Damiana De Gennaro
Il Ceppo in tre parole / 2

Luoghi, passanti, nonluoghi

Con lo spirito dell’haiku giapponese Damiana De Gennaro, autrice della raccolta “Shibuya Crossing”, si qualifica tra i finalisti del Premio Ceppo Selezione Poesia Under 35. A Tokio, nel cuore dell’incrocio “di tutti gli abbandoni”, procede il suo decifrare…

Premio Ceppo Selezione Poesia Under 35, Damiana De Gennaro è uno dei tre finalisti al Premio Poesia Under 35 che il 25 giugno vengono votati dalla Giuria dei Giovani Lettori. Come scrive Gabrio Vitali nella motivazione, la poetessa vince con il libro Shibuya Crossing (Interno Poesia, 2019) «per la matura capacità di traslare in versi di eleganza lieve e sapiente lo spirito dell’haikugiapponese, richiamandone la struttura e il gioco semantico nell’icasticità gnomica di distici e quartine, a volte addensati a grappolo, ma sempre di metrica breve e di ritmo leggero» (www.iltempodelceppo.it).

***

Luoghi
L’incrocio di Tokyo,noto come Shibuya Crossing, appare spesso come simbolo di un paesaggio post-moderno: maxischermi pubblicitari, un gomitolo di insegne, corpi in movimento. Ha un’aria elettrica, o addirittura virtuale. L’io lirico è una videocamera accesa, e porta con sé nazionalità, sesso e memoria. Nel prologo a Nonluoghi, Marc Augé scrive: «Non è in questi luoghi sovrappopolati, dove si incrociano, ignorandosi, migliaia di itinerari individuali, che sussiste oggi qualcosa del fascino dei terreni incolti… di tutti i luoghi dell’incontro fortuito dove si può provare fuggevolmente la possibilità residua dell’avventura, la sensazione che c’è solo da vedere cosa succede?». Prima delle strisce pedonali, ai piedi di una piccola foresta artificiale, la statua del cane Hachikōguarda fissamente un singolo vagone verde bottiglia, che testimonia l’aspetto della fermata di Shibuya intorno agli anni Trenta. Si racconta che il cane andasse alla stazione ogni pomeriggio alle cinque, per incontrare il padrone che tornava dal lavoro. Il monumento che sorge nel cuore dell’incrocio “di tutti gli abbandoni” è dunque votato al concetto di fedeltà.Ancora, Augé scrive: «Il monumento è una prova di autenticità volta a suscitare interesse: uno scarto si instaura fra il presente del paesaggio e il passato al quale allude. L’allusione al passato rende più complesso il presente». Nel caso di Shibuya Crossing, quando gli oggetti osservati sono remoti e sconosciuti, è il dispositivo della memoria a generare un significato nuovo, genuinamente arbitrario. Le due donne amate della raccolta, “la donna cactus” e “la donna narciso”, se si crede alla veridicità dell’io-lirico, sono accumunate solo «dalla trasparenza della voce» e «il numero di lettere del nome e del cognome». Nonostante le somiglianze trascurabili se non ridicole, le due donne corrispondono: sono una lo specchio rovesciato dell’altra, come dei mondi (immaginati) di cui sono ambasciatrici.

Nonluoghi
«Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi come identitario, relazionale e storico definirà un non-luogo». Treni, minimarket, la vetrina fatiscente di un negozio. Stazioni, pioggia, alberi di ulivo. Mentre scrivevo Shibuya Crossing, mi sono molto interrogata sul significato del ritorno. Più di metà del libro, infatti, si svolge nel Sud Italia. Se all’andata la memoria modificava gli oggetti osservati per provare a conoscerli, al ritorno lo stesso meccanismo continua a lavorare ostinatamente, applicando nuove stratificazioni di fantasmi al presente osservato. Anche il “qui” diventa “altrove”. La videocamera, lasciata accesa per errore, si è liberata del peso di un’unica nazionalità, di un unico sesso, di una sola memoria. È straniera, ovunque vada. Anche il luogo più identitario, relazionale e storico della raccolta, «il bar più classico del piccolo paese di provincia», vorrei che, tuttavia, fosse considerato nel suo aspetto più irreale. La “donna narciso” intuisce la minaccia dell’irrealtà e si spaventa. Fa sapere all’io-lirico di non essere affatto una “donnanarciso”, e che quella maledetta invenzione la fa sentire intrappolata. Così, si sottrae alla vista, scappa via. Nella sezione Giardino, in coda alla raccolta, vediamo la “ragazza stella” – nuova identità provvisoria della “donna narciso” – e la “ragazza lucertola”, maschera indossata dall’io-lirico per passare inosservata, stare sedute una a fianco all’altra. La “ragazza stella” sale in piedi sulla sedia e cade nel vuoto dell’assenza, mentre la “ragazza lucertola” chiude fra le ossa delle dita il suo bruciare. Quello che la “donna-narciso” non sapeva è che anche il suo ritratto era un non-luogo. La videocamera dell’io-lirico registra, in fondo, la misura esatta di una perdita, che avviene nello spazio di un attraversamento. (Nella foto Damiana De Gennaro).

Passanti
I luoghi e i nonluoghi sono attraversati da ragazze mascherate, di passaggio. Proust dice: «Ogni impressione è duplice, per metà inguainata nell’oggetto, prolungata dentro di noi per un’altra metà a noi soli accessibile». È così che nascono le ragazze-visioni, che iniziano a svanire nel momento stesso in cui sono pronunciate. Indossano simboli con civetteria, come se fossero accessori. A volte, però, i simboli raccontano le loro paure più profonde: la fuga della “ragazza frutto” da dieci coltelli – ispirata al brano Mowgli’s Road di Marina – o la “ragazza volpe” che si trucca per nascondere il proprio pallore. La “ragazza biblioteca” è spaventata, in particolare, dalla disoccupazione giovanile al Sud, e per questo ha una crisi di nervi in ascensore. La “ragazza color miele” da piccola desiderava essere una sirena, e il suo desiderio esaudito è anche la condanna ad avere “gli occhi premuti sul fondale”. La cantautrice Daoko, in un brano intitolato ShibuyaK, canta: «Aspetto inutilmente il tuo arrivo davanti alla statua di Hachikō / supero le persone normali, che attraversano / Tsutaya, Starbucks, l’edificio Q-Front /… Qui puoi trovare ogni cosa, ma non c’è niente / sarà la città, o forse sono io?». Nel video musicale di un brano tratto dallo stesso album, Samishii Kamisama, la divinità annoiata di un mondo virtuale viene fatta scivolare dal cielo nel centro esatto dell’incrocio di Shibuya, reso riconoscibile dalla forma dei palazzi e delle insegne. I passanti, però, sono del tutto indifferenti e hanno giganteschi fiori esotici al posto della testa. La divinità allora torna nella sua dimensione irreale, che fa pensare ai “mondi di là” in cui Murakami a volte precipita i suoi personaggi, come avviene nei romanzi L’uccello che girava le viti del mondoLa ragazza dello Sputnik. Il film Sognidi Kurosawa si conclude con una coloratissima parata funebre, che fa pensare a una festa. Le ragazze-visioni non alludono immediatamente al suicidio, ma in qualche modo ne sono emanazione. Spero che aver dato loro un volto le aiuti a uscirne vive.

Facebooktwitterlinkedin