Marco Scotti
Il Mulino pubblica "Morire di austerità"

Bini Smaghi pensiero

L'economista che, fino all'arrivo di Draghi, ha seduto nel board della Bce, analizza la crisi europea e tutti gli errori fatti, dal rigore eccessivo all'assenza di regole bancarie (e finanziarie). E, come se negli anni non avesse condiviso certe scelte, si scopre quasi "grillino"...

Una critica a tutto campo, senza esclusione di colpi, alle politiche economiche e monetarie attuate fin qui dall’Unione Europea. A farle, in un libro intitolato Morire di austerità (Il Mulino), non un grillino dell’ultima ora o un pericoloso sovversivo, ma un uomo che l’Europa la conosce a menadito, essendo stato membro del board della Bce fino all’avvento di Mario Draghi. Quest’uomo è Lorenzo Bini Smaghi, attuale presidente di Snam Rete Gas e fino a novembre del 2011 membro del consiglio esecutivo della Banca Centrale Europea, l’organismo che sovrintende alle logiche di politica monetaria (ma non solo) che riguardano il nostro continente.

Nelle 190 pagine lungo le quali si dipana il pensiero di Bini Smaghi, molteplici sono gli spunti di riflessione che vengono a galla: primo fra tutti (non per niente collocato nel primo capitolo) è quello che riguarda “una fine annunciata”. Senza gli Stati Uniti d’Europa che, ancora oggi, sono lontanissimi da venire, è naturale che un’unità impostata unicamente sulla moneta unica non possa reggere a lungo. Un eminente economista di Harvard, già nel 1997 (cinque anni prima dell’entrata in vigore dell’euro), ammoniva che senza un’unione politica vera sarebbe stato impossibile che decollasse il progetto di Europa che era stato immaginato dai padri fondatori, da Altiero Spinelli ad Helmut Kohl. Il problema è che l’euro è un meccanismo formalmente irreversibile: abbandonare la moneta unica, nonostante qualcuno (magari con un marcato accento genovese) ciclicamente rilanci il desiderio di indire un referendum per il ritorno delle valute nazionali, è un “salto nel vuoto” – come lo definisce lo stesso Bini Smaghi – che non può essere tentato nemmeno di fronte alle peggiori prospettive.

E quindi? L’autore imputa una responsabilità significativa anche al modo in cui la crisi dell’euro è emersa: come molti ricorderanno, infatti, l’esplosione di una criticità che era comunque destinata a deflagrare è avvenuta con il tracollo dell’economia greca, con il debito insostenibile di Atene e con la scoperta, soprattutto, che il paese aveva falsificato i conti per riuscire a rispettare i parametri necessari per entrare nell’euro. Ebbene, quest’ultimo passaggio ha di fatto minato alle fondamenta la fiducia tra gli stati, rendendo la protervia dei paesi del club della tripla A sostanzialmente giustifica: una sorta di “avete visto che cosa succede se non fate i bravi?”. Esiziale è stato poi il ritardo con cui si è deciso di intervenire, con la situazione che da seria si era fatta più che drammatica. Lentezza, scarso decisionismo e incapacità di capire che il problema aveva radici ben più profonde della semplice “marachella” di Atene. Così, senza una rete di salvataggio adeguata perché non era stata neanche contemplata (altro errore drammatico per Bini Smaghi), l’Europa ha dovuto prendere in tutta fretta decisioni che si sono rivelate quantomeno modeste. “Ma la fretta – dice l’autore nell’introduzione al suo settimo capitolo – non è sempre buona consigliera”. In questo caso, possiamo tranquillamente risolverci a dire che è stata pessima consigliera.

È lungo l’elenco di inefficienze e di provvedimenti privi di utilità che Bini Smaghi tratteggia lungo le pagine del suo libro: tra questi c’è senz’altro il Fondo Salva Stati, meccanismo che da cintura di sicurezza si è ben presto trasformato in un sistema rabberciato e inefficace che ha prodotto più danni che altro. E poi c’è un’enorme lacuna: le riforme. Che non si possono fare in tempo di crisi ma che non ha senso fare quando tutto va bene. Così, l’Europa di Buridano ha perso tempo a danzare, quando la musica era già finita da tempo. “Al cuore del problema – sono sempre parole di Bini Smaghi – c’è il sistema delle banche”. Quegli istituti di credito che hanno goduto di enormi iniezioni di liquidità a tassi  bassissimi ma che non hanno reinvestito nell’economia reale, finanziando imprese e famiglie. Al contrario, hanno preferito tenersi in pancia centinaia di miliardi in attesa di tempi migliori, acquistando contestualmente (è il caso soprattutto dell’Italia) titoli di Stato con tassi vantaggiosi. Un assurdo che è stato concesso sia dalla Bce, sia da Bankitalia, sia dai governi. E l’economia ha subito un’ulteriore, brusca frenata.

Gli ultimi capitoli sono dedicati ad alcuni temi angolari che riguardano il futuro del continente. Prima di tutto: è possibile che ancora non si sia arrivati alla realizzazione di un’unione bancaria che garantisca regole certe e uguali per tutti? E poi, come mai mentre Giappone e Stati Uniti continuano a stampare moneta (a volte anche in maniera eccessiva, di fatto drogano il sistema) la Bce si limita ad abbassare i tassi sul costo del denaro, arginando l’inflazione ma non stimolando la crescita? Ancora, come mai il modello tedesco continua ad essere predominante, nonostante sia stato dimostrato da autorevoli economisti che l’austerità fine a se stessa, specialmente se applicata in tempo di crisi, è ulteriormente depressiva? Infine, la domanda “delle cento pistole”: ma che fine ha fatto la sovranità del popolo sancita anche dalla nostra Costituzione? Tutte domande che, almeno per ora, non avranno risposta. Ma che lasciano un interrogativo angosciante: dopo undici anni dall’introduzione dell’euro, quanti disastri dovremo ancora sopportare prima che a Bruxelles e Francoforte si accorgano che l’Unione Europea è al momento, tenuta insieme con lo scotch, per di più di una marca scadente?

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