Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Natale amiatino

Riunirsi intorno a cataste di legna ardenti disseminate per tutto il centro storico di Abbadia San Salvatore, pietra miliare della storia del Cristianesimo e della civiltà medievale. Così ai piedi dell’Amiata si celebra il giorno del Sol Invictus divenuto reale attraverso la nascita di Gesù

La chiamano “la città delle fiaccole” oppure “del Codice Amiatino”. E i due appellativi si incastrano nel suo cuore più significativo, l’abbazia del VIII secolo che le conferisce poi la denominazione ufficiale. Abbadia San Salvatore è tutta in quel convento dal quale si irradiò cultura e potere. E che fu carismatica tappa dei pellegrini incamminati sulla via Francigena dalla lontana Inghilterra, dalla pia Canterbury. Ai piedi del monte Amiata, grande cono rovesciato, vulcano mammuth che spazia nella circonferenza dalle terre propinque a Viterbo, alla Maremma e a Siena, della cui provincia fa parte, Abbadia San Salvatore – spazzata d’inverno dal vento di montagna – si riscalda la notte della vigilia di Natale e per tutto il 25 dicembre di fiaccole, onorando una tradizione con radici pagane. Rammenta, la festa, i villaggi stesi attorno alle falde montuose, prima ancora che – nel 742 – venisse fondato il cenobio, prima benedettino e poi cistercense. Esso rafforzò poi l’usanza di riunirvisi, venendo dalle contrade circostanti, per salutare la nascita del Bambino. Si tiravano su cataste di legna e le si faceva ardere per tutto il giorno del Sol Invictus inverato in Gesù. Oggi l’usanza è viva, anzi le prime avvisaglie partono dal giorno dell’Immacolata. Il centro storico, il quartiere medievale intatto e suggestivo – una città nella città, con la spirale delle stradette squarciate di tanto in tanto da piazze silenziose e austere – si punteggiano di cumuli di legna, preparati e accesi cantando “pastorelle”, le melodie natalizie.

Diventa una sorta di basilica, di foro – nel senso latino di piazza animata dai cittadini – la spianata tappezzata d’erba che ha come sfondo il convento. Una quinta lunga quanto un lato della piazza, che al centro s’ingentilisce con una fontana e la sequenza di tre grandi castagni. Ecco come descrive l’Abbazia Christopher De Hamel, bibliotecario presso la Parker Library, una delle più importanti collezioni di manoscritti della Gran Bretagna nel prezioso volume appena pubblicato da Le Scie Mondadori, Storia di dodici manoscritti: «È davvero spettacolare. Ha due torri medievali, una alta e l’altra più tozza, ai lati di un modesto portale in stile romanico. La chiesa, dentro, ha i soffitti molto alti ma è scura, con piccole finestre a tutto sesto… Così come è configurata oggi, la navata presenta al centro degli scalini alla cui sommità si trovano l’altare e uno squisito crocifisso ligneo del XII secolo. Su entrambi i lati della scala alcuni gradini scendono in una meravigliosa cripta a colonne (nella foto), risalente, sembra, all’VIII secolo. Sul lato nord della chiesa c’è il chiostro, che un tempo ospitava presumibilmente la biblioteca….».

Già, la biblioteca. Custode del tesoro più prezioso di Abbadia, quello che De Hamel era venuto a cercare in Toscana. Appunto il Codice Amiatino, registrato in un elenco di reliquie dell’abbazia datato 1036, che lo descrive come un Antico e Nuovo Testamento «scritti per mano del Beato Papa Gregorio». Attribuzione non peregrina visto che il volume usa caratteri detti onciali italiane (tutti maiuscoli), proprio come il Vangelo di Sant’Agostino. Insomma, il Codice Amiatino è la più antica Bibbia in latino, ovviamente miniata. Ed è l’unica rimasta di tre copie che due abati britannici fecero eseguire nel VI secolo da un esemplare proveniente dalla Calabria. Come sia finito in questo angolo di Toscana meridionale è ancora solo parzialmente spiegato, con interrogativi che profumano della stessa aura de Il nome della rosa di Umberto Eco. Ma De Hamel ipotizza che se lo portassero dietro i religiosi al seguito dell’abate Ceolfrid nel lungo viaggio sulla Francigena. E gli piace pensare che, esausti, si fermassero ad Abbadia, in compagnia della loro Bibbia e di un Reliquiario a forma di capanna risalente al VII-VIII secolo e ritrovato nel cenobio sotto una nicchia dell’altare maggiore durante la ristrutturazione degli anni Sessanta resa possibile dai fondi del Concilio Vaticano II. Il Codice Amiatino invece fu portato a Firenze nel Settecento dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, che lo collocò nella Biblioteca Laurenziana dove tuttora è custodito. Ma ebbero modo di sfogliarlo Carlo Magno, che sostò nel convento durante il viaggio verso Roma per essere incoronato nel Natale dell’anno 800, e il papa umanista Pio II – al secolo Enea Silvio Piccolomini – che nel 1462 vi trascorse un’estate. Nel 1587 poi Sisto V volle avere a Roma questa “madre di tutte le Bibbie”, più antica di qualsiasi manoscritto ebraico conosciuto, ritenuto dunque la Vulgata latina dei testi sacri cristiani e strumento inattaccabile nel tempo della Controriforma.

Oggi vibrano di senso gli scorci di Abbadia San Salvatore, pietra miliare nella storia del Cristianesimo e della civiltà medievale, salda come le tonde e mastodontiche rocce vulcaniche che stanno, testimoni mute della Natura, tra i fitti boschi di faggi in questi giorni bianchi di neve.

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