Francesco Arturo Saponaro
Notizie dal Festival della Valle d’Itria

Händel cantato da Freddy Mercury

A Martina Franca due “recuperi” di qualità: il “Rinaldo” nella versione napoletana del 1718, con i personaggi curiosamente assimilati alle grandi rock-star, e “Giulietta e Romeo”, opera attraente e ben congegnata del 1825 di Nicola Vaccaj

Fedele alla propria missione – gettare più luce sulle opere del Barocco e del Belcanto, fino ai primi decenni dell’Ottocento – il 44esimo Festival della Valle d’Itria, a Martina Franca, ha marcato ancora una volta un segno identitario. Tra le proposte di quest’anno, il Rinaldo di Georg Friedrich Händel (1685-1759); l’opera apparve nel 1711 al Queen’s Theater di Londra con enorme successo. Ma l’unicità dell’attuale ripresa sta nell’aver allestito la versione napoletana del Rinaldo, datata al 1718, per la prima volta in epoca attuale. L’interprete protagonista di Rinaldo, il castrato partenopeo Nicolò Grimaldi detto Nicolino, autentico astro della scena lirica londinese, nel 1718 fece ritorno a Napoli, recando con sé una copia della partitura, all’insaputa di Händel.

Qui, Nicolino affidò la musica a Leonardo Leo – uno dei nomi illustri della scuola operistica napoletana – affinché la adattasse al gusto e alle esigenze del luogo. Leo rielaborò l’originale anche con l’inserimento di musiche attinte da altri autori: era la pratica del “pasticcio teatrale”, termine che all’epoca non aveva quell’alone negativo che assume agli occhi nostri. Il pubblico di allora, infatti, non guardava alla coerenza drammaturgica delle opere liriche, ma piuttosto cercava la bravura vocale, e idolatrava gli interpreti virtuosi, come i castrati, proprio per le loro arie acrobatiche. Ottenne molto consenso, sappiamo, questa versione napoletana del Rinaldo. Ma la musica non era mai stata trovata, e la si riteneva perduta, quando nel 2012 ne è riemersa la partitura, incompleta, nel castello inglese di Longleat House. Il musicologo Giovanni Andrea Sechi ha lavorato alla ricostruzione, in parte ottenuta con l’interpolazione di vari pezzi dell’epoca, attinti da altri lavori.

Singolare la messa in scena, nel cortile di Palazzo Ducale. Perché il regista Giorgio Sangati ha assimilato i personaggi alle odierne grandi stelle del pop-rock-black metal. Perciò i costumi di Gianluca Sbicca hanno vestito i cantanti da Freddie Mercury, Cher, Madonna, Elton John, Gene Simmons dei Kiss, David Bowie. Una provocazione limitata agli abiti, perché poi la regia si è sviluppata su schemi vivaci ma regolari, con qualche idea più ricercata qua e là, nella scenografia di Alberto Nonnato con luci di Paolo Pollo Rodighiero. Eccezionale la resa del cast, com’è tradizione a Martina Franca. Nel ruolo del titolo, e quindi negli abiti maschili di Rinaldo/Freddie Mercury, il mezzosoprano Teresa Iervolino ha sfoggiato una linea di canto perfetta nel timbro morbido e avvolgente, nell’intelligenza musicale e interpretativa, nella pulizia stilistica, nella proprietà degli accenti drammatici. A livello altissimo anche il soprano Carmela Remigio/Armida/Cher, col suo avvincente velluto vocale, il fraseggio attento alle sfumature, la presenza scenica, i passaggi di agilità senza la minima forzatura.

Di ottima qualità le altre voci: espressiva e duttile Loriana Castellano, mezzosoprano nei panni di Almirena, così come convincente e incisivo, sia vocalmente sia scenicamente, è risultato il contralto Francesca Ascioti come Argante, mentre il mezzosoprano Dara Savinova si è disimpegnato con bella eleganza nella parte di Eustazio. Il tenore Francisco Fernández-Rueda, Goffredo, dopo qualche incertezza nell’aria a fine primo atto, si è degnamente ripreso nel prosieguo. Lodevoli gli allievi dell’Accademia “Rodolfo Celletti”: Dielli Hoxha, Araldo, Kim-Lilian Strebel, Spirito in forma di donna, Ana Victória Pitts. Nei due ruoli buffi, molto bene gli attori Valentina Cardinali e Simone Tangolo. Puntuale e raffinata la direzione d’orchestra di Fabio Luisi, che ha condotto la compagine svizzera “La Scintilla“ a una prova eccellente, e ha governato con netta limpidezza di pensiero i molteplici profili della partitura, sostenendo il canto con polso discreto, anche se qualche scatto più energico, in alcuni momenti, non avrebbe sfigurato.

Altro interessante recupero è stata la proposta di Giulietta e Romeo, opera del 1825 di Nicola Vaccaj (1790-1848), che si pose nella scia di altre, precedenti messe in musica della tragedia shakespeariana. Vaccaj compose in tutto una decina di opere, guadagnandosi buona fama ai suoi tempi. Ma il suo astro non brillò a lungo, semplicemente perché nell’arco di pochi anni si affermarono altri autori che si chiamavano Bellini, Donizetti e poi Verdi… Questa Giulietta e Romeo si è rivelata un’opera attraente e ben congegnata, che ai suoi tempi godé di ampio e meritato successo. Tutto il delicato ingranaggio della successione di arie solistiche, recitativi, pezzi a più voci, momenti corali e orchestrali, procede con mano sicura ed esperta dei meccanismi del teatro musicale, disegnando un sagace ritmo drammaturgico. I percorsi vocali tratteggiano i personaggi con elegante mestiere, tra passi più cantabili e momenti di virtuosismo; navigata e sapiente appare anche la scrittura orchestrale, ben articolata e mai sovrastante le voci.

Sesto Quatrini, sul podio dell’Orchestra Accademia della Scala e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati, dispiega un attento, ineccepibile lavoro di concertazione e direzione d’orchestra. E occorre dire che è apparso ben riuscito l’impianto scenografico di Alessia Colosso, nel quale la regia di Cecilia Ligorio ha costruito un progetto efficace. Soprattutto, molto apprezzabile la compagnia di canto, nella quale spiccava il soprano spagnolo Leonor Bonilla, nel ruolo di Giulietta. Mezzi vocali di spiccata espressività, stile sicuro in ogni registro, acuto o grave, Leonor Bonilla ha sfoggiato qualità ammirevoli anche nel gusto, con un legato morbido e caldo, e una credibile presenza scenica. Molto bravo, anche se un po’ debole nel grave, anche il mezzosoprano Raffaella Lupinacci, Romeo “en travesti” come d’uso all’epoca, che ha esibito bella varietà di accenti e di sfumature interpretative, e un particolare colore vocale. Positiva anche la prova del tenore Leonardo Cortellazzi, Capellio: bel timbro, omogeneo anche all’acuto, accompagnato a un fraseggio sempre appropriato e intenso, e altrettanto incisiva la prova attoriale. Lodevoli il soprano Paoletta Marrocu, Adele madre di Giulietta, perfettamente in parte, e il basso Vasa Stajkic, Tebaldo, mentre bella personalità sia vocale sia scenica ha contrassegnato la partecipazione di Christian Senn, accorato e convincente Lorenzo.

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