Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Marco Marangoni

La lingua-luce

Lavoro del poeta è catturare il nascondersi della fonte luminosa. Arte che l’autore di San Donà di Piave pratica con maestria nei suoi versi che si impongono per nitore di pronuncia e levità. Raccontando storie «… di confini e senza confine»

L’ultima raccolta poetica di Marco Marangoni, autore che opera a San Vito al Tagliamento, si intitola Congiunzione amorosa (72 pagine, 12 euro) ed è stata pubblicata da Moretti & Vitali nel 2013. Nella nota che figura nel risvolto di copertina, Giancarlo Pontiggia parla di «un libro sapienziale, di lettura immediata, di risonanze profonde, opera di un poeta che sa parlare all’anima del lettore, risvegliando le sue musiche più sopite e celate». E, in effetti, la poesia di Marangoni si esplica per brevi ed eleganti frammenti che non hanno niente di sibillino ma che si impongono all’attenzione per un nitore di pronuncia e una levità che contrassegnano una «storia / di confini e senza confine». Le tematiche degli elementi naturali – il vento, le stagioni, soprattutto la luce – caratterizzano una poetica in cui è presente «questa / fedeltà ai luoghi che altri hanno / ordinato». Le altre raccolte di Marangoni si intitolano Tempo e Oltre (1993), Dove dimora la luce (2002) e Per quale avventura (2007).

Il tema dell’amore è presente fin dal titolo della sua ultima raccolta, Congiunzione amorosa.
cop Marangoni
“L’amore” è tema/non tema della poesia lirica nella sua maggior parte; la tradizione ci dice questo. Appartenere a una tradizione significa avere radice, identità e destino. Poi certo per me che ho una formazione anche filosofica, il tema amoroso è strettamente connesso con la memoria e il desiderio dell’origine come dice appunto la parola stessa filo-sofia. Poesia, filosofia, Eros. Ma c’è un altro elemento che concorre a illuminare il nesso di scrittura-amore: la pulsione esplorata da Freud e che Marcuse ha esaltato come controcanto della Civiltà, basata sulla prestazione anziché sul poetico, sul gioco. Se il moderno è caratterizzato dalla disgiunzione, la poesia è una contro-cultura, ma non in senso regressivo. Ecco che la congiunzione, poeticamente intesa, non è uno stato, ma una proiezione, un principio-speranza, e di resistenza al tempo stesso.

Maurizio Cucchi sostiene che il suo dettato appare «ingannevolmente terso e semplice», ispirandosi a una realtà quotidiana quanto mai sfaccettata.
Cucchi, particolarmente attento all’esperienziale, quale antidoto anzitutto del manierismo, nella mia lirica avverte l’esigenza del “pensiero” che sottostà come l’implicito alla parola. La parola diviene così un semplice fiore in luce, ma attraverso un processo, una difficoltà incontrata-attraversata – la poesia tende per me a una geo-metria ma come quella della luce sempre frastagliata del bosco. La luce si dà, anche se mai di-fronte. Impera nel poetico il nascondersi della fonte luminosa (lucus a non lucendo); per quanto l’averne intuizione sia proprio della coscienza poetica – ed è così che il poeta lavora senza posa a rendere la lingua più “illustre” (Dante).

Lei è segretario del Premio di Poesia San Vito al Tagliamento. Cosa pensa dei premi letterari?
Notoriamente i premi non sono sufficienti a definire i valori assoluti della poesia di un’epoca. Ma dai premi ci si deve aspettare – soprattutto dove vi è una giuria “scientifica”– almeno la capacità di riconoscere e segnalare uno “stile” o più “stili”, se dovessero presentarsi. Credo che sia bene una pluralità di premi, ossia di commissioni giudicanti, perché ogni commissione vera è una comunità fatta di membri in dialogo. L’esito del dialogo tiene conto di orizzonti di partenza e presupposti che di volta in volta non sono gli stessi. Dato perciò l’onesto operare di una commissione, questa potrà-dovrà valorizzare autori diversi da quelli emersi in un altro premio. Insomma la “differenza” non è un male, ma un fattore tipico del discorso critico-letterario, non meno rigoroso, nei suoi iuxta propria principia, di quello tecnico-scientifico.

Lei cura con altri studiosi il sito di poesia “Ossigeno nascente”. Come operate le vostre scelte?
Operiamo, come ho potuto scrivere nella intestazione programmatica del sito, a partire da una selezione degli autori, tenendo conto di un curriculum effettivo di libri e prove, e giudizi critici circa il loro valore. Inoltre puntiamo l’attenzione sulla lingua, sempre in movimento e molto differenziata nelle cadenze, oltre che nei dialetti (lungo la penisola) della poesia attuale. Circa gli stili e le poetiche, l’inclusività è d’obbligo soprattutto oggi nel post-moderno. Non è un sito che intende indicare una crestomazia, ma l’essere in cammino verso il “linguaggio” dei segni. Un cammino che si presenta interessante per studi diversi, non solo letterari.

Quali sono i suoi autori di riferimento?
Per me, seguendo le tappe della mia formazione, a partire dalla mia Padova esplosiva della fine degli anni 70, certo l’avanguardia che tagliava col “letterario” tradizionale, e faceva spazio dentro l’immaginario e il linguaggio; di qui la parabola, mediata da Antonio Porta, verso la “Parola innamorata”, che mantiene la rotta dell’utopia e del desiderio, ma entro una meditazione più profonda del nesso tra parola e cosa. Conte è il più avanguardista di quel gruppo, sia come formazione che come ispirazione linguistica; le sue rime ad esempio non sono decorative, ma nella intentio “esplosioni” di senso. Amici personali, e fratelli maggiori sono stati dunque: Conte, Pontiggia, Cucchi, De Angelis. La lezione di Heidegger mi ha segnato teoricamente, ma anche Merleau-Ponty e tutta l’attenzione attuale per la natura da ripensare come dice Batison, in una ecologia della mente. Classici che rileggo sempre nelle loro lingue originali sono Rilke e Stevens.

Lei insegna italiano negli istituti superiori. Quanto dipende dalla scuola e dagli insegnanti il fatto che gli adolescenti si siano così allontanati dalla poesia?
Conduco con il poeta Giacomo Vit, tra l’altro, da più di dieci anni laboratori di poesia nelle scuole superiori e l’esperienza positiva mi dice che la poesia è parola vivente negli adolescenti. Nella scuola piuttosto si deve trovar dello “spazio”, oltre le ore curriculari, che sono ingessate dai programmi, e dalla meccanicità. La scuola è organizzata solo per raggiungere conoscenze e competenze. Si dice allo studente: arriverà, abbiate pazienza, la performance della vita, ma oltre il diploma! Così facendo, conoscenze e competenze sulla poesia vengono raggiunte, ma non la “poesia”, che ha bisogno della vita-ora! Questo lavorare con materiali morti è nell’obiettivo della scuola. Sarebbe da ipocriti negarlo.
Si dovrebbe, ripeto, pensare a una scuola per la vita-ora! Uno spazio per respirare. Bisognerebbe riappropriarsi di una scuola capace di essere anche scholè: fatta di attività non volte all’utilità, ma alla formazione personale. Una svolta potrebbe provenire dalla alternanza “scuola/lavoro”, oggi entrata nei curricula, se allargata alla letteratura; sarebbe un’interessante opportunità allora aprire le classi, come cosa ordinaria, all’attività dei poeti, con appositi stages, da valorizzare poi nelle valutazioni.

Cosa sta preparando attualmente?
Pronto per una pubblicazione è il nuovo libro di versi La passione degli anni. Un libro che “lavora” intorno all’articolazione del desiderio e del dolore nell’arco del vissuto. Spero per il 2018 sia dato alle stampe. La scrittura è la passione dell’origine, secondo E. Jabès. Sono con lui. Mentre ora sto scrivendo La porta del bosco e del mare, una specie di discesa nel simbolismo dei due grandi archetipi. «Uomo libero, tu amerai sempre il mare!», scriveva Baudelaire. Forse cerco di scrivere della libertà minacciata, a tutti i livelli, e dell’uomo sempre più solo e indifeso, nel pseudo villaggio globale. In questo considero la lezione di Zygmunt Bauman, ma anche le preoccupazioni di George Steiner sullo stato di salute del linguaggio umano, solo per citare alcuni nomi.

Può commentare la poesia inedita presentata?
La poesia dice che anche nel tempo più tecnico, il nucleo creaturale del linguaggio non deve essere dimenticato, perché il senso della tecnica non è tecnico. La lingua-luce e il labor che la mette in opera, tessendo il mondo come un tessuto-testo, è nell’ordine di una intimità cui il poeta risponde anche oggi, in un incessante eundo assequi.

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Marangoni 

È con albo versorio

che si riga la pagina

e non importa se il campo

è di Acer, di Windows

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lo schermo allude all’antico

e il gesto è lo stesso:

non cambia la natura, il senso

con cui trovo il mezzo, e il mezzo m’illumina

 

da dentro

Marco Marangoni

 

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