Alessandro Boschi
Visioni contromano

Il complesso di Totò

Raffica di film nelle sale per contrastare l'exploit di Checco Zalone. Che fa discutere anche i critici. Come se nessuno volesse correre il rischio di arrivare ultimo nella rincorsa al "genio pop"

Giovedì di uscite cinematografiche davvero variopinto. A partire dall’attesissimo Machete Kills di Robert Rodriguez, con Danny Trejo, per quello che ci riguarda liberatorio  e quindi consigliatissimo ai costipati. Insieme a Un Week end da bamboccioni 2, scorretto come pochi e come pochissimi divertente. Discorso diverso, molto diverso, per La gabbia dorata di Diego-Quemada Diez, forse il film più interessante del lotto. Storia di tre adolescenti guatemaltechi e della loro emancipazione difficile, forse impossibile.

Anche François Ozon ci regala una bellissima figura di adolescente, ma questo non basta a fare di Giovane e bella un film giovane e bello, anzi. Arriva dall’Inghilterra About  time, in italiano Questione di tempo, una commedia romantica che reinventa il concetto di nostalgia e di distacco. La trovata, diciamo così, è che i componenti maschili di una famiglia possono viaggiare nel tempo, e con un presupposto del genere ci vuole poco per far funzionare un film, specialmente se a scriverlo è quel geniaccio di Richard Curtis, il cui merito precipuo rimane a nostro modo di vedere l’avere scritto la situation comedy The Black Adder. Naturalmente mai arrivata sui nostri schermi.

Esce anche Something good di Luca Barbareschi, del quale però non sappiamo, se non che sta ricevendo molte e stupefatte critiche positive. Di certo con la presenza di Gary Lewis, vestito come un allibratore in vacanza, si è assicurato un ottimo attore. Robusto e avvincente anche Prisoners, con Hugh Jackman che dimostra di essere un grande attore anche senza artigli e basette. Diretto da Denis Villeneuve, quello de La donna che canta, è la storia di un rapimento: due bambine scompaiono gettando nello strazio le rispettive famiglie. E vedi un po’. Da un parte quella di Jackman, ex alcolista che non lascerà nulla di intentato per riprendersi la figlia, dall’altra quella del debole Terrence Howard. Su tutti spicca la prova del mai abbastanza lodato Paul Dano, il presunto rapitore.

Resta da vedere quanto riusciranno a rimanere in vita prima di essere smontati, dal momento che Checco Zalone e il suo Sole a catinelle (diretto da Gennaro Nunziante) non dà l’impressione di mollare una sola sala. Anzi. Sale a catinelle, quindi. Ci viene un po’ da sorridere leggendo alcune riflessioni, profonde, su questa pellicola. Abbiamo letto cose francamente fuori dal mondo. C’è addirittura chi ritiene di poter dare una lettura critica di un film del genere, mettendo in risalto alcune pecche, alcuni passaggi incomprensibili: «come fa Checco a vincere quella partita di golf?». Be’, sì, c’è da lambiccarsi il cervello. In effetti, è un aspetto fondante del film. Insieme al suo sottotesto, al suo paralinguaggio. Ma dire che Zalone è, nella sua geniale scorrettezza, un comico intelligente che ha come unico obiettivo quello di divertire divertendosi, no eh? Vuoi vedere che molta critica patisce il “complesso di Totò” (ossia non vuole correre il rischio di riconoscere il genio ex-post)? Non parleremmo insomma di dignità cinematografica, non è il caso. Come diceva Stelvio Massi, «ai critici gli rode, perché vorrebbero farli loro i film, e nessuno glieli fa fare». Si ripropone, insomma, il dilemma doloroso. È vero che il cinema degli Zalone fa sopravvivere il cinema «due camere e una cucina» come già succedeva ai tempi dei nostri più grandi autori? Ma soprattutto, sarebbe così grave se così fosse? Viva Zalone, anche se non lo capisco.

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