Erminia Pellecchia
A trentanove anni dalla morte

La notte di Pasolini

Iniziano le celebrazioni in memoria di Pier Paolo Pasolini: Salerno gli rende omaggio oggi con una maratona che vedrà il suo culmine con l'allestimento di «Nel nome del padre» di Antonio Grimaldi

Così buono, così maledetto. Così mite, così tormentato. Così timido, così spavaldo. Pier Paolo Pasolini, le sue battaglie di civiltà e le sue contraddizioni, una voce  scomoda, un cristo eretico e corsaro da mettere in croce. Il Golgota è una distesa di sabbia e polvere, lui riverso, a faccia in giù, nel fango, consapevole nell’ultimo istante di un destino segnato, di quella morte che sentiva e portava dentro come un carico fatale, i fratelli morti, quel 2 novembre di violenza, a piangere ed accogliere il dolce fiore delle periferie. Nel nome del padre di Antonio Grimaldi è scritto e rappresentato come un oratorio del silenzio, un vangelo pasoliniano, l’innocente sacrificato da un potere vigliacco nascosto dietro le maschere bestiali del coniglio e del maiale.

Lo spettacolo, premio “Voci dell’anima 2012 Città di Rimini”, è il momento più emozionale dell’intensa “Notte Pasolini”, a cura di Alfonso Amendola, che si snoderà oggi, a partire dalle 18,30 al Teatro Ghirelli. Chiamati dall’Università di Salerno e dalla Fondazione Salerno Contemporanea, artisti, studiosi, scrittori, giornalisti, accademici, tutti under 40, ricorderanno, attraverso parole, tracce, percorsi, idee, visioni, lungimiranze l’uomo e il poeta. Diverso eppure simile. Il Pasolini di tutti noi, il coraggio della verità che oltrepassa la morte, l’emblema, quanto mai contemporaneo, che «deve spingerci – citando l’orazione funebre di Moravia –  a migliorare questo Paese come lui stesso avrebbe voluto».

nel nome del padre antonio grimaldiIn fondo è questo il messaggio di Grimaldi, autore, regista e interprete di un lavoro intriso di bruciante amore per quel “padre” assente in cui si incarna – gli abiti bianchi, il viso scarnificato, lo sguardo puro di un bambino – reiterando, fino all’ossessione, quell’assassinio brutale che ancora si vuole soffocare. L’azione-rito è muta, a parlare sono i corpi sulle note dolenti del Violino Tzigano sussurrato da Joselito e dell’Amado mio nella versione di Pink Martin. Un canto struggente come la Mater dolorosa – la bravissima Anna Maria Vitolo – il fazzoletto nero annodato al collo, la lunga sottana, anch’essa nera, da Madonna contadina sul tragico Calvario di Ostia. Viene alla mente l’omelia-preghiera del sacerdote-poeta David Maria Turoldo ai funerali celebrati a Casarsa, in contemporanea con quelli ufficiali di Roma. Si rivolge alla mamma di Pasolini: «Eri tu la sua vera patria, il luogo della sua pace, il solo asilo sicuro, la sua vera chiesa, il segno di una fede magari bestemmiata ma mai tradita nel profondo della sua passione». In un flash back compulsivo i carnefici infieriscono con furore distruttivo. Pier Paolo cade. Una volta, due, cento. La madre è lì, sempre, pronta a soccorrerlo, a rianimarlo. Lui giace esanime tra le sue braccia di moderna Pietà vivente, tra la sabbia si intuiscono gli oggetti icona dell’intellettuale degli ultimi tra gli ultimi: la camicia bianca, gli occhiali da sole, un taccuino. Quello che resta, quello che si vuole cancellare.

Gli aguzzini (i convincenti Cristina Milito Pagliara e Paolo Aguzza) sembrano averla vinta, le sue parole-carne, in una sorta di eucarestia cannibale, vengono divorate da un pubblico assetato del sangue dei giusti. Ne resta l’eco, il suono della voce reale di Pasolini, di quella commovente di Moravia: «Abbiamo perduto una cosa preziosa, un poeta. Di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe essere sacro».

Ecco questa giornata-maratona al Ghirelli di Salerno si veste di sacro, rinnovando lo slogan scritto su un anonimo striscione comparso il 5 novembre di trentanove anni fa durante i funerali di Pierpaolo Pasolini: «Non lasciamo che uccidano i poeti». È un racconto corale, prezioso e appassionato, in tre atti: seminario, performance, esposizione. A intesserlo, stimolati da Fabiana Amato, Vincenzo Del Gaudio, Elio Goka, Vincenzo Luca Forte, Salvatore Marfella, Davide Speranza, Giovanna Testa e Costantino Vassallo, il Teatro del Grimaldello, le opere-atmosfere di Maria Teresa Cavaliere, Vincenzo Iodice e Nicholas Tolosa. «Ho prediletto un taglio decisamente generazionale – spiega Alfonso Amendola, docente di Sociologia degli audiovisivi sperimentali all’ateneo salernitano – Il desiderio principale è quello di riascoltare l’opera di Pasolini e di ritrovarla attraverso la gioventù. Un universo giovanile che ne ama la sua trasversalità, la sua irruenza, l’esporsi in prima persona. Una generazione che di Pasolini adora il suo raccontare. E dove domina sempre la sincerità, il suo procedere rigoroso e dinamico tra le arti, il suo continuo spostarsi tra uomini e luoghi, tra presente e memorie, tra invenzioni e incontri». La Notte Pasolini” farà “battere i cuori”. Piccole fiammelle, una grande luce per squarciare le tenebre nell’urgenza di ri/esistere. Buttando, sull’esempio di PPP, nuovamente il «corpo nella lotta».

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