Raffaella Resch
In mostra al Museo MAN di Nuoro

Il Futurismo delle donne

L’esposizione fa luce su un fenomeno dibattuto, a partire dal “Manifesto” di Marinetti che teorizzava «il disprezzo della donna». Così si scoprono personalità spiccate e indipendenti che rappresentano figure poliedriche di intellettuali di primo piano dell’arte del ‘900

La presenza e l’attività delle donne nell’arte del ‘900 è stata messa in luce da diversi studi a partire dalla fine degli anni 70 (Simona Weller, Il complesso di Michelangelo. Ricerca sul contributo dato dalle donne all’arte italiana del Novecento, La Nuova Foglio Editrice, 1976; Lea Vergine, L’altra metà dell’avanguardia. 1910 – 1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, Mazzotta, 1980; e altri contributi tra cui ricordiamo quelli di Simona Bartolena; Mirella Bentivoglio; Giancarlo Carpi; Martina Corgnati; Pier Paolo Pancotto; Anna Maria Ruta; Claudia Salaris; Franca Zoccoli). Al di là dell’intenzione di scoprire un genere, uno specifico femminile in arte, sono state compiute ricognizioni storico critiche che hanno portato o riportato in luce personalità eccezionali, opere non di rado di altissimo valore, esistenze dalle trame spesso complesse, di cui prima si ignoravano le date di nascita e di morte, e ci hanno restituito un panorama verosimile dell’arte delle donne nelle avanguardie, fino a quel momento rimasto in secondo piano.

Un caso ancora aperto, controverso e provocatorio, è il ruolo delle donne nel futurismo, movimento programmaticamente misogino, che fin dalla sua fondazione proclama una visione della donna come essere da disprezzare e costruisce una visione dell’arte totalizzante su valori quali la forza, la velocità, la guerra, da cui il genere femminile sembrerebbe dover rimanere escluso («Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna», Manifesto del futurismo, 1909). Lo stesso Marinetti sente l’esigenza di replicare alle violente critiche ricevute dopo la pubblicazione del Manifesto, e spiega la sua retorica antisimbolista nella prefazione a Mafarka il futurista (romanzo uscito nel 1910 a Parigi): «…non discuto già del valore animale della donna, ma dell’importanza sentimentale che le si attribuisce. Io voglio combattere l’ingordigia del cuore, l’abbandono delle labbra semiaperte a bere la nostalgia dei crepuscoli […] io voglio vincere la tirannia dell’amore, l’ossessione della donna unica, il gran chiaro di luna romantico che bagna la facciata del Bordello!».

Nella pressoché totale assenza di mostre su questo tema, se non per le esponenti più famose (come Benedetta, Barbara, Regina, Marisa Mori), il progetto ora esposto al Museo MAN di Nuoro – L’elica e la luce. Le futuriste. 1912-1944si fa carico di rintracciare l’operato di una vera e propria moltitudine di donne futuriste che hanno lavorato in seno al movimento dagli anni 10 fino agli anni 40, firmando i manifesti teorici, partecipando alle mostre, sperimentando innovazioni di stile e di materiali nelle arti visive e applicate, nella fotografia e nel cinema, ma anche nella danza, letteratura e teatro. Personalità spiccate e indipendenti che, a tutti gli effetti, rappresentano figure di artiste e di intellettuali di primo piano dell’arte del ‘900. Vicende a volte spregiudicate e bizzarre (esemplare la biografia di Valentine de Saint-Point), più spesso trascorse in sordina rispetto alle cronache, qualche volta passate inosservate dalla critica a loro coeva, o assorbite dall’anonimato della vita famigliare (Leandra Cominazzini Angelucci) o cancellate dalle guerre (Alma Fidora, la cui biblioteca e archivio di documenti sono andati distrutti durante i bombardamenti), o artiste totali come Rosa Rosà (Edith von Haynau, lavora per «L’Italia futurista», scrive, dipinge, illustra libri, crea ceramica, realizza sculture, si propone come artista totale secondo il proclama futurista, studia la metapsichica e l’occultismo, per cui anche il Manifesto della scienza futurista aveva dimostrato interesse).

Il progetto prende quindi le mosse dal Manifeste de la femme futuriste, pubblicato a Parigi da Valentine de Saint-Point il 25 marzo 1912, in risposta alla Fondazione e Manifesto del futurismo di Marinetti del 1909, e presenta oltre cento lavori realizzati in ambito futurista, fotografie originali, documenti. Oltre a dipinti, disegni e acquarelli, vi sono oggetti come arazzi, sculture, gioielli, che illustrano una vena particolare delle nostre artiste, dedite alle arti applicate, al tessuto, all’uso del metallo e in generale a una sperimentazione polimaterica e multidisciplinare, nel campo delle arti figurative, ma anche letterarie e coreutiche. La scoperta, o per meglio dire, la riscoperta del lavoro delle artiste si basa su uno spoglio dei cataloghi delle mostre Quadriennali, Biennali e delle varie organizzate in ambito futurista in Italia e all’estero, dove le loro opere erano tutte rappresentate. Ci sono alcune sorprese, come la presenza della pittrice Carla Badiali, meglio conosciuta per la sua appartenenza all’astrattismo e al concretismo italiano; o Adriana Bisi Fabbri, cugina di Boccioni, che riprende il tema futurista degli stati d’animo a partire da suggestioni simboliste e divisioniste, cimentandosi anche nella caricatura per Il Popolo d’Italia; o l’astratta Bice Lazzari, le cui opere sembrano anticipare il polimaterismo del secondo futurismo. O anche l’intellettuale mitteleuropea Růžena Zátková, che anticipa in maniera sbalorditiva l’arte cinetica e informale. Veri coup de théâtre sono le caleidoscopiche aeropitture di Barbara, Marisa Mori e Fides Stagni Testi Pensabene, pittrici pilote d’aereo.

La mostra racconta, ove possibile, le affascinanti storie di alcune di queste donne, che spesso s’intrecciano con la vita artistica e culturale del periodo, perché animano salotti culturali, riviste, serate dedicate ai maggiori esponenti dell’arte, del teatro e della musica del loro tempo, segnato dalla tragedia delle due guerre. Un capitolo a parte è la letteratura delle donne futuriste, un filone particolarmente fervido che scrittrici e poetesse praticano, non di rado assieme alle arti visive, e di cui in mostra si offre una selezione degli scritti più importanti, preziosi e quasi tutti inediti.

Proeizioni video integrano e contestualizzano il percorso espositivo, con filmati d’epoca reperiti negli archivi e nelle cineteche italiane ed europee. Una sala apposita, il Cinema Lux, è dedicata a Velocità, lungometraggio del 1931 realizzato da Tina Cordero, Guido Martina e Pippo Oriani, film d’importanza assoluta per la cinematografia futurista, proposto insieme a Thaïs, del 1917, di Anton Giulio Bragaglia, e a Stramilano, del 1929, di Corrado d’Errico. Nel catalogo della mostra, oltre alle opere esposte e ai testi di Giancarlo Carpi, Enrico Crispolti, Chiara Gatti, Lorenzo Giusti, Lea Vergine, e di chi scrive, con contributi di Enrico Bittoto e Francesca Durante, vi sono le biografie delle artiste prese in esame che, per gentile concessione dell’editore Officina Libraria, verranno in parte presentate ai lettori di Succedeoggi.

 L’elica e la luce. Le futuriste. 1912-1944, a cura di Chiara Gatti e Raffaella Resch, MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, fino al 10 giugno 2018
info@museoman.it – www.museoman.it -0784/252110/0784/36243

(Immagini: vicino al titolo, Benedetta “Cime arse di solitudine”, 1936 c., Trento, Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni; nell’articolo: Leandra Cominazzini Angelucci, “Verticalismo”, 1940, coll. priv.; il Manifesto della donna futurista di Valentine de Saint Point, 1912, Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova)

 

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