Nicola Bottiglieri
Dopo la cerimonia al Ninfeo di Valle Giulia

Letteratura e degrado

«La Ferocia», romanzo glamour (neo vincitore del Premio Strega) di Nicola Lagioia a noi non è piaciuto per niente: gioca troppo con le parole e con la realtà. Parla più di degrado che di violenza. Senza mai dire la verità fino in fondo

Un mese e mezzo prima del suo trionfo annunciatissimo al Premio Strega, aveva pubblicato questa recensione del romanzo di Nicola Lagioia. La riproponiamo ora perché, dopo il successo al Ninfeo, siamo ancora più convinti delle nostre ragioni…

Leggendo con curiosità e fatica il romanzo di Nicola Lagioia (La ferocia, Einaudi, 418 pagine, 19,50 euro), arrivato a pagina 52, improvvisamente mi sono sentito come Harry Potter che nell’episodio L’ordine della Fenice: entra nell’Ufficio Misteri del Ministero della Magia (qui si trovano i fenomeni della magia difficili da spiegare, come l’amore, il pensiero, la vita, la morte, il tempo, il sangue, ecc.)e vi trova molti scaffali sui quali vi sono innumerevoli ampolle. Il Ministero si trova sotto la City ed è interdetto ai Babbani, ed essendo un luogo magico ha finestre dipinte e temporali a comando. Nel misterioso ministero ogni ampolla è una magia. Giacciono silenziose, ma la loro quiete è già minaccia. Infatti, se scoppiano sovvertono l’ordine delle cose, ma se esse scoppiassero tutte insieme, sarebbe un vero disastro. Ora noi sappiamo che la differenza fra rivoluzione e confusione è molto labile, sia nella realtà ma soprattutto in letteratura. Affinché le due cose siano ben distinte in letteratura bisogna avere una forte idea guida, ma soprattutto una robusta strategia di scrittura, la quale sappia discernere ad ogni passo la verità dall’artificio. La verità, infatti, quando si manifesta esplode, il trucco invece quando si vede stupisce. Poi quando si scopre, fa ridere. Ma anche qui, capire la differenza fra la “rivelazione” della verità o della magia è impresa ardua, rischiando sempre di sprofondare in un gran casino.

Per capire bene cosa significhi per me strategia di scrittura, faccio riferimento, tanto per fare un nome, a Raymond Carver, che non c’entra niente né con la scrittura né con il mondo pugliese di Lagioia. In Carver non vi è solo l’economia della parola ridotta all’osso, ma in ogni sua riga traspare il pudore della verità e il candore abbagliante della rivelazione. Si capisce subito che Carver non gioca con la ricerca degli effetti, ma è disposto a inseguire anche sotto terra la luce di una nuova e precaria verità. La letteratura che costruisce magie ad ogni pagina o crea capolavori oppure diventa un gran casino. Il libro di Lagioia si trova in mezzo a queste due alternative, oscillando di qua o di là secondo i casi. Soprattutto nella prima parte, perché dopo, miracolosamente, migliora.

nicola lagioia la ferociaA cosa mi riferisco quando parlo di magie nelle pagine di Lagioia? Non c’è bisogno di elencarle, perché sono migliaia, basta aprire una qualsiasi pagina e ne trovi un paio. Perciò non voglio mettere in evidenza (come hanno fatto molti) le incongruenze sintattiche, gli “incastri semantici”, le ridondanze volute, lo stravolgimento del significato delle parole, lo sdoppiamento del punto di vista, i ghirigori della lingua, gli gliommeri avrebbe detto Gadda (c’è verità anche nell’errore!) e le altre diavolerie frutto dell’intelligenza e della perversione scrittoria, ma voglio fare solo un esempio, uno dei più innocenti, che appare a pag. 58. Qui si parla di una telefonata. «Chiamò il presidente della Corte d’appello di Bari. La centralinista lo mise in attesa. Vittorio sfruttò le note di Imagine per distruggere il piccolo nesso causale che tremolava tra lui e la persona che stava per rispondere al telefono».

Cosa significhi esattamente questa frase Dio solo lo sa! Certo, può significare tante cose! Che Vittorio si concentrò sulla canzone e si dimenticò del Presidente? Che l’utopia delle parole di Imagine cozzava contro la prosaica realtà del presidente? Che il personaggio si annoiava per l’attesa e imparò a memoria le parole della canzone? Ecc. Oppure tutte queste cose insieme? Forse, proprio questo voleva fare lo scrittore: dire tante cose insieme, una sinapsi del senso. Far vedere, quanto si è bravi a giocare con le parole e ad ingannare il lettore. Ma non voglio insistere su questo punto.

Voglio prendere, invece, questa frase come paradigma del rapporto che lo scrittore stabilisce con il suo pubblico. Vittorio è lo scrittore che telefona a noi lettori, Imagine è il romanzo che canta in mezzo a noi due. Cosa fa lo scrittore? Vuole usare la letteratura per distruggere il piccolo nesso fra noi e lui, oppure vuole fare il contrario, stringere un rapporto di complicità con noi? Oppure ci sta ingarbugliando in una tremula, magica ragnatela? E se la letteratura è davvero tremore di fronte alla bellezza (nascosta) del mondo, perché non aiutarla a rivelare la natura del tesoro?

Tuttavia il libro non merita di essere abbandonato subito, anche se ne hai proprio voglia quando leggi questa frase: «Non fu di conseguenza pensando a queste cose, bensì lasciandole bollire in una pentola a pressione, che Vittorio andò a trovare il primogenito», pagina 117. (La testa di Vittorio è simile ad una pentola a pressione oppure ha messo i pensieri a cuocere e si dedica ad altro? Quale verità viene rivelata associando i pensieri alla pentola a pressione?)

Dopo aver litigato a lungo con il romanzo nella prima parte, mi sono dedicato alla seconda, che migliora di molto, fino ad arrivare alla terza parte che scorre bene, senza intoppi. E tuttavia, se non assistiamo più a questi giochi di senso, rimane un dubbio.

Il romanzo è intitolato La ferocia e noi abbiamo cercato illuminazioni per questo tema di grande attualità. Infatti, la ferocia non è più un comportamento occasionale ma è divenuto un modo di essere costante e pervasivo della modernità. Viene continuamente celebrata a livello economico (vedi il rapporto feroce fra la Grecia e l’euro) a livello politico (vedi le incessanti guerre di religione e non) a livello sociale (gli affogamenti di migliaia di poveri Cristi nel Mediterraneo) come linguaggio della comunicazione (gli sgozzamenti in pubblico). Essendo, quindi, frastornato da questi comportamenti belluini del mondo moderno, ho letto con avidità queste pagine per vedere come essa si manifestava nella Puglia nostrana. La quale regione è rappresentata dalla famiglia Salvemini e da quanti vi girano intorno. Vittorio Salvemini inizia la sua ascesa sociale, inquinando di sé tutti membri della famiglia. Compreso il figlio Michele, che vuole donare fegato e prostata a suo padre. In questo mondo degradato anche il dono finisce per essere inquinato, come lo sono i rapporti tra fratelli, a volte violenti a volte quasi incestuosi. Insomma tutto il romanzo ci è sembrato la descrizione di una degradazione senza fine, più che di una ferocia, ponendosi a metà strada fra Gli indifferenti di Moravia e quella tradizione di “letteratura meridionale” che lo stesso autore in una intervista richiama, quella dei Viceré di Federico De Roberto.

La famiglia Salvemini è presentata in questo modo: Vittorio è il padre corrotto, donnaiolo che ha avuto il figlio Michele fuori del matrimonio; Annamaria è la moglie di Vittorio che subisce l’arroganza del marito; Clara figlia di Vittorio è la ragazza trovata morta suicida (?) all’inizio del romanzo; Ruggero, fratello oncologo e Gaia la sorella minore. In questo solido e precario nucleo familiare vi sono tutti i colori della corruzione, della degradazione, della ruggine familiare ma non della ferocia. Infatti, etimologicamente feroce significa comportamento della belva delle selve, ossia animale avido di sangue, e per estensione guerriero che procura morti senza ragione o pietà. Qui, più che di ferocia, si assiste invece a degradazione, dove regnano senza appello sesso e danaro. Che inquinano senza pietà le famiglie, i rapporti sociali, l’economia, il territorio. E, credo che in questo senso vada letto. Infatti le pagine più belle sono quelle che descrivono gli animali, i grilli, i gatti, i topi, gli uccelli uccisi dall’inquinamento. In esse c’è stupore sincero, verità trasparente ed una bella levità di scrittura. Potesse Nicola Lagioia donarci un «Cantico delle creature immonde» ne saremmo tutti felici.

Che Lagioia sia un promettente giovane scrittore tutti lo affermano, mi chiedo se questo romanzo salutato come una rivelazione e addirittura vincitore del premio Strega, possa davvero indicare una strada benigna per la letteratura italiana. Se gli editor della casa editrice gli avessero fatto espungere quei giochi verbali ed una cinquantina di pagine, il risultato sarebbe stato migliore!

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