Andrea Porcheddu
Sulle tracce di un maestro del teatro

Storia dei carmelitani

Carmelo Bene non ha avuto eredi (sarebbe stato impossibile) ma ha ancora molti seguaci, da Roberto Latini a Mariano Dammacco, da Vincenza Di Vita a Carlotta Vitale. Un libro curato da Carlo Coppola li passa tutti in rassegna

Quante sono le “famiglie” del teatro italiano? Un tempo si parlava, ad esempio, di “grotowskiani” e di “brookiani”, di “post-avanguardisti” o di “kantoriani”. Poi ci sono, naturalmente, i “barbiani” e poi ancora i “ronconiani”. Ma abbiamo visto in scena anche i “nekrofori”, folgorati sulla via di Eimuntas Nekrosius; o i “vassilisti”, sempre a far etjud come vuole il maestro Vasil’ev… Sono generalizzazioni, è chiaro: quasi scherzose attribuzioni di casacca a tanti artisti che, invece, sono, e giustamente, liberi battitori. Ma, per restare in gioco, in anni recenti abbiamo iniziato a definire i “post-rafaeliti”, ovvero gli allievo (o epigoni?) della Socìetas Raffaello Sanzio; e gli “albini” che entusiasti propagano il contagioso teatro delle Albe di Ravenna. E adesso ci troviamo, che so, esplosioni di “dantisti”, che seguono le orme aspre di Emma Dante; o di “latinisti”, attori e attrici che omaggiano la genialità di Roberto Latini. Ecco ancora i “latelliani” o i “motusiani” (va da sé a chi si riferiscano).

Ma c’è un’altra famiglia, eccentrica e spesso oscura, che non finisce di sorprendere: i “carmelitani”. Ovvero gli illuminati dal Verbo – è il caso di dirlo – del divin Carmelo Bene. È una non-famiglia, ovviamente: esistente in quanto inesistente, fatta di eccentricità evocative e verbali più che relazionali; di guizzi lirici più che di strategie estetiche; di incoerenze e di solitudini più che di metodi e affratellamenti. Famiglia legata da tensioni ombrose, da attitudini al disfacimento, da passioni tecnologiche che deflagrano in virtuosismi mai sterili, da scritture che affastellano sensati non sensi o attraversamenti urticanti di polverosi classici: il tutto, incarnato da macchine attoral-umane che tendono all’impalpabile ma vivissima e magnetica (non)presenza del performer in scena. A far da unico e vero marchio di fabbrica dei “carmelitani” è la consapevolezza di essere impossibili eredi, ossia devoti blasfemi di una religione non praticabile in quanto negata dal suo stesso fondatore.

Di tutto questo parla – non senza ironia – un piccolo, agile e intenso libro, Figli di B: «ad una voce per il teatro», curato dal bravo Carlo Coppola per Falvision Editore. Scrive Coppola nella introduzione che c’è una «impossibilità di chiunque ad essere “erede spirituale” di Carmelo Bene (perché) una tale complessità e specificità di temi vissuti tutti sulla propria pelle non hanno la possibilità di essere riprodotti da altri se non per amanuense scopiazzatura. In realtà si scopre Carmelo Bene, post mortem, come un biblico patriarca, inconsapevole della sua panspermia senza copula (…) Lo diceva che avrebbe fatto più rumore da morto che da vivo e in ciò diviene paradossalmente “l’orante svuotato suo soggetto e in cambio illuso nella oggettivazione di sé, dentro un altro oggetto. È lui la Madonna vista dai cretini, la luna verso la quale si punta il dito, un feticcio, o forse soltanto un discrimine fra qualcosa di non compreso e non dicibile».

Dunque, in questo libro, Coppola si fa carico di scegliere “per bene”, di approntare un florilegio che «palpitasse di carne e notti insonni, a rappresentare la tensione alla creazione, la confluenza e l’impatto con la vita onirica».

Figli di B, dunque, è un libro-mondo, un libro collezione, fatto di accostamenti azzardati di lingue e stili, di poetiche e di visioni. Si parte con la prosa poetica di Roberto Latini, drammaturgo attore e regista esploso sul finire degli anni Novanta, che porta in dote anche il magistero di Perla Peragallo (quasi riunendo in sé, dunque, le anime della storica ricerca di Leo de Berardinis, di cui la Peragallo fu compagna e sodale, e quella di CB). Latini presenta pagine da Buio Re, un “teatrino delle ombre” che è radiovisione di Edipo; e da Noosfera Lucignolo, spigolosa riscrittura politica del Pinocchio. Poi è la volta di Mariano Dammacco, autore appartato e raffinato, pugliese d’origine, di cui il libro propone pagine tratte dal testo Desa, L’asino che vola, sulla vita di Giuseppe Desa, ovvero San Giuseppe da Copertino, che prende spunto proprio dal lavoro beniano. Poi è la volta di Vincenza Di Vita, giovane studiosa e critica di teatro messinese, che con gusto decadente e ironico, presenta Venerabile Invenerabilità Pornografia in Aborto, pastiche su poesia orale da CB: penna guizzante che attinge in Mal de’ Fiori come inchiostro per riscritture ad alto tasso lirico-onirico-erotico. A chiudere la “sezione teatro” è Carlotta Vitale, della compagnia Gommalacca di Potenza, anche lei alle prese con i beniani Nostra signora dei Turchi e A boccaperta. È un guizzo la “sezione musica”, affidata a uno spartito di Giuseppe De Trizio, del 2011, composto per il gruppo I Radicanto. Per il cinema, Figli di B propone una storia scritta da Pierluigi Ferrandini, Oroverde, ambientata nel 1935, durante la cosiddetta Rivolta di Tricase, quando le tabacchine del paese si opposero duramente alla chiusura del consorzio agrario locale. infine, a completare il volume, Carlo Coppola introduce una sua sceneggiatura dedicata a CB: Una passeggiata, che ha come protagonista la città di Bari, il suo lungomare, e un salentino, tra i più noti del secolo scorso: Aldo Moro. La vita del politico si intrecciò, infatti, con quella di CB, «il quale ricordava – scrive Coppola – come sua madre e sua zia, Amelia e Raffaella Secolo, fossero di Maglie come il presidente Moro, e nella loro prima infanzia ne fossero state compagne di scuola». A chiudere il libro, la vivace appendice curata da Antonella Gaeta, sulle “interviste impossibili” al Maestro, a partire dalle storiche trasmissioni radiofoniche andate in onda dal 73 al 75.

E dunque Carmelo Bene, inconsapevole fondatore dell’ordine dei carmelitani, continua a far teatro, cinema, musica: dalla eterna assenza e dal silenzio definitivo in cui è chiuso, riesce ancora a parlare, a creare arte.

Per saperne di più: www.falvisioneditore.com

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