: ci riversano addosso i due, ritraendo un Italia a noi purtroppo famigliare.

E sulla scena in contemporanea appare l’altro loro attore che da sempre li accompagna, il bravo Luca Scotton, questa volta con una scritta luminosa a led che trasmette uno dopo l’altro questi claim che tutti noi sentiamo o vediamo ogni giorno: you can fuck, you can eat, you can drink. E via con la classica frase da bar: «Il cinese lo spritz non lo sa fare». Mentre, sempre lui, affannosamente, si getta a cogliere la coda della volpe del lunapark forse per vincere l’ennesimo giro sul “calcinculo”. Parafrasi efficace di tutti i desideri che ci vengono inculcati ogni momento da una società programmata per consumare, per spendere anche se di soldi non se ne vedono tanti. L’importante è ubriacarci di desideri.

Questa indignazione gli fa proclamare (ma per fortuna non sarà vera, basta vedere il loro sito con i loro spettacoli in programma fino al 2020) la decisione di smettere di fare teatro. «C’è gente che ha un immenso talento, che raggiunge livelli inarrivabili, io getto la spugna». Fino a deformare paradossalmente la famosa frase della tolleranza trasformandola paradossalmente in: «Io non condivido le tue idee, ma sono disposto a ucciderti pur di difendere le mie idee».

I terroristi, prosegue ancora più paradossalmente Enrico Castellani, vestito di un giubbotto sintetico ultra colorato, con i leoni fronte retro della repubblica veneta, «sono dei grandi attori che hanno letteralmente fatto le scarpe a tutti gli uffici stampa planetari, conquistando pagine su pagine nei maggiori media. Il mio ufficio stampa lo darei all’ISIS, loro sanno compiere azioni mirate e sanno riproporcele in streaming».

L’elenco dei pensieri che coltiviamo quotidianamente, durante le nostre giornate affannate, prosegue seguendo la loro consolidata cifra stilistica: «L’odio rinnega il sangue misto, io ora sparo, sono solo pancia. Niente retorica, dimenticare è il mio miraggio. La guerra è estetica, è adrenalina, ti fa stare bene, devo uccidere per respirare». E qui, nel momento che loro chiamano romantico,  invadono la scena gli sbandieratori  mentre ci ricordano che «io sono la mia pubblicità migliore. Gli autogrill dopotutto sono come la nostra moschea, la noia fa rima con gioia. Ti offro un giro in calcinculo con un gettone, così potrai avere i tuoi (nostri?) desideri ancora a portata di mano». «Di tutto ciò che sogno non c’è niente di cui ho bisogno».

Fino al gran finale con un gruppo di alpini stagionati che saltano sul palcoscenico per cantarci: «Non riesco a misurare la realtà: sono rimasto senza unità» e con questo finale corale i Babilonia ci salutano con il loro necessario, disincantato “cinismo teatrale».

Visto al centro sociale “Officina Giovani” di Prato.

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