Alessandra Pratesi
Visto al Teatro Eliseo di Roma

Quando il Diavolo ci mette le corna

Prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria, presentato in prima nazionale al Teatro Cucinelli di Solomeo, ora è al Teatro Eliseo di Roma: “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov nell’adattamento firmato Letizia Russo (testo) e Andrea Baracco (regia). Un Michele Riondino in uno stato di grazia è Satana

Il Maestro e Margherita dà le vertigini. Il testo di Bulgakov è un classico della letteratura russa e mondiale, un monumento dell’ingegneria letteraria per la densità dei riferimenti storici, culturali e satirici, per la sovrapposizione di filoni narrativi e di intonazioni, per l’alternanza di alto e basso, tragico e comico, bene e male, ragione e sentimento. L’adattamento per il teatro che ne fa Letizia Russo non è da meno: dà i brividi per la compiutezza, l’incisività e l’equilibrio della concezione drammaturgica. Il senso del teatro e del racconto della Russo le consente di scegliere i momenti di maggiore interesse, eloquenza e tensione drammatica. La sua maestria nel modellare storia e temperatura emotiva del racconto rende l’adattamento del Maestro e Margherita un capolavoro di cesello della parola scenica.

Michele Riondino nel ruolo di Woland/Satana? Divino. Woland è il risultato di un cocktail effervescente ben shakerato che gioca sull’immaginario di un pubblico educato al cinema, mescolando il Joker di Heath Ledger (nel Cavaliere Oscuro) o il Rumpelstiltskin/Mister Gold di Robert Carlyle (in Once Upon a Time). Dai cinici e dissacranti acuti strillati e strozzati, alle profondità perturbanti e ambivalenti, dal tono persuasivo alle movenze seducenti, è incredibile la varietà di sfumature raggiunta dal lavoro sulla voce e sulla mimica facciale, sulla gestualità e sull’andatura che trasfigurano l’attore nel personaggio più del trucco e del costume. Come Roberto Bolle nell’interpretare Quasimodo ne Il Gobbo di Notre Dame di Roland Petit, Riondino riesce a mantenere il passo claudicante, il ghigno malefico e la voce graffiante per tutta la durata dello spettacolo.

Promossa con la sufficienza piena la coppia Francesco Bonomo e Federica Rosellini: l’uno impegnato nel doppio ruolo del Maestro e dell’eroe epigono del romanzo manoscritto, ovvero Ponzio Pilato; l’altra una Margherita languida e ossessionata che diventa magnetica nella scena di trasformazione in strega mentre si dimena e urla nuda su un’altalena. Meritevole di menzione l’esilarante duo comico formato da Michele Nani e Diego Sepe nei ruoli di Varenucha e Rimskij.

Impreziosisce l’insieme la regia di Andrea Baracco. I cambi di scena si succedono senza soluzione di continuità, in un turbinio narrativo e in un moltiplicarsi di personaggi e situazioni. Lo spettatore è rapito e ammaliato e i 160 minuti volano. L’impianto scenico è supportato da una scelta visiva tanto minimale quanto efficace. Compongono la scena (a cura di Marta Crisolini Malatesta) nude pareti in lavagna nera con murales/graffiti in gesso bianco e con porte che si aprono trasformando la scatola scenica in un luogo mentale, in una grande allucinazione. Di particolare effetto la scena del tram, dove il buio funzionale al cambio scena e al riposizionamento degli attori è generato con l’eccesso di luce dei fanali che abbagliano il pubblico. Le musiche originali di Giacomo Vezzani scandiscono, accompagnano, anticipano i passaggi di scena, compongono e scompongono il contesto spazio-temporale. Da una parte violoncello e fisarmonica ricreano un’atmosfera anni Trenta quando la vicenda ha luogo nella Mosca sovietica; dall’altra un ritmo tribale e arcaico sposta la storia all’epoca della crocifissione di Gesù. 

È proprio vero, Devil is in the details.

(Ph. Guido Mencari)

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