Marco Vitale
Bernardo Bertolucci poeta

Approdo con congedo

Si ristampa “In cerca del mistero”, l'introvabile raccolta poetica giovanile del regista scomparso nel 2018. Non una mera operazione di recupero, ma l’occasione per comprendere l’educazione sentimentale dell’autore e gli esiti che ha avuto

In un articolo apparso nel novembre del ’56 sulla rivista “Il Punto”, e confluito poi in Passione e ideologia con il titolo “Officina parmigiana”, Pier Paolo Pasolini, dopo aver parlato delle prove dei giovani poeti che si formavano a Parma nel magistero di Attilio Bertolucci, si soffermava brevemente sugli esordi di un ragazzo di soli quindici anni i cui versi gli erano sembrati «così gratuitamente lievi e felici e insieme già così dentro a una storia». La storia, nelle sue vastissime implicazioni culturali ed esistenziali con al centro la poesia, è verosimilmente quella dello stesso Attilio Bertolucci e il quindicenne agli esordi è il di lui figlio primogenito Bernardo, cui toccherà come è noto un luminoso futuro nella regia cinematografica. Quei versi, così precocemente apparsi su riviste di prim’ordine come “Botteghe oscure” e la nobilissima provinciale “Palatina”, avevano attirato al tempo stesso l’attenzione (e il consenso) di lettori esigenti, tuttoché amici del padre, quali Giorgio Bassani e Cesare Zavattini. Insomma, un cammino di poesia sembrava prender forma sotto i migliori auspici mentre di lì a non molto, nel 1962, quei primi versi insieme ad altri successivamente composti trovavano l’ospitalità di un’edizione Longanesi e, Pasolini consule, l’alloro del “Viareggio Opera Prima”. A quel fortunato volume, che usciva con il pascoliano titolo In cerca del mistero, sappiamo che non ne seguirono altri. Al momento di ricevere il premio, Bernardo, proprio grazie a Pasolini, era già passato dietro la macchina da presa, dapprima come aiuto regista in Accattone (1961), poi come autore del suo primo film, La comare secca (1962). Oggi, mentre ricorrono gli ottant’anni dalla nascita del grande regista scomparso nel 2018, Garzanti rimanda in libreria quel volume introvabile per le cure attente e cordiali di Gabriella Palli Baroni, tra le principali studiose dell’opera di Attilio Bertolucci e recente curatrice dell’importante carteggio tra il poeta e la moglie Ninetta (Il nostro desiderio di diventare rondini, Mondadori, Milano 2020, 532 pagine, 35 euro). 

Questa nuova edizione di In cerca del mistero (Milano 2021, 105 pagine, 12 euro), va detto subito, ha un valore che va sicuramente al di là della curiosità del recupero come dell’intento celebrativo legato all’anniversario del suo autore, e offre l’occasione per riflettere su un intreccio di motivi legati tanto all’opera del padre quanto a quella a venire del figlio, nei tempi della formazione stimolante e insieme inquieta di quest’ultimo. La grazia che uno straordinario lettore di poesia come Pasolini aveva colto in nuce e che ci viene incontro fin dai primi testi del libro è infatti innegabile e al tempo stesso, inoltrandoci nella lettura, si è colpiti dalle evidenze di una filiazione poetica altrettanto certa: motivi, lessico, prosodia si presentano non di rado come echi di una poesia che il ragazzo Bernardo sembra respirare “naturalmente” nel suo ambiente, nei luoghi che lo circondano come nell’ascolto affascinato della voce paterna. In cerca del mistero è costruito come un itinerario che dalla madre, passando per un vivace paesaggio degli affetti (l’infanzia del fratello Giuseppe, i colori di Casarola, l’educazione sentimentale), conduce alla figura del padre ed è un approdo con valore di congedo. Congedo dalla poesia, intendo dire, quale infatti di lì a poco avviene. 

Istradandoci per tale itinerario sembra di poter cogliere da un lato la potente suggestione della poesia paterna, del suo romanzo familiare che proprio in quegli anni viene componendosi, dall’altro la problematicità che quel romanzo comporta e sulla cui struggente bellezza grava la minaccia del tempo. Il cammino poetico del giovane Bernardo muove così da un incanto per luoghi e persone affabilmente contigui e si complica via via criticamente. Prendiamo una quartina come questa: «Come se fosse sola tra sé parla / e mentre si allontana ansima ancora / Per la sua voce stupita, per la sua svelta andatura / è più dolce lasciarla che incontrarla». Non è difficile vedere qui quasi un lungo movimento di macchina, tecnica della quale Bernardo regista sarà maestro e a un tempo leggervi come un’atmosfera da film francese di quegli anni. O prendiamo ancora un distico come questo: «Ogni pioppo che ci accoglie, ogni olmo / conserva del tuo riso il lungo brivido», laddove la delicatissima musica che prolunga il soffio del secondo verso ci parla di un equilibrio che non sembra scalfibile. È uno stato di grazia e non tarda a incrinarsi al sopraggiungere di nuove consapevolezze. 

L’influenza di Pasolini viene ad affiancarsi criticamente a quella del padre, ai dolci paesaggi d’Appennino si contrappongono quelli di «una città non mia, eppure / mi travolge un amore». Roma naturalmente, nelle luci serali della borgata di Tor Marancio, a bilanciare la nostalgia per la bellissima Parma che tanto Bernardo quanto Attilio coltivano in partibus infidelium. Pasolinianamente anche il discorso ideologico diviene materia di composizione poetica per Bernardo, insieme a motivi di contrasto generazionale che proprio in quel decennio acquistano novità e rilevanza maggiore e sembrano riflettersi in questi versi: «Anch’io covo, in ammenda / della mia infanzia felice / negli spazi di Parma, un poco orrenda / una cosa, una radice / parassita, nata nel presepio / ineffabile della mia famiglia». Ci è dato qui assistere, come si può vedere, ad un trasparente motivo di contrasto in tal senso, e ne è investito lo stesso mito del romanzo familiare, ironicamente trasfigurato in presepe. È il tema centrale dell’ultima sezione del libro, che si misura con «la violenza del tuo dono Attilio», il «paterno, senile / dono della poesia». Un compito certamente non lieve per un ragazzo, seppure straordinariamente dotato, di vent’anni che riguardo all’esorbitanza di quel dono – la poesia di Attilio Bertolucci è tra le più alte del nostro Novecento – si vede come preso in un nec tecum nec sine te. A questo modo il cinema, che pure è dono paterno nella Parma di Zavattini e di “Pietrino” Bianchi, verrà a proporsi come terreno ideale di un’elaborazione tutt’altro che breve e indolore e che forse solo con le grandi sequenze delle campagne padane diNovecento(1976) troverà un suo sostanziale e dinamico scioglimento. 

Facebooktwitterlinkedin