Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Sebastiano Aglieco

Se parla il bambino

Scrive in lingua e in dialetto siciliano il poeta di Sortino. Un “dialetto sorgivo” che recupera la dimensione dell’infanzia, e riesumato dopo la morte della madre. Del resto l’infanzia è per l’autore, che è maestro elementare, un punto di osservazione privilegiato per la sua poetica

Sebastiano Aglieco, nato a Sortino, in provincia di Siracusa, ma operante in Lombardia, si esprime sia in lingua sia in dialetto siciliano e ha al suo attivo varie raccolte poetiche: Giornata (2003), Dolore della casa (2006) e Nella storia (2009). L’ultima sua densa silloge si intitolata Compitu re vivi (136 pagine, 17 euro) ed è stata pubblicata dal Ponte del Sale nel 2013. Già dal titolo, che in italiano significa Il compito dei vivi, è possibile tracciare le coordinate della poetica di Aglieco che affondano le proprie radici in una dimensione etica dell’esistenza, contrassegnata da una cadenza che talvolta diviene supplica, preghiera: «Liberami, Signore, da questi lacci / contempla il tempo mio tutto / nella vertigine e nella gola / spalancami negli occhi dei bambini / liberami di me, da me stesso / dalle mie parole».
Il dettato di Aglieco si articola intorno a una Weltanschauung che recupera la dimensione dell’infanzia, a cominciare proprio dall’uso di un «dialetto sorgivo […] più vitale che mai, per quanto riesumato dal passato», come osserva giustamente Maurizio Casagrande nell’introduzione. E non è un caso che uno dei mentori di Aglieco sia Milo De Angelis cui è dedicata la lirica intitolata Poetica: «Ho creduto di essere giudicato / per la sola parola, all’osso della / carne e della letteratura».

La sua ultima raccolta, Compitu re vivi, alterna poesie in lingua e poesie in dialetto. Può parlarci di questa scelta?
cop-agliecoIl dialetto è una lingua improvvisamente riaffiorata alla memoria – “riesumata” è il termine più corretto – subito dopo la scomparsa di mia madre. Il tema del lutto era già presente in Dolore della casa (un libro edito dal Ponte del Sale nel 2006), ma poi l’utilizzo del siciliano in Compitu re vivi lo ha reso più cogente. Devo molto a Maurizio Casagrande che mi incitò a comprendere le motivazioni profonde di questa lingua che nel tempo, devo dire, mi è diventata abbastanza familiare.

Lei è insegnante elementare. Come riesce a coinvolgere i bambini affinché non arrivino a detestare, da adulti, la poesia?
È un lavoro che mi viene molto naturale, intorno al quale ho costruito una vera e propria didattica, realizzando parecchi progetti. L’ultimo, Gli alberi poeti/ci, su testi originali di poeti italiani intorno al tema degli alberi e variazioni dei bambini di una seconda elementare. È un lavoro che si costruisce prima della parola scritta, affiancando sempre lettura e composizione e abituando lo sguardo e i sensi dei bambini a cogliere delle cose il loro aspetto più profondo e più vero. Credo fermamente che nella scuola primaria la poesia dovrebbe precedere la narrativa, perché magica è ancora la parola che il bambino adopera mentre la narrativa è già un racconto del mondo. I miei bambini leggono e scrivono con grande naturalezza e passione, anche perché la scrittura è un’attività non sottoposta ad alcuna censura, ad alcuna valutazione come comunemente la si intende a scuola. Mi piacerebbe moltissimo ricevere in classe, mentre i bambini scrivono, la visita di un alto funzionario e sottopormi alla sua inflessibile valutazione. Ma anche, più semplicemente, la presenza di un poeta altolocato. Qualche testimonianza del mio lavoro è reperibile tra le pagine del mio blog alla sezione L’albero viola (https://miolive.wordpress.com/2016/05/22/cosa-intendo-per-poesia-fatta-a-scuola/)

Il suo blog prende il nome dalla sua ultima raccolta. Ritiene sia uno strumento utile per la diffusione della poesia?
I blog hanno molto contribuito alla diffusione e alla conoscenza della poesia, anche se nel tempo, soprattutto con l’avvento di facebook, le cose sono cambiate. Ho voluto chiamare il mio blog Compitu re vivi, mettendo l’accento proprio su una specie di imperativo kantiano, sulla necessità di un lavoro critico da fare, costi quel che costi. I libri non possono esistere senza lettori. Dico sempre che il nostro compito non è quello di valutare ma di testimoniare l’esistenza della poesia. Ogni epoca, poi, sceglierà i suoi poeti.

In un’intervista fatta a Maurizio Casagrande lei citava fra i propri maestri il grande regista russo Andrej Tarkovskij. Ce ne può parlare?
Tarkovskij è un profeta di cui oggi non si sente il bisogno – ma probabilmente ogni tempo ha i suoi bisogni e se ne riparlerà in un futuro di deprivazioni spirituali. Mi affascina il rigore formale di questo regista, una visionarietà che coincide con necessità umana e urgenza spirituale; la secchezza e la precisione dell’immagine; il senso profondo della parola. Sono tutti tratti che credo siano riscontrabili nella mia scrittura, quantomeno come progetto. Il compito di ogni forma d’arte è il raggiungimento di una forma di bellezza, di una durezza necessaria. L’arte è una lingua ruvida che non accarezza.

Qual è, secondo lei, la situazione poetica in Italia?
Direi molto ricca e varia. Paradossalmente questa varietà e ricchezza oggi costituiscono un problema in quanto il compito del critico è diventato più complicato. Non appartengo alla schiera di quelli che sostengono che in Italia ci siano 4 o 5 poeti importanti, tutto il resto è legione, in quanto la capacità di scrivere si è alzata di livello. Diciamo che il livello stilistico è mediamente molto buono. Il problema riguarda, piuttosto, la necessità, la complessità di vita, la deprivazione spirituale, tutti elementi da cui dovrebbe derivare una vera e più autentica ricchezza formale. Poi ci sono diverse questioni serie che andrebbero affrontate. Per esempio lo scarso filtro che gli editori di poesia in genere utilizzano nella pubblicazione; il fatto che molti critici, di fronte a una quantità di libri così rilevante, si tirano indietro e finiscono per utilizzare criteri eccessivamente selettivi. E poi, ma questo lo sappiamo tutti, la questione che i poeti non leggono gli altri poeti, ma si aspettano che tutti leggano loro.

Quali sono i suoi autori di riferimento?
Sono cambiati, nel corso del tempo. Direi che alla fine hanno resistito quegli autori che indicano un’etica, la letteratura come esperienza sincera del sé o come smascheramento. Fra tutti direi Kafka, Pirandello, Camus, Saint-Exupéry, Piero Jahier. I tragici greci naturalmente. Ma anche qualche poeta a me contemporaneo, e amico, che naturalmente non nomino.

Cosa sta preparando attualmente?
Ci sono diversi inediti che attendono una pubblicazione. Soprattutto un nuovo libro in siciliano, scritto nella forma del “cuntu” (racconto popolare). Poi un manoscritto/testimonianza che raccoglie tutta la mia esperienza di questi trent’anni di insegnamento sui grandi temi della scrittura poetica e del teatro. Inoltre mi piacerebbe portare a compimento un libro di narrativa a cui ho cominciato a lavorare da poco sul tema della casa.

Può commentare la poesia inedita presentata?
È un testo che fa parte di un libro ancora inedito, una specie di diario scritto in punta di penna, osservando i bambini di una quarta elementare, nel corso della vita quotidiana in classe. La mia scuola sorge in un parco, e le aule dei bambini si trovano in piccoli padiglioni che danno tutte sul verde. Molte esperienze si svolgono all’aperto. Una mattina era caduto un albero e gli operai lo stavano facendo a pezzi. Ho portato i bambini fuori con i loro piccoli quaderni personali e li ho invitati a scrivere in silenzio, osservando. Scrivevo anche io, così il verso finale si conclude con la considerazione di un bambino. È stata l’occasione per parlare loro del campo di concentramento di Terezin e di insegnare come, nei momenti di deprivazione, la scrittura diventi qualcosa di veramente necessario. L’unico nutrimento per l’anima.

 ***

aglieco 

Terezin

Se torniamo o se moriamo

veramente, ce lo dicono i fratelli

che intanto muoiono perché non sono mai

tornati: questi alberi, oggi, segati sotto i

nostri occhi come gli agnelli

nella luce del sangue.

Abbiamo preso i quaderni e abbiamo scritto

un po’ lontani da loro, immobili

aperti alle sevizie, malati per

la rabbia del mondo.

 

– Li hanno tagliati mentre dormivano – avete detto.
(Parco Trotter, una mattina di gennaio)

Sebastiano Aglieco
(foto © Viviana Nicodemo)

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