Attilio Del Giudice
Una favola contemporanea

Pallino e la poesia

«Ecco, in due parole: sono nata a Livorno nel 1938. Ero una poetessa. Sono morta il 18 aprile, l’anno scorso. Posso girovagare per il pianeta fin quando c’è qualcuno disposto ad ascoltare le mie poesie”»

Era una vecchina vestita di nero con una camicetta bianca di pizzo, sobria ed elegante. Il geometra Erminio Pontillo, detto Pallino (per via della sua abitudine a dire per ogni argomento “tengo il pallino”) la vedeva ogni giorno nel parco, seduta sempre sulla stessa panchina, quando lui scendeva per una pausa di lavoro intorno alle 12 e trenta e vedeva che spesso questa vecchina estraeva dalla borsetta una grossa conchiglia, la portava all’orecchio e parlava. Usava, insomma, la conchiglia come un cellulare. Questo lo incuriosiva molto.

Un giorno la vecchina lo chiamò per nome e cognome.  Come ne fosse venuta a conoscenza resta un mistero. Il Geometra Pontillo, un po’ sorpreso, si avvicinò.

 “So che vuole parlarmi. È così o mi sbaglio?” Disse lei sorridendo.

“Oh sì, si! Non si sbaglia”.

“Che cosa vuol sapere?”

“Tutto quello che vuole dirmi mi interessa. Mi piacerebbe conoscere la sua storia se per lei non è un problema, è un onore per me. Devo dire la verità, a voler sapere la vita degli altri è un pallino che ho avuto sempre, sin da ragazzo.”

“Beh, se ha avuto il pallino… – disse la vecchina – ecco, in due parole: sono nata a Livorno nel 1938. Ero una poetessa. Sono morta il 18 aprile, l’anno scorso. Posso girovagare per il pianeta fin quando c’è qualcuno disposto ad ascoltare le mie poesie”.

“Quindi a lei fa piacere che io ascolti le sue poesie?”

“Sì, molto, mi fa stare ancora tra voi, ed è bello, perché dopo, non si sa, ignoriamo la nostra sorte. Potremo farcela per qualche anno, o poco più, se tutto va bene; solo i grandi poeti invece restano a lungo, anche secoli, perfino millenni, ma, ripeto, solo i grandi.“

“I grandi? Tipo?”

“Tipo: Omero, Saffo, Virgilio, Dante, Petrarca, Shakespeare, Leopardi, ce ne sono, ce ne sono. Questi restano sempre, probabilmente fino alla fine del pianeta terra.”

“Per Bacco – disse il geometra Erminio Pontillo – Quindi Omero, Saffo, per esempio, in questo momento si trovano sulla terra? E dove stanno?”

“Dove stanno non lo so. Non siamo tenuti a saperlo. Da qualche parte sicuramente. Magari si rendono trasparenti per non impressionare la gente, ma ci sono, ci sono, non dubiti! La vedo perplesso, ma le assicuro che è così. È la legge dei poeti, è una legge che risale a tempi antichissimi, addirittura ad altre ere geologiche precedenti la nostra. Forse ci sono ancora nel pianeta poeti di altissimo spessore che hanno operato nell’età del ferro, per esempio. “

“E lei non può essere annoverata tra i grandi?”

“Vuole scherzare? Tra i grandi io? Per carità.

“Lei come giudica le sue poesie?”

“Come le giudico? Niente di importante, forse passabili e potrei anche sbagliare valutazione in eccesso” La vecchina mostrò un sorrisetto amabilissimo, poi aggiunse: “Non si tratta di falsa modestia, purtroppo di poeti al mio livello ce ne sono e ce ne sono stati un’infinità. Ci manteniamo in vita a stento, ma da un momento all’altro i nodi verranno al pettine. Questo è certo.

“Allora me ne vuol dire qualcuna, io posso ascoltarla per una ventina di minuti, dopo devo andare dal commercialista.” 

“No, non la trattengo così a lungo. Io per legge posso recitare una sola poesia al giorno e gliene dirò una molto breve.“

“Allora mi dica, l’ascolto!” Disse il geometra Pontillo.

“È intitolata: La Terra dei Tartari. La scrissi nel 2006, quando era ancora vivo mio marito, in memoria di nostro figlio Antonio, che ci lasciò a vent’anni, per via di un inesorabile male.” La vecchina si schiarì la voce e con un leggero accento livornese, recitò:

Che bisogno c’era di morire a primavera? Come farò bambino mio a mordere senza denti la vita? Nella stalla il nostro morello il tuo cavallino nitrisce di solitario scalpitante e misterioso dolore. Mi porterà lontano nell’immensa prateria battuta senza tregua dai venti ululanti. Eterni giganti d’aria. Laggiù nell’ignota terra dei Tartari nel turbine infinito spargerò con le mie lacrime le ceneri della tua canzone e del tuo acerbo profumo.

Lo guardò con un sorrisetto interrogativo, come una scolaretta.

“Mi sembra bella, intensa – disse il geometra Pontillo – Io, a essere sinceri, come dire, non sono allenato alla poesia, insomma ne capisco poco. Non ci hanno mai fatto capire a scuola quando i versi di un poeta raggiungono l’arte e quando, invece restano nella mediocrità. Ora devo andare dal commercialista, ma noi ci vedremo ancora e parleremo. Però vorrei… Senta, signora, lei, così, a tempo perso, potrebbe darmi qualche lezione? Sa, la mia vita è così arida. Io sono stato, lo devo ammettere, condizionato dalle parole del mio fratello maggiore, che è capo della nostra azienda e che mi diceva sempre: “Guaglio’ sei troppo imbranato, non fare il poeta, se vuoi fare qualcosa di buono, devi imparare a essere pratico, realista”.

“E lei ha imparato a essere pratico e realista?” – Disse la vecchina.

“Sì, ma, devo dire la verità, ho un po’ di nostalgia di quando ero ragazzo e guardavo il cielo stellato e la luna e sognavo l’amore, insomma quando ero imbranato e poeta, come diceva mio fratello.”

“Lei sente nostalgia e per questo vuole che io le dia qualche dritta per capire e apprezzare le composizioni poetiche?” Si mise a ridere, aveva una bella risata argentina, poi all’improvviso si fece seria. “Però – disse – è bene che lei sappia una cosa: dalla poesia, anche quando sarà alla sua portata cognitiva, raramente le verrà gioia e allegria, forse un po’ di piacere estetico, ma sono poche le poesie gioiose. Generalmente la poesia, in tutti i tempi, è legata al dolore, al rimpianto, alle pene d’amore, alla malinconia, alle rimembranze di un mondo perduto, di un tempo irripetibile della vita, al vilipendio della patria, ai grandi esodi, alle emigrazioni per un futuro migliore o per fuggire da una guerra, alla prigionia, alle torture e perfino alla schiavitù. Questo glielo dico perché lei non coltivi aspettative diverse, fuorvianti. Ci capita di constatare che molte persone si aspettano i miracoli dalla poesia. Si aspettano che la poesia possa risollevarli da disagi morali e anche dall’ angoscia di dover affrontare la vita con poche risorse intellettuali, con poca immaginazione. In questo senso la poesia degli altri è un pannolino caldo, serve a poco. Forse certe canzonette di moda funzionano meglio, parlo di canzonette insulse, naturalmente. In ogni modo va bene, cercherò di aiutarla, ma per darle lezione di poesia devo avere il permesso e devo chiedere in alto loco. Si faccia trovare qui domani verso l’una e le darò una risposta.”

“Mi farebbe piacere. Grazie – disse il geometra Erminio Pontillo detto Pallino – Oddio sono già le due. Porca vacca! Devo andare dal commercialista.”

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