Leone Piccioni
Ungaretti e i suoi amici

I magnifici dodici

Papini, Soffici, Palazzeschi, Pea, Carrà, Rebora, Cardarelli, De Chirico, Saba, Boccioni, Cecchi… Poeti, artisti, scrittori che si incontrarono (e talvolta si scontrarono) con il poeta dell’“Allegria”. Rapporti che tra sfuriate e grandi prove d’amicizia, tra aneddoti e interpretazioni, Leone Piccioni ricostruisce per Succedeoggi

Per ragioni di lavoro e di studio mi sono intrattenuto molto, e devo dire piacevolmente, con poeti, artisti, scrittori che si incontrarono (e talvolta si scontrarono) a Parigi tra il 1913 e il 1918, pressappoco, tutti italiani. E, strano a dirsi, quasi tutti coetanei, per lo più nati tra il 1881 e 1885. Ungaretti era dell’88. Ho pensato a loro perché in una lettera di Ungaretti a Soffici del 12 maggio 1918 il poeta dell’Allegria si esprime così: «Sono contento; ci sono dodici nomi che valgono, sono contento: ognuno ha una cosa da dire sua propria, bravo anche per averci incanalato in questo senso essenziale». Ungaretti non fa nomi, proviamo noi a identificarli con molte probabilità di errore: Papini, Soffici, Palazzeschi, Pea, Carrà, Rebora, Cardarelli, De Chirico; e siamo a otto. Aggiungiamo lo stesso Ungaretti, Saba che non può mancare e inseriamo anche il nome di Boccioni e proviamo a dire Prezzolini. Ma a Carrà Ungaretti aveva sempre parlato soltanto di sei o sette nomi e io penso (sempre con tanta probabilità di smentita) che cerchi ora solo i poeti e questi potrebbero essere Papini, Soffici, Palazzeschi, Pea, Rebora, Cardarelli, Saba. (Nell’epistolario ungarettiano si trova anche una proposta, ora concreta, per le persone che vorrebbe accanto a sé per fondare una rivista letteraria. Più o meno ai soliti nomi si aggiungono quelli di Bontempelli, Montano, Saffi, Baldini, Bacchelli).

Pea: inutile dire che l’amicizia e la grande stima per Pea nascono addirittura ad Alessandria. Lo Spaventacchio del ’14 piacque molto a Ungaretti che riuscì a farlo pubblicare come una delle più belle raccolte di poesie del tempo, ma poi venne Moscardino seguito, per rimanere in Egitto, dal Servitore del diavolo, opere narrative che misero un po’ in ombra la poesia di Pea. Carrà: i suoi rapporti con Ungaretti furono sempre ottimi e ci furono anche importanti momenti di collaborazione tra loro.

Papini fu subito e per un lungo tempo un punto di riferimento insostituibile per Ungaretti: lo chiamava il “Principe” della sua epoca, senza Papini non si potrebbe probabilmente capire il primo Ungaretti, ma i rapporti tra i due andarono allentandosi quasi fino a dileguarsi senza alcun movente particolare. Forse Ungaretti si stava accorgendo di aver dato troppo a Papini nei primi anni, ma un fondo di amicizia rimase sempre. Quando a Subiaco nel ’28 Ungaretti si convertì alla religione cattolica, una delle pochissime cartoline di saluti che mandò in giro fu per Papini.

01-00075524000009 - IL POETA GIUSEPPE UNGARETTI CON CECCHI E CARDARELLISoffici fu una grande amicizia per Ungaretti durata tutta la vita: lo stimava inoltre per i suoi grandi libri narrativi (per esempio Kobilek), lo riteneva uno dei più importanti pittori italiani, forse aveva qualche perplessità sulla sua poesia, le stesse perplessità che De Robertis espresse per le ultime produzioni poetiche di Soffici. Cardarelli, Spadini: a casa di Cecchi si svolge una indimenticabile discussione tra Spadini e Ungaretti. Spadini è considerato il migliore pittore italiano, ma Ungaretti a squarciagola gli ripete che De Chirico è il solo, il solo. Cecchi cerca di calmarlo, e ora è Spadini a gridare che la pittura di De Chirico è brutta, finché Spadini e Ungaretti vengono alle mani. Cardarelli riesce a dividerli e Ungaretti rasserenatosi scoppia a piangere e si protende ad abbracciare Spadini. «Non ho che superbia e bontà» aveva detto di sé Ungaretti. In casa Cecchi era benvenuto, ma temevano le sue accensioni. Era certamente molto buono nel fondo. Ecco un episodio: nel ’22 Ungaretti e De Chirico si trovavano entrambi a Parigi, senza una lira in tasca. De Chirico decise di partire all’improvviso per non pagare l’affitto di casa. Ma non portò con sé alcuni quadri che lasciò in portineria. Ungaretti li vide e chiese alla portiera che cosa ne volesse fare: «Li porterò – rispose – al Mercato delle Pulci». Ma Ungaretti non volle: prese lui i quadri e li vendette ai prezzi ridicoli di allora. Ne acquistò diversi Breton. I soldi che Ungaretti racimolò li spedì immediatamente a De Chirico, un valore che oggi sarebbe di milioni. (Nella foto, si riconoscono da sinistra Cardarelli, Ungaretti, Vincenzo Talarico, e, ultimo a destra, Emilio Cecchi, ndr).

Rebora: certamente Ungaretti lo conosceva e aveva ammirazione per lui e non restò certo indifferente al notevole gruppo di poesie che Rebora stampò sulla Voce tra il ’13 (si trattava dei Frammenti lirici) fino al 1915. Eccoci a Cardarelli: sui suoi rapporti con Ungaretti si potrebbe scrivere un romanzo: alti, bassi, insulti, controinsulti, menzogne da parte di Cardarelli che in una lettera pubblicata a Tarquinia dal Centro Cardarelliano afferma che Ungaretti non è affatto nato in Brasile ma in Calabria e che suo padre era un tenore lirico da strapazzo e via di seguito. Ungaretti da parte sua scrivendo a Cecchi lo metteva in guardia dalla sua amicizia per Cardarelli: «C’è – scriveva – un Cardarelli uomo e c’è un Cardarelli scrittore. Il Cardarelli uomo dovresti conoscerlo. È quello che faceva stampare da L’Italiano versi tuoi con su “quando la musa soffia al cul di Cecchi”. È quello stesso che diceva in una riunione di scrittori francesi che tu eri un giornalista qualsiasi». Eppure nonostante tutto ciò quando in occasione della seconda edizione del Premio Strega (e io torno a dire che sono l’unico superstite di quanti votarono allora) Cardarelli decise di partecipare con Villa Tarantola, Ungaretti si scatenò come il più profondo sostenitore del Premio a Cardarelli, tenendo veri e propri comizi. Ma Ungaretti, si sa e si è visto, replicava a brevi, quasi incontrollabili scatti d’ira con una grandissima capacità di sostegno e bontà.

Ungà TraversoSaba, infine: due grandi poeti che si amavano e si stimavano anche quando appariva qualche dissenso tra il loro modo di considerare la poesia. Una volta ad esempio Ungaretti inviò a Saba una edizione del Sentimento del tempo. Se lo vide tornare indietro, con tante lodi e complimenti ma con la proposta di Saba di apportare parecchie varianti al testo che a suo dire sarebbe così migliorato.

Voglio chiudere queste note che sono servite ad accostarmi di nuovo ad artisti amati e rispettati, con un episodio molto divertente e anche importante. Quando scattò il movimento del “Ritorno all’ordine” (certamente mosso da ideologie fasciste), Soffici che era stato il primo ad avere scoperto i quadri della stagione impressionista, li rifiutò tutti in blocco definendoli pittura decadente e rifiutando anche Mallarmé. «Tu rifiuti – gli scriveva in sostanza Ungaretti in un articolo sul Tevere del ’29 – le cose che hai amato più di tutte, non ti danno più piacere le natiche delle ragazze di Renoir. Nemmeno le zinne di quelle di Degas? Né più ti piace la delicatezza ineffabile dei momenti di Medardo Rosso» e concludeva: «Mi sembrava, secondo le più remote immagini, che danza e musica diventassero poesia. Mi sembrava che musica e parola, parola e danza, il ritmo, fosse all’ordine della poesia umana, e tuttora accompagnasse i moti della nostra natura. Ma oggi un amico che mi è carissimo, Soffici, vorrebbe farmi credere che sia stranezza da decadenti la musica nella poesia». (Nella foto,  intorno a Ungaretti da sinistra: Marise Ferro, Leone Traverso, Osanna Piccioni, ndr).

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