Laura Novelli
In scena tra Roma e Milano

Dante in America

Con il monologo “Nell’oceano il mondo”, il regista Andrea Ciommiento e l'interprete Enoch Marrella raccontano come un sogno americano può trasformarsi in un icubo dantesco

Vistosi occhiali rossi di foggia vagamente retrò. Jeans larghi, scarpe da ginnastica. Un fare simpaticamente nervoso, sovraesposto, curioso. Nel palcoscenico vuoto che lo ospita Enoch Marrella è Fausto: un sedicenne italiano cresciuto a pane e Dante che, ospite di una famiglia statunitense tipo, guerreggia con i cliché più emblematici di una società tutta cibo, football e feste etiliche e finisce col ritrovarsi a dover declamare versi del sommo poeta mentre gli astanti cercano di colmare distanze culturali e mentali in fondo pressoché incolmabili.  Ma Fausto è innanzitutto un navigatore della Rete, un marinaio del mondo illimitato di Internet e dei social network, un viaggiatore contemporaneo consumato dalle illusioni digitali di una realtà mai e poi mai tale. Persino le sua infatuazioni amorose e i suoi sogni erotici posseggono la vacua ambiguità dell’inganno mediatico. E se alla fine Fausto vincerà, sarà solo grazie alla poesia, alla letteratura, alla concretezza di una parola che non confonderà l’Inferno (dantesco e non solo) con quello virtuale.

Si intitola Nell’oceano il mondo l’intelligente monologo scritto da Andrea Ciommiento (che ne cura anche la realizzazione scenica) e lo stesso Marrella (giovane attore uscito dalla “Silvio D’Amico”) che, dopo essere approdato alla selezione finale del Premio “Dante Cappelletti” 2013, è stato in cartellone al teatro Tordinona nelle scorse settimane, prima di fare capolino sulle scene torinesi e, dal 16 al 18 maggio, a Milano, dove sarà ospite dello spazio performativo Zona K con il quadro “Thanksgiving day/episodio 1”. Ovverosia, uno dei fulcri drammaturgici di questo lavoro asciutto ma incisivo (stand up drama lo definiscono gli autori, artisti molto attivi nell’ambito della piattaforma Interazione Scenica, una realtà produttiva e progettuale operativa in diverse zone della Penisola, www.interazionescenica.com) dove l’interprete ricostruisce col solo uso della voce, dei gesti e della mimica facciale una galleria di personaggi emblematici del contemporaneo. L’anziana nonna adottiva, tratteggiata come una famelica produttrice di cibo spazzatura pronto all’uso in quantità industriali ad ogni ora del giorno e della notte; la suadente April dal corpo tatuato esibito sulla Rete e poi negato di fatto; il fidanzato di lei, campione di football tutto muscoli e niente cervello; il pastore protestante dedito ad un’omelia domenicale in ricordo dell’eroico nonno defunto: ecco alcune delle icone made in USA tra le quali arranca l’avventura umana del giovane italiano, chiamato spesso in causa dalla micidiale combriccola quasi fosse un pappagallo esotico (e qui di esotico c’è proprio l’Europa) capace di ricordare a mente il canto di Paolo e Francesca o quello di Ulisse.

Fausto si lascia dapprima fagocitare da questo sogno americano dove niente sembra avere la consistenza e le proporzioni giuste. Feste, ubriacature, nottate trascorse davanti allo schermo segnano tuttavia i gironi infernali in cui, poco a poco, quel sogno americano e iperconnesso si frantuma. Gli anni passano. Egli resterà negli States ad insegnare letteratura italiana e tornerà, dunque, in contatto con quella seducente April ormai moglie e madre. Ma il mondo non gli apparirà più tutto a portata di mano. I ricordi giovanili saranno, appunto, solo ricordi. E Dante acquisterà la forza di un valore in cui credere.

Concludo dicendo che la regia, pulita e scarna, fa leva qui su un uso sapiente delle luci e su poche ma efficaci inserzioni musicali, lasciando al bravo Marrella (eclettico e plastico nella sua bella prova) il compito di traghettarci in un immaginario carico di codici riconoscibili e di urgenze oggi non più trascurabili. Motivo per cui l’auspicio più sincero è che questo sapiente assolo venga visto da tanti giovani e da tanti adolescenti caparbiamente convinti che davvero nell’oceano ci sia il mondo. E convinti, tanto più, che esso possa ridursi alle immagini di vetro (mi viene in mente lo straordinario docu-film “Storia di un cammello che piange” dove un anziano pastore del deserto del Gobi definisce così le figure incomprensibili della Tv) fluttuanti in uno schermo di pc.

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