Erminia Pellecchia
Dopo Ravello, oggi concerto a Roma

Generazione Francesco De Gregori

Schivo e riservato, Francesco De Gregori accompagna gli spettatori in un lungo pellegrinaggio nel proprio repertorio. Alla ricerca delle radici comuni

Pezzi di sorriso, pezzi di lacrime, pezzi di canzone, pezzi di storia, pezzi di vita che diventano viaggio… Nella scaletta del concerto che Francesco De Gregori ha tenuto lo scorso 10 luglio a villa Rufolo non compare, tra i tanti brani cult evocati, Vai in Africa Celestino. Eppure le parole-immagini di quella ballata del 2005 risuonano nella mente, sembrano essere il leit motiv sottinteso di una serata densa di emozioni, condotti per mano dal cantautore romano in un viaggio, appunto, tra pezzi di storia e di canzoni, che rappresentano la sua, la nostra vita, intrecciate da oltre quarant’anni, a partire dalla lirica Signora aquilone, apparsa nel 1972 nell’album Theorius Campus registrato allo Studio 38 dell’Apollo di Roma e firmato con Antonello Venditti.

Il Ravello Festival ha compiuto l’ennesimo prodigio. Sembrava impossibile, dopo la magnetica, irripetibile performance di Philip Glass & Laurie Anderson (clicca qui per leggere l’articolo di Silvio Perrella), sentire ancora brividi sulla pelle. Era appena il giorno prima, tra il pubblico, anonimo spettatore sospeso tra silenzio e stupore, anche Francesco. Subito volatizzatosi al termine, sfuggendo alla mondanità del rinfresco post esibizione e mantenendo, così, fede all’immagine schiva e riservata che di lui ci siamo fatti nel tempo. Timido, timidissimo. Morbido e ruvido, De Gregori, altro che algido e superbo come talvolta l’hanno dipinto i media. Ed eccolo lì, morbido e ruvido come piace a noi, l’indomani sul palco-belvedere dell’antico palatium ravellese. Altissimo, dinoccolato, cappellino e occhiali neri d’ordinanza, le immancabili chitarra e armonica indossate come un abito fin dagli esordi al Folkstudio di Roma sulle orme del suo idolo Bob Dylan, a regalarci “pezzi di stelle” nel cielo-mare stellato della Costiera, a trasmetterci l’anima delle sue canzoni, quelle che lui ama, quelle che noi amiamo, a farci sentire popolo dell’universo senza tempo e senza spazio che è la musica.
Quasi due ore tutte d’un fiato. Senza sbavature, retorica, cedimenti nostalgici, lo strizzare l’occhio a successi orecchiabili di facile presa sul pubblico.

De Gregori Ravello Festival - ph Pino Izzo 5È stato un cortocircuito di sensazioni uniche, un abbraccio che ha unito, per una notte, generazioni diverse, quella cresciuta con lui ai tempi del vinile, quella dei figli di quest’era digitale che stanno riscoprendo il fascino dei microsolchi sepolti in cantina e delle voci incise in un’epoca quando l’ascolto era condiviso, non distratto come è ora. La partecipazione è stata autentica, fianco a fianco sessantenni, quarantenni, ventenni, a dimostrazione che l’obiettivo che “il principe” si era prefissato con il doppio album Vivavoce, certificato disco di platino, e l’omonimo tour promozionale lungo lo Stivale e in Europa è stato raggiunto. «Stammi a sentire bene quando devo parlare, pulisciti le orecchie, togliti l’auricolare», avverto in Finestra rotta – ha spiegato De Gregori all’uscita di questo disco di cover di se stesso che aveva in mente da una vita –. Questo fatto di togliersi l’auricolare vuol dire attiva il vivavoce. Sono canzoni che vorrei venissero ascoltate con un senso di comunità generazionale». Ed è stato così. Solo sonorità, solo ritmo, lo sfogliare il diario dei ricordi rivisitati, l’attraversare classici e non del suo repertorio aggiornati e sviluppati, evoluti e rimaneggiati in versioni alternative, alcuni radicalmente, altri parziali, che conservano, però, lo spirito originale, mostrando oggi la stessa forza di ieri: brani tornati vitali come lo è il progetto di un artista che a 64 anni sta vivendo una nuova giovinezza e lo dimostra con tanta voglia di divertirsi e di sperimentare ancora.

Non parla con gli spettatori Francesco, non interrompe il filo emotivo con dichiarazioni che risulterebbero banali. Il suo dialogo generoso e spontaneo con la platea, un battito all’unisono che lega e unisce, è fatto solo di note in un gioco complice teso ad entusiasmare e confondere soprattutto quando spiazza cambiando i tempi di quel motivo che vorremmo intonare a coretto. Come con l’intensa istantanea di Viva l’Italia che ci ricorda che c’è un futuro per il nostro Paese ed è nelle nostre mani, che ci restituisce l’orgoglio di una nazione che potrebbe farcela se capirà che diritti e doveri vanno di pari passo. Come per La leva calcistica della classe ‘68 in versione acustica, arricchita dagli arpeggi di chitarra in apertura. È un De Gregori uguale e diverso quello che ci troviamo davanti e che ci offre un concerto corale. Meno solitario, questa è la novità, grande spazio è dato alla band che lo segue da tanto e con cui è evidente l’affiatamento. Musicisti di alta qualità che vanno assolutamente citati: al basso Guido Guglielminetti, che è anche il produttore di “Viva Voce”; alla batteria Stefano Parenti; Paolo Giovenchi alle chitarre; Alessandro Arianti, hammond e piano; Alex Valle, pedal steel guitar e mandolino; al violino l’immancabile compagna di avventure Elena Cirillo; al trombone Giorgio Tebaldi; alla tromba Giancarlo Romani; al sax Stefano Ribeca.

Una gioia per le orecchie, una carica irresistibile. Si spazia dal folk al rock con incursioni jazz in un palco pieno di luci che assecondano e scandiscono la partitura dei 18 pezzi selezionati, tra i ventotto dell’album, con una scaletta che cambia da concerto a concerto, rendendo le tappe del tour (prossime date, stasera, 15 luglio, alla Cavea dell’auditorium di Roma, poi il 18 a Milano) ogni volta esclusive. Non c’è ordine cronologico o definito. L’improvvisazione regna, è Francesco, di volta in volta, a costruire il racconto. Se il 20 marzo con il debutto nella città natale in un Pala Lottomatica sold out l’ouverture era affidata a Finestre rotte, qui a Ravello si cambia registro, esordendo con la quasi inedita Il canto delle sirene, da anni non eseguita live. Tra le perle Il panorama di Betlemme, protagonista assoluta la chitarra elettrica, Bellamore, Caterina, Atlantide e il cult dei cult Generale, il celebre riff nascosto, trasformata da canzone di guerra in canzone di pace. E, ancora, Niente da capire, un omaggio non tanto celato all’amico scomparso Lucio Dalla, Falso movimento, la romantica Buonanotte fiorellino, tanto bistrattata dalla critica, tanto cara alla gente comune che vuol semplicemente sognare. Una breve pausa per presentare la band e si prosegue verso il finale con capolavori quali Sotto le stelle del Messico, Alice alleggerita quasi a valzer, La donna cannone in versione orchestrale e Rimmel, il primo vero successo, di cui ricorrono i quarant’anni che saranno celebrati, il 22 settembre, all’Arena di Verona. Un compleanno da festeggiare in musica con gli amici di sempre: Malika Ayane, Caparezza, Elisa, Fedez, Giuliano Sangiorgi, Ambrogio Sparagna, L’Orage e Checco Zalone (si parla già di un prossimo grande spettacolo a supporto del nuovo film del comico pugliese in uscita il primo gennaio 2016).

Luci accese e il doppio bis di A chi e Fiorellino #12&35, dedicata al Dylan di Rainy Day Woman per chiudere con un sorriso e la promessa che corre nell’aria di un prossimo lavoro dedicato ad alcune traduzioni del guru della canzone d’autore contemporanea. «È stata una magnifica serata, ci siamo divertiti, continuiamo così anche nella vita»: il saluto e l’augurio del principe non più orso che ha ritrovato il piacere di comunicare con il suo pubblico.

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