Cristina La Bella
A proposito di "Racconti senza frontiere"

Italiani da viaggio

Gremese ripubblica i racconti di viaggio nati da un progetto che metteva in relazione gli scrittori italiani con gli studenti della nostra lingua sparsi nel mondo

Viaggiare alla ricerca di se stessi, viaggiare per conoscere nuove culture, viaggiare per buttarsi alle spalle un passato pesante. Viaggiare con la fantasia o per davvero, viaggiare in auto o in aereo, a piedi o facendo l’autostop. Viaggiare per sentirsi liberi, viaggiare per trovare il proprio posto nel mondo, viaggiare per avere qualcosa da ricordare, da raccontare. Quest’è l’anima di Racconti senza frontiere, una raccolta pubblicata dalla casa editrice Gremese nella collana “Le Girandole”, diretta da Silvana Cirillo, docente di letteratura italiana contemporanea alla Sapienza di Roma, che vanta nel comitato di redazione critici, giornalisti e scrittori autorevoli come Paolo di Paolo, Filippo La Porta, Tommaso Pomilio e Christian Raimo, impegnati a promuovere una narrativa di qualità. Racconti senza frontiere nasce una quindicina di anni fa: si trattava di un progetto corale, a cui parteciparono una decina di narratori, uno per ogni anno, con un racconto inedito manchevole però del finale, il quale veniva poi terminato dagli studenti delle scuole secondarie italiane nel mondo, con il coinvolgimento dell’Accademia della Crusca e del Ministero degli Affari Esteri. Inutile dire che l’iniziativa raccolse parecchi consensi e coinvolse più di cinquantamila giovani italiani e stranieri.

Quest’idea così originale e cosmopolita, volta a favorire la nostra lingua e cultura all’estero, ne ha suggerito un’altra: raccogliere e riproporre insieme tutti quei racconti – che venivano pubblicati singolarmente ogni anno nella collana Gli Spilli della stessa Gremese – proprio per mostrare al lettore la ricchezza della narrativa breve italiana degli ultimi anni.

I racconti, undici in tutto, portano la firma di Alberto Bevilacqua, Giuseppe Bonaviri, Vincenzo Consolo, Alessandra Lavagnino, Nicola Lecca, Carlo Lucarelli, Dacia Maraini, Dante Marianacci (che ha curato anche la prefazione al volume), Raffaele Nigro, Aurelio Picca e Carlo Sgorlon. Comun denominatore è il tema del viaggio, unito a quello della memoria, intesa non solo come patrimonio individuale, ma collettivo. Ne viene fuori una variegata galleria di personaggi: gli studenti universitari Susetta e Settimio, protagonisti de Il vento d’argento di Bonaviri, affascinati dal misterioso vento che soffia lungo le rive del Po, le ragazzine Irene, di origine italiana, e la piccola egiziana Nur del racconto Il maestro delle colombe della Lavagnino, legate da un’autentica amicizia, o Margaret, la maestra delle elementari di Bolungarvìk di Nicola Lecca, che con la sua auto sfreccia da una parte all’altra dell’Islanda per non pensare alla amara scomparsa del padre e del fratello. Perché sono storie di dolore, di solitudine, di abbandono, ma anche di amore, di desiderio di riscatto, di profonda umanità, a comprovare che spesso e volentieri a salvarci nella vita è la tenerezza. Fiabesco è il racconto di Dacia Maraini, Berah di Kibawa, che narra con delicatezza e candore la vicenda di una bambina della Tanzania, che in uno sperduto villaggio senza acqua né luce, sogna di conoscere il mondo e di raggiungere l’Italia, in particolare Roma, culla di arte e storia: «Berah sa che la madre preferirebbe che lei rimanesse a casa a preparare la birra di miglio e a battere l’ignam anziché andare a scuola, ma sa anche che ammira la sua cocciutaggine e la sua determinazione a imparare». Né mancano antecedenti letterari: così Il segreto della moglie scomparsa di Bevilacqua ricorda Luigi Pirandello per il tema del doppio e della conseguente crisi di identità; L’utopia della città felice di Nigro il labirintico piano di creare un posto fantastico fatto di libri e viaggi alla maniera di Jorge Luis Borges; e ancora Il bambino del faro di Lucarelli – che è scandito dall’espressione che suona quasi lapidaria «un faro è un punto fermo. Una cosa che c’è. Che sta lì e non si muove!» – il quale per il dialogo di un solitario giramondo con un bambino venuto dal nulla richiama alla memoria quello della Natura e di un islandese di Giacomo Leopardi.

Un libro che senza retorica vuole creare ponti laddove qualcuno si ostina a costruire muri, un libro che educa a non aver paura dell’altro, di chi non si conosce, dello «straniero», un libro che lascia, una volta concluso, un prezioso insegnamento: viaggiare è il miglior modo per poter scoprire cose nuove di noi stessi. E quando materialmente non si può, la letteratura sa essere un efficace rimedio, la più felice delle cure.

 

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