Loretto Rafanelli
La nuova raccolta di Antonio Di Mauro

Spirito e spiriti

Una “narrazione in versi” quella dell'autore siciliano, di ampio respiro e rara ricchezza linguistica, che partendo da una realtà di origine familiare (la distilleria dove lavorava suo padre), si trasforma in dolente «storia collettiva... di persone che condividono un tratto di vita»

Di Antonio Di Mauro esce un nuovo libro di poesia dopo diversi anni: era esattamente il 2003, quando la Jaca Book, nella bellissima collana “I poeti” diretta da Roberto Mussapi, editò Acque del fondale. Ma Di Mauro, nonostante questa moderata produzione, è pur sempre un poeta noto e considerato in Sicilia, la sua regione, e fuori da essa. Lo accomuno ad alcuni poeti siciliani della sua generazione, che hanno dato lustro e onore alla poesia isolana e nazionale; in particolare, Maria Attanasio, Sebastiano Burgaretta, Angelo Scandurra. Purtroppo Scandurra, è mancato poco tempo fa, lasciando una scia di grande dolore. Questi poeti erano quasi sempre invitati alle letture pubbliche siciliane e io ho avuto modo di ascoltarli e apprezzarli più volte, col loro scandire bellissimo, con la loro bravura, con la loro arguzia antica e adesso che Angelo non c’è più, mi pare che si sia incrinato un ‘circolo’ virtuoso. 

Ora è bene dire del libro di Antonio Di Mauro, perché è senz’altro un evento importante, dato il valore del poeta di Aci Bonaccorsi. Già il titolo ci appare quasi come una formula magica: Società Italiana Spiriti (edito da Stampa, nella collana diretta da Maurizio Cucchi), ma in verità tale titolo non è il frutto di particolari fantasie, bensì si ricollega a una esperienza industriale realmente presente, anni addietro, in provincia di Catania: un’azienda di alcol e liquori con sede centrale ad Asti, ma con una sorta di succursale siciliana, in cui il padre del poeta aveva un ruolo. Di Mauro la ricorda in varie composizioni, e ne rammenta la struttura come ammirasse una preziosa icona votiva radicata in un lontano tempo, come sviluppasse una storia non solo domestica, piuttosto eroica, epica e nazionale: «ancora sfida il cielo e il tempo/ la ciminiera di mattoni slanciata/ nel nitore di luce sulla torre/ che custodiva l’alambicco/ come un santuario gotico/ nella vecchia distilleria…/ era l’orgoglio e il cruccio/ di famiglia, era il centro/ del mondo ora sprofondato».

Quadri arditi e iper reali, alla Piranesi, anche per via del fatto che sono i ricordi dell’infanzia e come tali arricchiti e ingigantiti, come sempre accade. Chiaro poi che il poeta in un certo qual modo, intende equivocare con la formulazione “Società Italiana Spiriti”, essendo evidente la tensione verso un qualcosa che va oltre la pura analisi della minuta azienda di trasformazione. Oltre alla volontà di rimanere comunque ‘attaccato’ a quella realtà, fatta di strutture, attrezzi, ciminiere, persone, con un affetto e una dedizione quasi religiose, c’è lo slancio verso una superiore dimensione di ascolto e di attenzione, quasi come vi fosse l’adesione a una visione ulteriore, a uno slancio all’indietro dello sguardo, a un prezioso ‘deposito’ dell’anima. La poesia di Di Mauro, si gioca infatti tra questa dualità: da una parte il reale, con la distilleria e altre mille cose, comprese le tante piccole e grandi gioie e tragedie familiari; dall’altra l’istanza verso una verità suprema difficile da raggiungere, comunque tenuta con cura nel proprio cuore. 

La poesia di Antonio Di Mauro (nella foto © Giuseppe Bellarte) è una poesia che appare come una ferita non rimarginata, come la descrizione di una storia individuale e collettiva, che per il poeta diviene la Storia per eccellenza, e assume le coordinate non solo di una vicenda personale, bensì come una trama vissuta come fosse una storia collettiva, quella di una comunità, di un insieme di persone che condividono un tratto di vita. Allora quella del poeta siciliano diviene una poesia sospesa nel dolore di un passato impossibile da archiviare. Forse la misura esatta di questo ‘abbecedario’ dolente, emerge dal crudele, perfido discorso (instillato dai grandi), del compagno delle elementari, che nel giorno della festa degli alberi, ritualmente caro a molte generazioni, nel perfetto e ordinato grembiulino nero del giorno festoso, brutalmente dice: «È fallito il tuo, dice il mio papà, vero?/ la fabbrica non la finisce più, vero?/ Diventerete poveri!». Aspro, lacerato, infinito tormento vissuto da un bimbo sorpreso da una prima amarezza della vita, e poi versi affollati da affetti amputati e da vertigini di vita irrisolta, o semplici testimonianze di un’esistenza sospesa nell’osservare un tempo che non appaga mai, con la tesa memoria fissata nel ripercorrere i cicli di antiche radici. Scene che danno il senso di una vita attraversata da frammenti di pena, a volte nascosti nell’apparente ‘tranquillo e panoramico’ linguaggio confinato in una piccola distilleria: «…ma non stiamo distillando vinello/ di vinacce portate da Avola, Pachino/ o dalle vigne alte sulle colline dell’Etna:// è materia rappresa fermentata/ bene nella lunga giacenza/ di memoria. Ne verrà puro spirito/ che profuma di anime, le nostre,/ ottimo per gli ottimi liquori». 

Di Mauro compie in questa raccolta ‘una narrazione in versi’, come dice Maurizio Cucchi nell’introduzione, «condotta a partire da una precisa realtà, anche di origine familiare, ma capace, come era nella stessa narrativa classica, di aprirsi a vicende collaterali, poi calamitate dal centro del racconto nel suo evolversi». C’è quindi un filo che lega il tutto, un respiro poetico ampio e profondo allo stesso tempo, dove vi è una ricchezza linguistica rara, certamente non molto comune nella poesia di oggi. Un libro sicuramente costruito con pazienza e attenzione, con sapienza e pulizia stilistica, dove il poeta mette tutta la sua storia e la sua vita, senza veli o artifizi. Un libro che ci fa anche respirare quella Sicilia antica, colma di cultura e di sapienza, di magia e di scenari incantati, di preziosità dialettali e di solenni antenati. Quella Sicilia dotta e creativa di cui Di Mauro è eccellente rappresentante.

Nell’immagine vicino al titolo: Renato Guttuso, studio di figura per il dipinto Occupazione delle terre in sicilia, 1947

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