Alberto Fraccacreta
L'elzeviro secco

Il fuoco di Luzi

A dieci anni dalla morte di Mario Luzi occorre ancora rileggerlo. La sua poesia, nel momento in cui è letta e assorbita, diviene come una lacrima di sangue pagata a caro prezzo

Se mi chiedessero di riferire in poche battute che cos’è la poesia, pro­babilmente leggerei Aprile-amore di Mario Luzi, da Primizie del deserto, la cui evoluzione dinamica si snoda in un crescendo di intensità emotiva senza mai “perdere colpi”, come si dice in gergo meccanico, quando lo scoppio del motore, per mancata scintilla, è interrotto. Il fuoco è qui vivo, inesauribile: si ha l’impressione di essere rapiti dalla potente e sicura voce del poeta, che guida con tono sincero verso un luogo sempre uguale, sempre alla cortina di cristallo del tempo. A questo proposito ricordo una frase molto significativa dai Quaderni di Simone Weil: «L’arte (qualsiasi arte) si riferisce a due cose: il lavoro e l’amore».

Che rapporto hanno nella poesia? Innanzitutto, se amore e lavoro non sono sinonimi, poco ci manca. Si deve lavorare molto per ciò che si ama, e anche si deve amare ciò per cui si lavora (frase salmodiante alla Meister Eckhart). Il lavoro sembra dunque un’altra faccia dell’amore, e il lavoro del poeta, in particolare, appare come l’amore dell’amore, il lavoro del lavoro. Tale è almeno il senso che Luzi diede alla sua personale ricerca.

mario luziAprile-amore parla proprio del poter vivere nello stato di eterna grazia, stato in cui il poeta si ritrova a contemplare il creato, baciare la terra come Alësa Karamazov «a contatto con gli innumerevoli mondi», mentre pur dolorosamente scri­ve. La pena è, appunto, durare oltre quell’attimo, superare il campo dello splendore per dar posto all’ordinario. L’inferno dopo il Paradiso, – il viaggio dantesco rovesciato.

La poesia di Luzi, nel momento in cui è letta e assorbita, diviene, per chi in essa si cimenta, una lacrima di sangue pagata a caro prezzo. E «la lacrima – suggerisce Brodskij in Fondamenta degli Incurabili – è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all’uomo». L’opus poeticum luziano, creando un tempo nuovo, dimostra di saper rompere lo spazio e il tempo. Dilania queste due categorie. Ciò che esce dalla pagina disarticola gli assi cartesiani, brucia gli i­stanti, riesce a conseguire un barlume di eterno. «Eterno è il tempo./ È tempo l’eternità» è detto mirabilmente in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.

Emerge, dunque, una sorta di “fisica del verso” dalle liriche del poeta toscano? Se è così, in tale fisica non regna certo sovrano il principio di non-contraddizione, ma l’an­ti­no­mia, la capacità cioè, tipica degli scrittori, di assommare con la forza dell’immaginazione due aspetti discordanti del reale e farli convivere, anzi trovare in essi, nella loro compresenza, la pienezza delle cose. Conferendo, inoltre, a tale scoperta un sostrato fortemente epistemologico.

L’esperienza fondamentale di Aprile-amore credo sia la ricerca di un amore adulto: un amore povero (non un povero amore) che sappia durare oltre l’attimo. L’amore aiuta a vivere, quando il pensiero della morte ci ac­­compagna. E quando ci allontaniamo dall’esistenza, sembra intimarci Luzi, ci allontaniamo anche dall’amore, se è vero che amore ed e­si­stenza sono sinonimi. Il pensiero della morte è pensiero del non amore o di un amore non adulto, il quale, attraverso la via varicosa della sofferenza, desidera annientare ciò che esiste. In questa consapevolezza vedo qualcosa che intimamente ci lede, un essere schiac­ciati, un sibilo. Ma la poesia vuole eterno ciò che scrive. La poesia è acerrima nemica del tempo. Sa bene che esso è un prestigiatore e vuole smascherarlo. Il tempo è un’impressione umana. La poesia funziona come disillusione del tempo, perché agisce nel riflesso dell’amore. Il tempo e la morte sono irrealtà, la poesia e l’amore sono la realtà.

«Il tempo ci conduce – sempre – dove non vogliamo andare. Amare il tempo» suggerisce ancora Simone Weil. Ciò significa amare il dolore, la condizione lacerante di disfacimento, che è poi la condizione stessa di Aprile-amore, nella quale si deve sostenere il peso del vuoto, divenuto quasi un’impossibilità morale. «Questo sentimento di impossibilità è il sentimento del vuoto. Contemplarlo a lungo con accettazione significa aprire il passaggio alla grazia».

Mario Luzi, poeta che più di altri è stato in grado di esplorare tutte le possibili soluzioni liriche, riesce a durare oltre quell’attimo – pur provandone pena – perché, attraverso l’esercizio della parola, penetrando, secondo il desiderio di Miłosz, «fino al cuore della realtà», ha col­to il mes­saggio di trascendenza iscritto nell’universo. Il suo grandissimo capolavoro Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, opera paragonabile in fascino e profondità a una Gerusalemme liberata, ne è stata piena testimonianza.Sostenendo il pensiero del vuoto, Luzi ci insegna ad aprire le trafitture dell’animo per il passaggio della grazia. Per un amore più adulto.

L’amore aiuta a vivere, a durare,

l’amore annulla e dà principio. E quando

chi soffre o langue spera, se anche spera,

che un soccorso s’annunci di lontano,

è in lui, un soffio basta a suscitarlo.

Questo ho imparato e dimenticato mille volte,

ora da te mi torna fatto chiaro,

ora prende vivezza e verità.

 

La mia pena è durare oltre quest’attimo.

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