Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

Eden d’Italia

Una originale guida censisce 300 giardini storici sparsi nel Bel Paese da nord a sud. E stupisce scoprire che molti di essi si trovino nel Meridione falsamente ritenuto troppo assolato per la coltivazione di fiori e alberi

Al mare, in montagna, al lago. Ma, se siete in vacanza nel Bel Paese, ricordatevi che è anche chiamato “il giardino d’Europa”. E fate una sosta in uno degli eden storici che punteggiano lo Stivale dal Nord al Sud. Una singolare guida pubblicata dall’Apgi, Associazione Parchi e Giardini, in collaborazione con il Touring Club, ne censisce 300. Scovando, tra tutti quelli aperti al pubblico, anche i meno noti. E sfatando il luogo comune che essi non si trovino nel meridione, immaginato come distesa assolata pur se affascinante, dunque estranea alla pratica virtuosa della coltivazione di fiori e alberi. Anche qui invece ville storiche o antichi conventi sono stati trasformati in paradisi botanici. Che il baedeker Apgi, intitolato L’Italia dei giardini – Viaggio attraverso la bellezza tra natura e artificio e a cura di Vincenzo Cazzato, racconta con schede curate da architetti del paesaggio, storici dell’arte, botanici. Alcuni erano giardini abbandonati. Ma si sono dimostrati vivi anche senza visitatori o giardinieri perché per anni hanno continuato a regalare ossigeno, frutti, fiori. La storia di parecchi ha trovato un lieto fine quando un’acquisizione pubblica o più spesso privata se ne è fatta carico, come è per esempio successo con il Sacro Bosco di Assisi o Villa Gregoriana a Tivoli, “rifioriti” grazie al Fai.

giardini 1Eccone allora alcuni, di giardini “nascosti” o ignorati dalle masse turistiche. Chi ha mai sentito parlare di Villa de Capoa, a Campobasso (uno scorcio nella foto accanto)? Era la delizia di una contessa, Marianna Capoa, che lo donò nell’Ottocento al comune capoluogo. Sedicimila metri quadrati che ospitano cedri, sequoie, cipressi, abeti rossi, profumati tigli e colorati alberi di Giuda. Hanno sostituito nel Seicento, quando passò in mano blasonata, le piante medicinali del monastero di Santa Maria delle Grazie. Ancora nell’ancestrale Molise un orto botanico naturale. Si chiama Giardino della Flora appenninica, è a Capracotta, in provincia di Isernia, a 1525 metri sul livello del mare. L’idea di trasformarlo in parco per lo svago e lo studio venne nel 1963 al Consorzio delle Università del Molise, Regione ed enti locali. Il suo simbolo è l’Acer lobelii, che cresce soltanto nell’Appennino centro-meridionale. La passeggiata nei dieci ettari punteggiati di abeti bianchi d’origine antichissima profuma delle erbe aromatiche del sottobosco e culmina in una visione incomparabile: da un’alta roccia lo sguardo spazia su tutte le principali catene dell’Appennino.

In Abruzzo una storia simile a Villa de Capoa ha il Giardino dell’Abbazia di Santa Maria Arabona, a Manoppello (Pescara). Risale al Duecento, ma a fine Settecento fu acquistato dalla nobile famiglia Zambra, che ne voleva fare una residenza di campagna. L’orto conventuale divenne giardino all’italiana, con annesso frutteto. Ma l’estro degli Zambra affiancò alle specie tradizionali piante esotiche. Così, secondo la moda del Settecento, vennero importati diversi tipi di palma e perfino, dal Giappone, la Sephora Pendula. Sorprese botaniche anche a Ripacandida, Potenza. Qui la Villa Comunale, piccola e snobbata, snocciola un percorso non solo naturalistico ma spirituale. È memore dell’origine, un convento francescano. È anche chiamata “il giardino degli alberi monumentali”, che compaiono tra padiglioni di pietra, nei quali ripararsi e riflettere. Tra i giganti, un pino di Aleppo tra i più grandi d’Europa, piantato 400 anni fa.

giardini 2In Puglia le masserie sono giardini naturali, che proseguono nella campagna, con i filari ordinati di scultorei ulivi. Ma le gravine, i solchi scavati nella roccia dai corsi d’acqua, hanno un habitat particolare, con erbe curative che nutrono leggende. Accade per esempio a Massafra, in provincia di Taranto. Qui il Giardino delle Zoccate, attorno alla masseria Santa Croce, sorta su un insediamento rupestre. Si trova dentro antiche cave appunto chiamate zokkate dallo strumento usato per tagliare la roccia. Tra reperti archeologici prosperano carrubi, il lino selvatico, le silene, salvie, rosmarini, salvioni gialli, lentischi. Nella austera Calabria natura e architettura sono strabilianti a Villa Caristo (nella foto), fuori Stignano (Rc). Le potenti famiglie che si susseguirono alla proprietà quasi hanno indirettamente gareggiato a “mobiliare” il giardino con sculture memori dell’antico. I Lamberti, nel Settecento, crearono terrazzamenti tra agrumeti, alberi da frutto, palme, 166 cipressi piantati “per delizie” e, nel punto più basso, una peschiera. A fine secolo il nuovo padrone, il marchese Clemente II di San Luca, non si accontentò di ampliare il parco, ma lo dotò di kaffeehaus e lo punteggiò di statue, come il gruppo di Clorinda e Tancredi, i Delfini della omonima fontana, gli stucchi rococò nel Giardino delle Esperidi. Uno scrigno di sorprese incastonato tra i boschi e la vallata del torrente Ceramidio.

Però anche a Roma, vanitosa delle ville arcinote, ce n’è una riservata e scarsamente frequentata. È villa Aldobrandini, da non confondersi con la superstar omonima di Frascati, scaturita dal mecenatismo del medesimo proprietario, il “cardinal nepote” Pietro. Si trova a un passo da via Nazionale, in via Mazzarino 1. È un giardino pensile che offre una splendida vista su largo Magnanapoli e la Torre delle Milizie. La volle nel 1601 appunto Pietro Aldobrandini, pupillo di papa Clemente VIII, per collocarvi la sua collezione d’arte. Nel 1926 gli eredi la donarono al Comune di Roma, dopo che la costruzione di via Nazionale s’era “mangiata” una buona fetta del parco. Restano però i tre padiglioni che si raggiungono seguendo un percorso circolare, ombreggiato, in un’aura sospesa, mentre attorno romba la metropoli.

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