Andrea Carraro
Un racconto di viaggio

Fuoco a Vulcano

In mezzo al mare siamo abituati a dare il peggio di noi. Storia semiseria di una vacanza che si trasforma in una via crucis. Di una barca a rischio e di un capitano ignorante...

Questo Eracle praticamente non lo conoscevi. L’avevi visto solo una volta alla presentazione del libro sul Giappone di Tommaso, il tuo amico che altre volte ti aveva invitato In crociera con lui nella sua barca. Arrivi a Lipari con l’aliscafo ch’è notte e li raggiungi, i due ingegneri, stagionati cinquantenni come te, sulla barca ormeggiata al porto. Dopo le presentazioni di rito e un aperitivo a bordo, andate a rimpinzarvi di pesce in una trattoria del paese e solo quando tornate satolli e brilli ti dicono dove devi dormire. E cioè non come loro a cuccia nelle confortevoli cabine di prua ma in un posto rimediato fra l’ingresso e il timone nella cabina di pilotaggio, con un materasso smilzo da piazzare la notte e sbaraccare di giorno.

La soluzione non ti entusiasma, ma a questo punto che vuoi fare? Chi tardi arriva… Loro sono già in giro per l’arcipelago da una settimana e si sono accattati i posti migliori. Insomma ti stendi dove ti hanno messo senza fare storie e chiudi le tendine blu per non farti vedere da quelli che passano sul pontile. Ma poi hai caldo e apri tutto e te ne freghi della privacy e oscilli dolcemente guardando uno spicchio di cielo stellato, addormentandoti all’istante tanto sei stanco dopo la traversata e la cena abbondante. L’indomani ti alzi all’alba tutto in sudore ma in ottima forma e metti subito in chiaro, se mai ce ne fosse bisogno, che tu, malgrado la barba bianca, tutto sei meno che un lupo di mare, nulla sai di navigazione e nulla ne vuoi sapere. «Fate tutto come se io non ci fossi, a meno che non cercate guai!» – gli fai, giusto per farlo intendere a Eracle giacché Tommaso, il tuo amico, lo sa bene: conosce la tua inettitudine, la tua cronica indolenza e certo ricorda quando da ragazzi, una trentina d’anni fa più o meno, in crociera con i suoi nelle isole Pontine, t’avevano detto di badare al barchino di salvataggio e tu lo mollasti in alto mare e poco dopo fece la stessa fine un parabordo che dovevi solo fissare alla ringhiera. Insomma conti che la tua fama di inetto totale ti garantisca una crociera rilassata fatta di sole, bagni, ozio e letture. Del resto su questo avevi già abbondantemente messo le mani avanti a Roma. Non puoi tuttavia fare a meno di notare l’espressione non del tutto empatica di Eracle che non sorride benevolmente come il tuo amico.

Si parte dunque per una minicrociera delle Eolie con due capitani e un ospite sedentario. E per alcuni giorni le cose vanno mica male, anche se Eracle, astrofisico professore all’università, ogni tanto ci prova a impartirti qualche ordine senza rassegnarsi mai alla tua inoperosità sfacciata. Del resto come dargli torto visto che loro sgobbano di brutto per far navigare questa vecchia carretta che necessita di continue aggiustature?

Arrivate nella nera isola vulcanica di Vulcano all’imbrunire che la carretta fa fumo. Ma te ne accorgi solo quando calano i giri del motore e insieme al moto cessa il vento. Intanto i due capitani uno a prua e l’altro al piano superiore fanno manovra per buttare l’ancora nella giusta direzione, per passarci la notte nella rada magnifica dove siete approdati. Ma un fumo nero e puzzolente viene su gagliardo attraverso il teak del pavimento proprio dove tu dormi la notte e dove c’è la panca e il tavolo e tutto, fra l’altro pure il portatile col romanzo nuovo al quale hai lavorato tutta l’estate, che conta più della tua stessa vita. E allora urli, li chiami, fai scene: «Aiuto, correte, fuoco a bordo!». Ma loro non capiscono dapprima, sottovalutano il problema: «È solo un po’ di fumo Andrea, non ti agitare!» – ti fa il tuo amico sporgendosi dalla scaletta. – «Facci concludere la manovra e poi vediamo». Eppure cristo d’un dio non è manco la prima volta che la carretta prende fuoco. È già successo l’anno scorso, o due anni fa, te l’hanno raccontato ieri fra una bevuta e l’altra come una cosa da nulla, perfino divertente.

Insomma quando finiscono l’inutile manovra di ancoraggio in mezzo al mare e ti raggiungono a poppa, nel mezzo della rada di Vulcano s’è alzato un formidabile pennacchio più nero della pece. E siete voi accidenti! In quel mentre Eracle, ancora indaffarato con qualcosa, ti dice: «Ehi Andrea, invece di gridare, prendi l’estintore e apri il portello là sotto!» – come si rivolgesse a suo fratello o a uno scagnozzo qualunque dell’università. E tu rispondi a piena voce, con le palle girate parecchio, che ti sentono anche dalle barche vicine: «Ma che sei matto, è pericoloso! Io non so fare un cazzo l’avete capito?». Passa del tempo, altri minuti, e tu continui a agitarti e insisti di chiamare la guardia costiera lanciando la richiesta di soccorso e di calare in mare il barchino e insomma di far qualcosa mentre te ne stai aggrappato alla ringhiera, paralizzato e pronto a buttarti a mare. E intanto pensi che non hai neppure salvato il tuo notebook avvolto nel fumo e minacciato dalle fiamme. Ma il padrone della barca prende tempo, senza spiegare che la chiamata di soccorso significherebbe il sequestro del natante, oltre a una serie di guai e di quattrini da far paura. E intanto usa con prudenza l’estintore guardandosi dal sollevare il portellone (come quel pazzoide dell’astrofisico ti aveva ordinato, solo per farti fare la figura del codardo anzi del coglione) per evitare che con l’ossigeno montante davvero prenda fuoco tutto quanto. Ebbene mezz’ora dopo il fuoco è sedato e la roba è stata messa in salvo. Quanto al pavimento, è diventato una piastra fumante e incandescente. La carretta ancora fuma un poco, piena di cenere come un forno a legna. Calate il barchino e nella notte nera, con la torcia in mano, ve ne andate a cena nel paese ancora coi nervi scossi e il cuore in gola. Solo che, mentre attraccate sulla spiaggia, chiamano dalla capitaneria di Lipari e in viva voce vi informano che la richiesta di soccorso è stata registrata anche se per un disguido nessuno si è fatto vivo.

– Non ha importanza, è tutto risolto grazie a Dio!

– Si presenti domani di buonora ai carabinieri di Vulcano per la denuncia.

– Ma forse non avete capito; ormai è tutto sistemato! – obietta il tuo amico mentre avanzate nella sabbia nera che insozza i piedi, fra le barchette tirate in secca che sembrano listate a lutto. – La denuncia posso farla direttamente domani sera dalla capitaneria di Salerno dopo la traversata.

– No, restate dove siete. Non vorrete navigare per 250 miglia con una barca che può riprendere fuoco da un momento all’altro? Ehi, mi sente?

– Non bene.

– Dicevo che la barca non si deve muovere da lì!

– Ma veramente…

– Domattina di buonora fate la denuncia ai Carabinieri di Vulcano!

– Ok, d’accordo…

A cena il tuo amico non dice parola facendoti quasi sentire in colpa per averlo indotto alla chiamata. Finché, eureka, non gli viene l’idea, forse ispirata dal bicchiere della staffa:

– Partiremo all’alba e facciamo finta di non aver sentito. Del resto è verosimile, la linea era disturbata!

– Davvero pensi di navigare col motore che può di nuovo prendere fuoco?

– Alla metà dei giri non si rischia niente!

– Ma siamo proprio sicuri?

– Assolutamente sì.

– E se quelli richiamano? O si presentano domattina?

– Spegneremo il cellulare! Anzi lo faccio subito, ecco. E partiremo all’alba.

Stavolta pure Eracle è dubbioso e gli chiede in aggiunta come pensa di dormire a bordo con quella fuliggine dappertutto e la tua zona letto dileguata. Ma lui vuole riportare a casa la carretta a tutti i costi. Dei vostri dubbi se ne fotte.

– Ci arrangeremo… Ragazzi, cercate di capirmi, non posso mica rischiare che mi sequestrano la barca!.

Dunque si torna a bordo dove la puzza di fumo non c’è quasi più ma si respira quella polvere volatile che certo balsamica non è. Tu potresti dormire con l’astrofisico nella cabina. Te lo propone lui stesso: «Staremo un po’ stretti, ma per una notte si può fare». Ma non vuoi disturbare e sei ancora sotto l’impressione sgradevole del suo diktat e del suo tono da faraone. Ma soprattutto ricordi certe magiche nottate all’aperto dei tuoi vent’anni: «Ma no, fa caldo, il mare è un olio, sapete che vi dico? dormirò sotto le stelle!». E così blandamente coperto con un giubbotto buttato addosso trascorri qualche ora di sonno profondo al piano superiore, dopo aver ammirato, per una decina di minuti, fumando, il nero profilo dell’isola che si staglia all’orizzonte illuminato dal chiaro di luna e da un’esplosione di stelle. Quando ancora non è l’alba, ti compaiono davanti i due capitani già abbigliati di tutto punto e pronti a salpare. La traversata fino a Salerno a metà dei giri, col motore a vista che buca i timpani, dura tutto il giorno. E con la paura che di nuovo la carretta pigli fuoco, e un malessere crescente, non è certo una passeggiata. Arrivate a Salerno all’imbrunire, con te che tremi e hai brividi febbrili per tutto il corpo perché con la nottata all’addiaccio ti sei preso la polmonite, la seconda in tre anni accidenti, un altro avvertimento che non hai più vent’anni e che il tempo tuo non è infinito. Ma questo lo saprai con certezza solo fra tre giorni quando farai le lastre. Per ora sai soltanto che stai male da non reggerti in piedi e muori di freddo pure se fa caldo e non spira un alito di vento.

Eppure Eracle al porto di Salerno continua a darti ordini: pulisci questo, porta quest’altro a poppa, passa la pompa qui, riempi il serbatoio là… Alla fine resta solo da trasportare il bagaglio in macchina. Tommaso, premuroso come sempre, ti consiglia di non stancarti e di portare solo la tua roba, ma il professore non si dà per inteso e quando sei già sulla scaletta comanda: «Tutta la roba bisogna prendere, non solo la tua!». Stai per rispondergli a dovere con un rotondo vaffanculo ma sei troppo stanco e sfessato per farlo e allora ubbidisci rischiando pure di perdere l’equilibrio e di finire in mare per la fiacchezza. Con la macchina di Tommaso accompagnate l’astrofisico alla stazione di Salerno da cui prenderà un treno per il Molise dove è diretto. Mentre lo guardate allontanarsi verso l’ingresso della stazione con lo zaino e le grosse spalle appena ricurve, rifletti che difficilmente ti capiterà di fare un’altra crociera con il tuo amico e di sicuro giammai in compagnia di quel negriero.

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