Marco Fiorletta
Per una storia del movimento operario

Universo anarchico

Un saggio di Filippo Manganaro ricostruisce l'epopea dei tanti italiani che alla fine dell'Ottocento scelsero di combattere (perdendo) contro il capitalismo americano

C’è un pezzo di storia che viene sistematicamente ignorato e resta riservato ai pochi cultori o a chi ancora crede nell’idea. È la storia dell’anarchismo. Nell’interessante libro di Filippo Manganaro, Dynamite girl. Gabriella Antolini e gli anarchici italiani in America, Nova Delphi 240 p. 12 €, ci addentriamo nella diaspora anarchica italiana negli Stati Uniti e nell’emigrazione verso il paese oltreoceano. Si parte da lontano, dalla fame che attanaglia gli italiani alla fine del XIX secolo. «In alcuni comuni della valle padana la malattia (la pellagra) colpiva il 20% degli abitanti; in altri si raggiungevano punte del 44%», parliamo quindi di una storia di poveri costretti ad abbandonare il proprio paese in cerca di un posto migliore dove vivere e far crescere i propri figli. E incontriamo, perché nulla è nuovo a questo mondo, già chi allora prometteva un mondo migliore rivelandosi poi solo un procacciatore di mano d’opera che avrebbe dovuto sostituire i neri emancipatesi, a parole, con la guerra di secessione. Se ci vedrete qualche collegamento con gli scafisti odierni siete nel giusto.

libro manganaroMa c’era anche chi prometteva un mondo nuovo e migliore senza secondi fini ed è tra questi che crebbe Gabriella Antolini, la “Dynamite girl” del titolo di Manganaro, che a soli 19 anni seppe tenere testa alla polizia americana che l’aveva scoperta mentre trasportava 36 candelotti di dinamite che sarebbero serviti per un attentato. Era una lotta senza esclusione di colpi quella che si sviluppò negli Usa tra la fine dell’ottocento e lo scoppio della seconda guerra mondiale: una guerra fatta di prevaricazioni padronali, di rivendicazioni operaie, di vessazioni da parte del potere e di violente risposte da parte del movimento anarchico. Però: «Gli anarchici non portarono la violenza negli Stati Uniti, ne trovarono in abbondanza al loro arrivo ma, come scriveva Malatesta: “Lo schiavo è sempre in istato di legittima difesa e quindi la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore è sempre moralmente giustificabile e deve essere regolata solo dal criterio dell’utilità e dell’economia dello sforzo umano e delle sofferenze umane”».

Un rapporto tra lavoratori e stato americano che si avvitò in maniera inestricabile e che ha visto cadere molti anarchici, anche nel vero senso della parola come il siciliano Andrea Salsedo che cadde dal quattordicesimo piano mentre era trattenuto illegalmente dal Boi (Bureau Of Investigation che diventerà Fbi). Se ci vedete qualcosa di simile alla storia di Giuseppe Pinelli non siete maliziosi ma siete nel giusto. Per non parlare di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Come vedrete che il Patriot Act, approvato dopo l’attentato dell’11 settembre 2011, non è altro che il nipote di uno dei tanti provvedimenti miranti a limitare la libertà personale di coloro che non erano e non sono funzionali all’idea di uno stato fondato sullo sfruttamento del capitalismo.

Furono tanti gli anarchici italiani che operarono in America dai nomi noti come Luigi Galleani, Carlo Tresca fino a sconosciuti che sacrificarono la libertà e anche la vita per l’emancipazione degli operai e dei salariati. Un movimento ricco d’idee e attivo con centinaia di pubblicazioni e iniziative che caratterizzarono quella stagione insieme ai militanti del sindacato rivoluzionario IWW. Un libro ricco, che percorre un periodo fecondo di idee e di speranze che purtroppo non videro mai la realizzazione, in qualsiasi sfumatura di colore presero poi quelle idee.

Una pecca però il libro la contiene. O meglio, forse il titolo è sbagliato. Se uno si dovesse basare su quello ci si sarebbe atteso una più completa ricostruzione della vita di Gabriella Antolini, dei suoi anni giovanili e dei suoi rapporti con Emma Goldman. Purtroppo così non è.

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