Pier Mario Fasanotti
Un bel libro di Neri Pozza

Malaparte mattatore

Da Mussolini a Togliatti. Osvaldo Guerrieri ricostruisce la vita istrionica, contraddittoria e piena di colpi di scena di Curzio Malaparte: un campione di italianità

Grande personalità, colto e arguto, rivolgeva la sua attenzione essenzialmente su se stesso. Ascoltava ed esaminava pochi altri, quelli che in un certo senso gli potevano servire per reggere il suo ruolo di maître à pensercon tratti da teatrante o per allargare il suo palcoscenico. Quando passeggiava sulle spiagge di Lipari (luogo di esilio), di Forte dei Marmi o di Capri, era completamente depilato e il suo corpo atletico e asciutto era cosparso di olio. Come un atleta dell’antica Olimpia. Curzio Malaparte, l’intellettuale dandy di un fascismo che andava ora deridendo ora ossequiando, è stato l’ultimo dannunziano del secolo scorso, avvolto dall’incontenibile piacere di essere se stesso. A guerra finita, una giovane parigina lo descrisse con poche ed efficaci parole: «Affascinante, certo. Ma non simpatico. È un uomo sempre in posa, un uomo in maschera». Grande affabulatore, battuta pronta e sottile, era in controtendenza quando si trovava all’estero, furbescamente irrispettoso quando era all’ombra di Palazzo Venezia e dintorni immediati.

Ha attraversato il ventennio con passi felpati – non a caso il suo vero sogno era di diventare ambasciatore – salvo, da irriducibile toscano nato a Prato, mostrare scatti di nervi, idiosincrasie, snobismo, orgoglio, senso di onnipotenza assieme alla sindrome dell’escluso, marcata antipatia verso i gerarchi ignoranti, caricaturali.  Pochi anni dopo la Marcia su Roma, comincia ad annusare i sintomi dello sfascio di un sistema politico che presto deluse le sue aspettative, che poi si riassumevano in una sola parola: novità. Eppure, malgrado certi schiaffi del primo romagnolo d’Italia, ha potuto contare su almeno cinquemila lire al mese, per vari anni. È il ritratto, stilisticamente superbo, del geniale vanesio, che compare nel libro Curzio, di Osvaldo Guerrieri (Neri Pozza, 317 pag. 17 euro).

curzio malaparte a lipariL’autore racconta la vita di quest’animale da palcoscenico, raffinatamente istrionico, a partire dal confino di Lipari. Su quell’isola battuta dallo scirocco, ce lo aveva mandato il Duce su pressione di “pizzo di ferro”, alias Italo Balbo, impermalosito dopo una scazzottatura verbale. A Regina Coeli per 55 notti, poi (a fine novembre ’33) il confino per cinque anni. «Un inferno», commenta Curzio che s’impigrisce anche perché non può mandare articoli ai giornali. E lui, che di nome vero faceva Kurt Erich Suckert (cambiato dal ’25), smaniava. Non riusciva nemmeno a completare il libro destinato all’editore Grasset di Parigi. Curzio, con gli occhi da cinese e le labbra da rettile, a Lipari era riverito dai suoi custodi. Molti lo chiamavano Eccellenza. Di donne ne ha finché vuole, ma lo annoiano subito: appiccicose. E poi considerava il sesso un’operazione «igienica», meglio se una sola volta la settimana. L’unico vero amico il randagio che chiama Febo, «cane filosofico», che lo ascoltava per ore e ore e con la coda dava cenni di assenso oppure lo guardava perplesso.

Mussolini, che manovra divertito i fili della nevrotica e irriverente marionetta, lo fa spostare a Forte dei Marmi. Curzio rinasce Un pomeriggio è invitato in spiaggia dall’amico Galeazzo Ciano e di sua moglie Edda, nevrotica figlia del “mascellone” di Villa Torlonia. Si presenta, prima in spiaggia poi alla cena di gala con gli zoccoli e una maglietta. L’esilio finisce in anticipo. Scrive per il Corriere della Sera. L’estroso toscano diventa poi il più giovane (30 anni) direttore de La Stampa Vuole trasformare il quotidiano, renderlo popolare anche tra gli operai della Fiat. A loro fornisce pagine di sport: allora era una novità. E testimonianze di scioperi all’estero, così da rendere meno inviso alle tute blu il giornale del padrone. In redazione sta poco. Viaggia molto. È Parigi la sua città ideale. Grasset gli pubblica Tecnica di un colpo di stato. Un grande successo. Il senatore Agnelli, viste certe «disubbidienze», lo licenzia dopo un anno. In Versilia corteggia Virginia, neo vedova dell’erede Fiat, Edoardo. Vuole sposarla. La coppia si sposta a Roma, dove i progetti coniugali naufragano. Il Senatore si oppone con tutti i mezzi facendo leva sui nipoti. Virginia si arrende quando Curzio si pavoneggiava già come futuro padrone del Lingotto: Agnelli guardava già a Giovanni come erede dell’impero di metallo.

curzio malaparte 2Fonda la rivista Prospettive. Secondo le direttive del Milculpop non potrebbe, lui se ne frega e fa conoscere agli italiani scrittori stranieri. Mussolini chiude un occhio. Semmai si irrita perché Malaparte ha criticato in pubblico le sue cravatte. Gli fa una lavata di capo ma Curzio, prima di uscire lo studio del dittatore, si gira e gli dice: «Duce, anche quella che porta ora è orrenda». Va in Etiopia e lì, come scrive Guerrieri, intuisce che la rivoluzione del ’22 «si è liquefatta e ha generato un pantano» fetido. Fa l’eremita di lusso a Capri dove, deluso dagli architetti, fa costruire a un capo-mastro una villa di pietra e vetrate. La battezza “Casa come me”. Scoppia la guerra, destinata a passare «da una fanfara a una catastrofe». Curzio passeggia per Napoli accanto agli alleati. Con loro osserva il sollievo dei partenopei, ma anche la loro degradante genuflessione dinanzi ai liberatori. Lo riferirà ne La pelle (’49), secondo romanzo dopo Kaputt (‘44). È scrittore di razza. Il nuovo problema è come adattarsi a un’Italia diversa.

A Capri riceve la visita di Togliatti, che recluta intellettuali, tra cui Moravia e Vittorini. Curzio non rifiuta l’offerta di scrivere sull’Unità. Per lui è questo il canto della sirena. Al contempo, con una faccia tosta incredibile, pubblica articoli sul Tempo. Rivolta nel quotidiano di Gramsci e nell’intero Pci: viene allontanato. Alle perplessità di un amico, Curzio controbatte: «Fascista io? Semmai ho usato il fascismo». Gli rimane una rubrica su Il Tempo, poi passata a Pasolini. Scrive per il cinema, considerandosi già ben superiore a Visconti e Rossellini. Nel ‘57 va in Urss e in Cina per esplorare dal di dentro le rivoluzioni diverse dal fascismo, ma deve tornare presto in patria per una malattia polmonare. All’ultimo pare si sia avvicinato al cattolicesimo. Ovviamente molti parlarono dell’ultima sua giravolta. Nato nel 1899, muore di cancro nel ’57, a Roma. Rientra nelle sfumature della leggenda il fatto che Togliatti, in ospedale, gli abbia ridato la tessera comunista.

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