Giuseppe Grattacaso
Al Teatro di Rifredi

Memorie di varietà

Pupi e Fresedde riporta in scena, venticinque anni dopo «Carmela e Paolino, varietà sopraffino», catalogo comico che oggi si tinge di un colore (naturalmente) malinconico

A quasi venticinque anni dalla prima rappresentazione al festival di Radicondoli del 1990, e dopo sedici anni di pausa, torna in scena Carmela e Paolino Varietà sopraffino, adattamento italiano di un fortunato testo brillante di José Sanchiz Sinisterra, titolo originale Ay Carmela, approdato al cinema con la regia di Carlos Saura e l’interpretazione di Carmen Maura. La versione italiana, sulle scene per otto stagioni consecutive, rappresenta uno degli spettacoli cult della premiata ditta Pupi e Fresedde.

Nell’ultimo quarto di secolo il mondo si è profondamente trasformato, abbiamo tra le mani oggetti di cui nel 1990 non potevamo nemmeno immaginare l’esistenza, i protagonisti della scena politica non sono più gli stessi, al tempo alcuni di loro avevano da poco cominciato a fare i comici, altri frequentavano le elementari, le monete che usavamo, adesso non valgono più nulla. Andare indietro con la memoria di venticinque anni ci riporta in un’epoca per molti tratti incredibilmente lontana da quella attuale, eppure lo spettacolo in questi giorni sul palcoscenico del teatro di Rifredi di Firenze non ha perso lo smalto e la capacità di fascinazione che mostrava venticinque anni fa, ha la grazia e la forza di quegli oggetti che riemergono dal passato e che non provocano solo un sentimento di nostalgia, bensì sanno mostrarsi ancora attuali, sono dotati di una carica che li rende nuovamente vivi e traboccanti energia.

Dello spettacolo non è cambiata l’ambientazione, che rappresenta un segmento di platea di uno scalcagnato teatrino di provincia (a Pratola Peligna, in Abruzzo, per la cronaca), poi palcoscenico dove si rappresenta uno spettacolo di varietà finito in tragedia. Del resto è lo stesso il regista, Angelo Savelli, animatore instancabile insieme al direttore artistico Giancarlo Mordini della premiata ditta di cui sopra. Savelli segue lo spettacolo con la stessa attenzione trepidante di allora, forse solo con uno sguardo un po’ più amorevole e accorato, quello che si riserva a una propria creatura che è stata per qualche tempo lontana. Mostra la stessa verve comica Gennaro Cannavacciuolo, l’immutata agilità nelle gags e nel proporre gli improbabili passi di danza tipici dell’avanspettacolo, l’identico gusto per la citazione attoriale (da Eduardo e da Nino Taranto, su tutti), solamente condita da un tono malinconico più sapientemente dosato, da una maggiore padronanza nella gestione dei tempi e degli spazi scenici. Non è cambiata Edy Angelillo nei panni di Carmela, dimessa e sfrontata, tenera e becera, dolce e patetica: ha solo affinato i movimenti, accentuato i chiaroscuri del personaggio, approntato nel canto un falsetto che ricorda le prove vocali un po’ forzate delle interpreti di allora.

Carmela e Paolino2La vicenda trasportata dalla Spagna della guerra civile all’Italia della lotta di liberazione nei mesi che seguirono la firma dell’armistizio nel ’43 sa parlare al cuore degli spettatori, impastando con giusto equilibrio i sentimenti della lotta contro l’invasore con l’amore per la rappresentazione popolare, le finezze del teatro nel teatro con le scaltrezze sguaiate del varietà, un tono vagamente elegiaco con movenze e risate da trivio.

Carmela non riesce a credere che uno spettacolo, per quanto frivolo possa essere, non debba fare i conti con la realtà. E dunque sceglie di far sentire la propria voce, anche se questo significa andare incontro ad una esecuzione spietata. Ad apertura di sipario la ritroviamo, appunto nel teatro di Pratola Peligna, che fa visita, in veste di fantasma, all’amato Paolino. L’improvvisato spettacolo che seguirà è la rievocazione dell’ultima esibizione dei due attori. È un richiamo anche a non farsi da parte di fronte al degrado a cui quotidianamente assistiamo, a continuare a provare sdegno di fronte alle abiezioni e alle ingiustizie, ad alzare la nostra voce invece che nasconderci.

Le musiche originali di Mario Pagano, eseguite dal vivo da Marco Bucci al pianoforte, Ruben Chaviano al violino e Simone Ermini al sax, sottolineano e danno rilievo alle notevoli prove interpretative di Edy Angelillo e Gianni Cannavacciuolo, che appunto si muovono tra nostalgia e sarcasmo, tragedia e avanspettacolo, continuamente costretti a mutare registro, a passare da un accenno di lacrima alla battuta volgare, dalla finta commozione al dramma vero e alla risata posticcia.

Lo spettacolo è in scena al teatro Rifredi di Firenze fino a domenica 26 ottobre, poi in tournée.

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