Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Tra gli dèi e l’uomo

I versi di Wole Soyinka tratti dal poema “Idanre” dimostrano come tragedia, epica, potenza conoscitiva e magica della poesia possano essere preservate, collegandosi così alla grande tradizione greca e latina dei tragici e di Ovidio

«Il poema Idanre nasce da due metà separate della stessa esperienza. La prima fu una visita alle colline rocciose con quel nome, un pascolo soffuso di senso del divino dove si trovano giganti e mastodonti primordiali pietrificati in qualche strano passato, allattati da nebbie e nubi. Tre anni più tardi, e duecento miglia più lontano, un forte temporale lacerò lo spazio e gli anni intervenuti, lasciando un sedimento d’inquietudine che mi legava a sensazioni irrisolte e persistenti della mia prima salita a Idanre. Abbandonai il mio lavoro, nel bel mezzo della notte, e presi a camminare. Idanre è il resoconto di quel cammino attraverso i boschi bagnati appena fuori Molete, un pellegrinaggio a Idanre in compagnia di presenze che dilatano la mente e cancellano i mondi conosciuti. Tornammo all’alba, il sole sorgeva appena sotto il profilo della capanna dove avevamo trovato riparo nel viaggio di andata. La venditrice di vino di palma attendeva ancora, l’unico essere umano oltre a noi che vegliava in quella vasta notte presciente, eppure presenza eterna la cui generosità mi aveva collegato alla terra dall’essenza sublimante della notte».
Questa è l’introduzione di Wole Soyinka al suo poema Idanre. I lettori di Succedeoggi hanno già incontrato il grande scrittore nigeriano Premio Nobel per la letteratura (ritratto nella foto con Roberto Mussapi, ndr) in questa mia rubrica. Oggi, poiché – più che comprensibilmente – in molti luoghi è stato proibito il Capodanno con i botti, noi lo festeggiamo con un superbotto. Versi (nell’ottima traduzione della poetessa Patrizia Villani), estratti dal poema cosmologico del grande scrittore, che attestano come tragedia, epica, potenza conoscitiva e magica della poesia non siano sfiorate dal minimalismo e dalla cattiva letteratura dominante. Leggete questa visionaria Genesi, che si collega alla grande tradizione greca e latina dei tragici e di Ovidio. Con la strepitosa neomodernità dell’inglese nigeriano, una nuova lingua, come quella del caraibico Derek Walcott. L’inglese che torna, grazie ai grandi scrittori delle ex colonie, ai fasti elisabettiani, ridicolizzando l’inglese egemone e bolso dei computer, delle multinazionali, della pubblicità, del marketing.
Buon anno, col botto, cari lettori, e auguri A te, indomabile combattente per la libertà, il leone, lo Shakespeare nero, auguri a te, Wole!

 

 

Soyinca e Mussapi

Eravamo alle colonne di Idanre e il Dio di Ferro

si abbandonò al dolore. Il suo petto,

sommità della collina, si piegò, schiacciato

da nubi dense di gesta che mutavano sembianze

e forme accusanti.

 

Avevano conosciuto unità e concordia finché il Male

rotolando giù dalla collina dell’Inizio

frantumò il divino nucleo in un milione di luci.

Gioì il cuore del traditore (Atunda), schiavo degli dèi

coperto di terra per quel gesto.

 

Il passaggio dell’uomo, preordinato, e venti che si chiamarono da sé

per la ricostruzione (pezzo a pezzo fu la loro abile rinascita,

guscio concavo di tartaruga, rivestimento di terracotta

a scacchiera). E il monolito dell’uomo cerca ancora

la fame cieca nel ventre nascosto della strada.

 

S’innalzavano davanti a noi i massi di Idanre e si affliggeva il dio,

le vene morivano nella carne della terra

dissanguate di ogni lustro, si sgretolavano i filoni

e i fuochi erano ridotti in cenere. Luce, più

di quanta un corpo umano possa sopportare.

 

(…)

 

In basso, fra scudi di rocce, dimora del Dio di Ferro

il sole aveva acceso un fuoco nel cuore di pietra

della terra. Fiamme in preda ad attacchi febbrili

correvano nelle fessure della roccia, e le superfici delle colline

ardevano della trasparenza terrestre

 

Orisa-nla, Orunmila, Esu, Ifa erano riuniti,

fallito il compito di fraternizzare con l’uomo

 

Senza una parola egli si alzò, cercò la conoscenza fra le colline,

Ogun il solitario vide tutto, le vene segrete

della materia, e i filoni che giravano in cerchio –

la spenta folgore di Sango gli servì da martello

le sue dita toccarono il nucleo della terra, che cedette

 

a pensarci, un mero flagello di caos circoscritto

stava tra gli dèi e l’uomo.

Wole Soyinka
(Da Idanre, traduzione di Patrizia Villani)

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