Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Marco Munaro

La metamorfosi del sé

Per il poeta di Rovigo che si occupa delle Edizioni Il Ponte del Sale, all’arte di fare poesia corrisponde l’arte di pubblicare poesia. Il riconoscimento del dono consiste nell’offerta della propria individualità irripetibile all’altro…

Rovigo, una delle raccolte più intense di Zbigniew Herbert, prende il nome dalla poesia eponima in cui il poeta polacco descrive il particolare stato d’animo che lo irretisce passando in treno davanti alla città veneta, definita «un capolavoro di mediocrità». In questa città antiletteraria per eccellenza abita Marco Munaro, poeta che ha pubblicato varie raccolte tra cui Ionio e altri mari (2003) e Nel corpo vivo dell’aria (2009). Munaro si occupa delle Edizioni Il Ponte del Sale per le quali è uscita nel 2014 la silloge Berenice (84 pagine, 13 euro) che prende spunto dal mito classico per addentrarsi nei meandri della contemporaneità. Si tratta di un libro composito, in cui il tema del viaggio – non solo nello spazio, ma anche nel tempo – si sviluppa attraverso forme poco frequentate come quella della sestina che si alterna a componimenti in versi liberi. Il lessico sembra piegarsi a una pronuncia ora aspra ora lieve, in virtù delle particolari circostanze che si trova di volta in volta ad affrontare. Il dettato si modula tra una linearità di derivazione classica ed esiti in cui la pronuncia diventa più scabra attingendo felicemente – ma non solo – a un modernismo novecentesco di derivazione transalpina (Ponge, Saint-John Perse) e non disdegnando una lettura di tipo polisemico.

Il mito di Berenice è alla base della sua ultima raccolta. In che maniera il mito e la classicità possono essere interpretate e recepite nell’epoca sempre più dirompente della globalizzazione e del pensiero unico?
BereniceI miti sono la lingua universale della nostra specie, sempre rinnovati nelle epoche e nelle civiltà, fratelli anche all’insaputa l’uno dell’altro. Non penso solo ai miti classici quanto proprio a quelle forme di racconto per immagini che sono all’origine della poesia e della conoscenza e che sono come gli archetipi del nostro alfabeto: capire e inventare, immaginare e osservare, reinventare e saggiare la realtà sono attitudini connaturate all’uomo, anche quando la storia si accanisce a distruggere e uniformare. Non a caso, i miti più antichi sono miti di distruzione e di salvezza. In questo senso il mito morirà, come la poesia, solo con la specie umana. O forse nemmeno con essa. Sarà la nostra eredità alle specie future, artificiali o no. Quanto al grande afflato che ci viene dalla poesia che chiamiamo classica, è esso stesso un vento che riconforta e rigenera. Berenice è solo uno dei miti nati dalla mia passione per la bellezza e la giovinezza, ma più che dal mito omonimo antico, più che con Callimaco o Catullo esso ha a che fare (mi sono reso conto) con altro. Il nome della ragazza era inizialmente Nice, ma poi ho sentito che essa era tutt’uno col desiderio totalizzante, assoluto, una commedia e un simposio della sete, ed è diventato Berenice.

Può illustrarci l’attività della casa editrice Il Ponte del Sale?
Si tratta di un’attività alla fine indistinguibile dalla poesia. Sento il fatto della pubblicazione di una poesia in una maniera del tutto particolare, come un’arte vera e propria, che è in fondo l’altra faccia dell’esecuzione del testo affidata alla voce e alla musica delle parole. Ho sempre provato il desiderio molto forte non solo di comporre una poesia e di vederla scritta e stampata ma anche di stampare una poesia che non avevo scritto io ma che sentivo ugualmente mia. La poesia ha a che fare con questo riconoscimento nel dono, nell’offerta di sé, nasce nella solitudine e nella individualità irripetibile ma è aperta, dispiegata a una alterità. In questa metamorfosi del sé nell’altro consiste anche l’azzardo del Ponte del Sale: offrire la poesia, in libri accurati, senza limitazioni di lingue e culture, generi, stili. Quasi 90 libri in poco più di 12 anni. Un’arte del libro, nell’era digitale e delle librerie di massa.

Lei insegna in un istituto superiore. È ancora possibile scalfire l’indifferenza degli adolescenti verso la poesia?
Ho insegnato in diversi licei e istituti di istruzione superiore. Attualmente insegno in una Ragioneria; si potrebbe pensare: un tipo di scuola e di studenti poco inclini allo studio delle discipline umanistiche. È vero. Eppure… Mi stupisco di quanta ammirazione sono capaci questi ragazzi di fronte a Dante, e non dico al Dante dell’Inferno, che tutti gli studenti amano, ma al Dante del Paradiso. Credo che i giovani siano – anche oggi – naturalmente predisposti all’ascolto e alla comprensione della poesia. Certo, molti hanno difficoltà ad apprendere le tecniche di composizione o di analisi, nello studio storico e filosofico o altro di un testo, discipline che non possono coltivare perché non sono previste nell’indirizzo scolastico che hanno scelto. Ma proprio questa loro posizione di svantaggio li pone molto vicini alla condizione del poeta stesso di fronte ai limiti del linguaggio, rispetto a quello che si vorrebbe e non si può dire. Alla condizione dell’infante, che misteriosamente parla in ogni poeta.

Cosa pensa dei blog di poesia?
Non li pratico, ma non per snobismo, solo per igiene, poi trovo che la loro rapidità, la velocità con cui triturano immagini e discorsi possano essere perfino perniciose. Ma forse esagero. Tutto è possibile per la poesia, anche fiorire nel frastuono o dentro il massacro, perché non anche nel blog-blob?

Può parlarci del poeta ed editore Bino Rebellato di cui ha curato tutta l’opera poetica?
Vorrei rimandare al suo libro, da me curato e commentato pagina per pagina (un lungo conversare con il maestro): In nessun posto e da per tutto, Il Ponte del Sale, 2016. Contiene alcune delle poesie più belle del secolo e una fedeltà alla poesia tra le più autentiche e pure. Ma desidero almeno ricordare la sua dolcezza e umanità, la sua grande apertura al mondo, agli altri, ai giovani, a chi si avvicinava alla poesia e trovava in lui una severa amorevole guida, e insieme la sua altissima ricerca poetica portata avanti con un rigore, una spietatezza diciamo pure eroica. Ma tutto con semplicità, una semplicità che veniva dal groviglio più fitto e perfino angoscioso, con squarci di letizia.

Cosa sta preparando attualmente?
Ho appena licenziato una nuova edizione delle poesie di Gino Piva, primo volume di una nuova collana intitolata “L’Arca del Polesine”; continuo, con Tregiardini, la traduzione di Virgilio (iniziamo in questi giorni la traduzione della X Ecloga) e sono preso da molti progetti editoriali e letture che mi terranno occupato nei prossimi mesi e anni. Tra queste suggestioni e fatiche procedo e però sento di essere uscito da quella fase di silenzio, che ogni volta, pubblicato un mio libro, devo attraversare. Sono un poeta lento, parco, vocato al canto e da sempre minacciato dal silenzio, anche se sempre immerso nella poesia. Con Berenice mi pare si sia chiusa un’intera epoca della mia vita. È un libro che mi ha lasciato completamente svuotato. Da poco ho ripreso a scrivere, qualche verso sugli insetti e le piante e la città. Non so cosa ne potrà venire, ma non ho fretta.

Quali sono i suoi autori di riferimento?
Innumerevoli, mi piace cercare e trovare nell’immenso sterminato mondo della letteratura voci dimenticate, ma torno poi sempre a Omero, a Virgilio, Dante, Leopardi, Rimbaud. E trovo tra i viventi altri fratelli, ignari o no della nostra amicizia.

Può commentare la poesia inedita presentata?
Ho scritto alcuni teleri sulla città e sulla campagna circostante, dove abito. La poesia che segue è come sospesa tra spazio e tempo, memoria e ignoto. Un trittico dedicato alle forze dolci e vertiginose della natura. Un argine, un fiume, e subito si spalanca quel silenzio da cui viene tutto e verso cui tutto ritorna, anche il mito del viandante, che poi è il destino dell’essere poeti.

 

***

 

Munaro 

Andando a piedi sull’Argine verso il Tartaro

1

Luce sfalciata

Nel vento a marzo, a piedi o sdraiato tra i primi fiori

il gregge dolcissimo

parlante nella sua lingua di sguardi

giovani pastori, artemisie, altee

la corrente tagliata dall’autostrada

il bombardamento di TIR in corsa

 

sotto, c’era, da qualche parte, la dolina dell’eros

dei figli della violenza

della golena/glutine

Oltre, il viandante sulla strada bianca respirava

i campi aperti, tra le stazioni di passo

un ondeggiare delle spighe verdi e secche

delle erbe, delle fronde

di canne di foglie che

guardano con occhi rivolti alla luce

che li dimentica e si volta che si volta e li dimentica

luce sfalciata!

 

2

Era un’opera di presa

Il sonno abbracciato dei sambuchi, soffioni

153/ 154/ 155/ 156 Genio civile di ***

cercare i nomi

Camminare, comunque, sospesi

 

3

Sulla linea Ferrara-Padova

Nel golfo,

a una profondità di m 5,50

il fiume si piegava sul fianco

poi sull’altro portandosi via

la purezza del cielo nel buio

qualità di un silenzio

pieno di voci che non si dovevano nominare

finché venivano alla bocca

come qualcosa di non ancora udito, non ancora detto

o detto molto tempo fa a nessuno

Marco Munaro

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