Nicola Bottiglieri
Il dramma dell’eterna giovinezza

La statua umana

Una giornata nel tempio del “natural bodybuilding”, dove tanti ragazzi e ragazze usano il proprio corpo come una corazza: l’unica che un uomo possa indossare contro il mondo

Il 2 giugno ho accompaganto mio figlio a Rimini, dove negli amplissimi locali della Fiera si è aperto il “Rimini Wellnes 2016”, settimana del fitness e del benessere. Il mio rampollo, che ha già superato il terzo decennio di vita, doveva prendere parte alle gare di selezione per il campionato italiano organizzate dalla AINBB (Associazione Italiana Natural Bodybuilding) nella categoria Man Phisique +170, vale a dire “belli da spiaggia” alti più di 170 cm.

In verità, il mio accompagnamento non è iniziato la mattina del 2 giugno, bensì molti mesi prima quando ho visto i rigori alimentari cui si è sottoposto mio figlio, le interminabili sedute in palestra, i lunghi colloqui con il preparatore, le torve occhiate alla bilancia, i fiumi d’acqua bevuti ad ogni ora del giorno ed i commenti smisurati rivolti alle foto ed ai film di Arnold Schwarzenegger, il mito, il modello, l’inarrivabile Schwarz al quale si ispirano tutti i giovani che fanno natural bodybuilding. E se per lui l’arrivo nei locali della Fiera era la conclusione di una preparazione integerrima, per me era la conoscenza di un mondo.

La prima impressione avuta, facendo il giro della Fiera, è stata quella di essere entrato in un tunnel ossessivo dove il supermarket, il circo e le sfilate di moda si davano la mano per combinarsi in una rumorosissima scenografia, cornice all’esibizione dei corpi muscolosi. I quali, gonfiati dagli integratori, resi loquaci dai tatuaggi, massaggiati dal narcisimo, resi immortali dalle fotografie facevano bella mostra da ogni parte. Non solo i corpi veri in carne, ossa e sudore, ma anche quelli virtuali, resi bellissimi dagli schermi al plasma. Fra tanti corpi seducenti, innumerevoli attrezzi da palestra, gabbie per la boxe fixing, palloni per il pilates, sbarre per appendersi a testa in giù, fontane che spandevano acque miracolose: aleggiava una strana complicità che faceva sentire a disagio chi aveva qualche rotolino di lardo intorno alla vita.

Non solo il grasso intorno alla vita, ma anche vestiti non adatti. Perché in quel contesto giacca e cravatta non vogliono dire niente, e l’unico indumento concesso, oltre alla nuda pelle, sono canottiere, magliette e pantaloncini corti ad oltranza.

Eppure in tanta esibizione di carne e degli espedienti per renderla più appetibile non ho trovato il linguaggio della sessualità, bensì quelli dell’erotismo, perché il fine di tutto ciò non è l’approccio fra corpi, ma solo il farsi vedere dagli altri, stupire con la propria prestanza, creare miraggi fra pettorali, spalle e addominali, come prove di una solida presenza di vita.

Tutto il rumorosissimo tunnel nel quale mi ero infilato, quindi, spandeva a piene mani la retorica della giovinezza, ignorando il sesso e la vecchiaia, situazioni piene di futuro e di complicazioni ad oltranza.

Quando poi è arrivata l’ora della verità, io e la madre (che nel frattempo mi aveva raggiunto) abbiamo spalmato nostro figlio con un rullo di abbondante olio scuro chiamato mallo, il cui effetto è quello di marmorizzare il corpo. Quelli che non avevano l’assistenza familiare si sono precipitati in una tenda dove per 20 euro venivano irrorati da una pistola a spruzzo, come se fossero portiere di una macchina. Anche le donne accorrevano allo spruzzo, incuranti delle proprie nudità e delle occhiate dei profani, che – per quanto ho potuto valutare – erano molto gradite. Perché in quel mondo essere guardati è l’obiettivo massimo da raggiungere.

Poi ci siamo assisi su scomodissime poltroncine ed è cominciato il trionfo della carne. Per circa 3 ore ho visto sfilare ragazzi e ragazze di ogni tipo, di diverse altezza, di diverse corporature alle quali venivano dati punteggi diversi. Mi sembrava di essere al Foro Italico, dove le statue non erano di marmo ma di carne.

Questa ossessiva overdose di muscoli, tuttavia, aveva una sua “spiritualità” che mi ha molto colpito. Perché le varie pose che assumevano gli atleti sembravano tentativi della carne di sublimare se stessa, divenendo “arte”. Ogni posa che assumevano, se fatta bene, veniva scolpita nel tempo presente, e restava perenne nella memoria e nelle fotografie. A quel punto ho capito il senso di tanti sacrifici: divenire immortali anche solo per pochi secondi, in una eterna sfida contro il tempo e contro se stessi.

La nudità è una corazza, mi sono detto. L’unica vera corazza contro il mondo che un uomo possa indossare. Una corazza autentica e coraggiosa, che riesce a dire più cose di una pagina scritta.

Dopo aver subito l’affronto di tanta bellezza, ho preso la via dell’albergo, avendo ancora negli occhi e nella mente lo sfolgorìo di quanto avevo visto. E quei ragazzi mi sono sembrati anime in cerca di se stesse, attratti dal miraggio di ricomporre in una unità piena di senso, quelle parti del loro corpo che il consumismo, i falsi miti, la fretta tirano da ogni parte.

Uscendo da quel luogo dove tutto era esibito ed evidente, dove tutto è spettacolo ed estroversione, l’unica cosa privata mi è sembrata la suola delle scarpe, una pelle di gomma o di cuoio che non si vedeva ma che dialogava forte con il pavimento. In fondo le scarpe sono l’unico indumento che tocca la terra, e la terra è l’unica carne che sopravvive a noi stessi.

Il tempo è l’unico ricordo che si ripete ad ogni battito di ciglia.

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