Leonardo Tondo
Contro la crescita della natalità

Figli, pensioni e libertà

Gli appelli per invertire la tendenza alla decrescita italica, che non nascondono scopi economici, non tengono conto delle ragioni di donne e uomini che non vogliono essere genitori. E neppure di un’evoluzione sociale che ha aspetti e potenzialità positivi

Mettiamo una sera a cena: coppia etero collaudata, bollicine fresche, musichetta, atmosfera. Lei: «Come, niente precauzioni?». Lui: «Amore, non hai sentito Draghi e il Papa? Dobbiamo pensare alle nostre pensioni e al futuro del Paese». Dialogo tanto improbabile quanto corrispondente, in sintesi, alle motivazioni sostenute da economisti e giornalisti, prevalentemente maschi, a favore della necessità di una crescita della natalità italica che sembra in caduta libera. Tanto poi il problema di allevare figli, alla fine, è più una questione femminile che maschile, anche di questi tempi. Più che allietare le famiglie, secondo i maître à penser, i figli servirebbero a pagare le pensioni dei genitori fra trent’anni, senza contare che poi diventeranno pensionati anche loro e sicuramente più longevi. Saranno necessari ancora più figli, in una rincorsa esponenziale chissà quanto sostenibile per qualsiasi società futura. Al contrario, una decrescita di italiani della metà, in trenta o quarant’anni, risolverebbe più di un problema. Bisognerebbe aspettare, ma è una regola ferrea che meno persone hanno bisogno di meno risorse e inquinano tanto meno. La conseguenza sarebbe un rallentamento dell’economia, facilmente assorbito da una popolazione in diminuzione. 

Sulle cause di questa decrescita dibattono giornalisti, economisti, governanti, sociologi e religiosi, ognuno con la sua teoria, molti d’accordo sulle conseguenze catastrofiche. Il refrain più ascoltato è quello dello Stato che non sostiene la maternità con asili nido, sgravi fiscali o affitti agevolati. Ma fino a cinquant’anni fa le famiglie, perlopiù, si basavano su un solo stipendio e mettevano al mondo più figli di adesso, dunque l’attuale mancata assistenza statale avrebbe poco a che vedere con la denatalità. La Francia, presa come modello di assistenza alla maternità e all’infanzia, si presenta con un indice di natalità di qualche decimale superiore all’Italia. Ah sì, dicono che un tempo c’era più speranza, come se una coppia pensando a un figlio fosse ispirata dalle virtù teologali. Va da sé che nella società contadina, i figli diventavano rapidamente braccia e affidati a lavori minorili che attualmente sarebbero da codice penale. Oggi i figli, in un mondo più esigente e ambizioso, sono bocche da sfamare, educare e trastullare per decenni. Le donne rimanevano a casa a accudire figli, marito e magari genitori anziani, lavando, stirando e cucinando. Adesso questo non è più il loro sogno e non si può dar loro torto. A quel tempo, come spesso accade anche oggi, vivevano in uno stato di dipendenza che le costringeva a subire anche violenze per l’impossibilità di separarsi. Ragionevolmente si sono stancate. 

I sociologi, personaggi mediatici ma abbastanza inutili per capire i comportamenti dei singoli, intervengono con le loro teorie sulla crisi della coppia e del matrimonio o sull’individualismo dei giovani non tenendo conto che la società è fatta di persone distinte le une dalle altre, con aspirazioni personali che non sono condivise da tutti. C’è la coppia che pensa al proprio lavoro e vede i figli come impedimento alla libertà di uscire la sera, di andare in vacanza e di essere indipendenti e quella che invece si sente più rassicurata dalla famiglia tradizionale, così il talk show si sposta sul cosiddetto istinto della maternità. Tecnicamente non è un istinto, termine da usare per comportamenti che si manifestano senza aver avuto un apprendimento (la suzione per il bambino) e che diventano essenziali per la soddisfazione di bisogni essenziali (mangiare, bere o dormire). L’accoppiamento potrebbe rientrare fra gli istinti, ma la sua mancata espressione non minaccia la nostra esistenza, così come si può sopravvivere anche senza maternità che, semmai, è un’emozione complessa come l’amore. 

Nei secoli fare figli è stato considerato come un’evenienza casuale anche perché, per molto tempo, non si sapeva come evitarli. Ciò nonostante si è stabilita nelle società una poco velata forma di razzismo nei confronti di coppie che non erano in grado di riprodursi. Una incapacità che faceva giudicare la donna inadeguata a svolgere il suo ruolo sociale centrale di fattrice (soprattutto di figli maschi che avrebbero poi lavorato nei campi). Da guardare il docufilm Lunàdigas – Ovvero delle donne senza figli (in streaming) che racconta le testimonianze di molte donne. Lo stigma delle coppie senza figli riguardava anche l’uomo di cui veniva messa in dubbio la virilità. La scelta di riprodursi o meno, diminuendo e venendo a mancare certi condizionamenti sociali e con l’arrivo degli anticoncezionali, è diventata, così, più libera. 

Esiste anche il tema del gene egoista. Attenzione: si parla di fare figli e non di adottare quelli già disponibili, di trasmettere i propri geni e di assicurarsi l’immortalità attraverso le generazioni con quel retaggio di sopravvivenza della specie iscritto da qualche parte nel nostro DNA. Non si dice mai, ovviamente, che i figli potrebbero essere quelli già cresciuti, immigrati giovani, già pronti a lavorare per le pensioni attuali e non per quelle di là da venire. Neanche questa strada aperta e senza curve piace a chi vuole la trasmissione dei propri caratteri somatici, e qui si entra a vele spiegate nel territorio del nazionalismo più becero che si confonde con il razzismo, anche religioso. La stessa Chiesa giudica egoiste le coppie senza figli temendo un superamento di fedeli da parte di altre religioni. Fino a quando i figli provengono dall’interno dei nostri confini vanno bene, ma se vengono da fuori non sono accettati a meno che non si vogliamo considerare le poche adozioni internazionali, le uniche praticabili per tante ragioni. 

È vero che ci sono poi le coppie che lavorano senza possibilità di mettere al mondo un certo numero di figli perché richiederebbero enormi energie fisiche e psicologiche. Abitualmente ne hanno due (anzi un po’ meno secondo le statistiche), tanto superprotetti da manifestare poco entusiasmo di affermare una loro indipendenza, magari impegnandosi in una loro famiglia. 

In tutto questo mondo multiforme, alla fine, si parla poco della libertà di scelta di una donna o di un uomo senza voglia di maternità e paternità per i loro sacrosanti motivi che non dovrebbero essere giudicati da nessuno. Motivi non semplici da verbalizzare, sconosciuti a loro stessi, ma validi almeno come quelli di quelli che, invece, il desiderio ce l’hanno e lo hanno realizzato. Anche se alla richiesta di spiegazioni sulla motivazione per la quale hanno voluto un figlio che li avrebbe condizionati per il resto della loro vita, spesso ti guardano smarriti e incapaci di rispondere.  

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