Marco Vitale
“All’altro capo” di Roberto Deidier

Orizzonte rotto

Fa pensare a «una conradiana linea d’ombra» la nuova raccolta del poeta romano dove la bellezza appare «incrinata dalla fuga del tempo». Un libro che «muove dalle soglie dell’elegia per incamminarsi nei luoghi di un attraversamento doloroso». Un «atto d'amore e di rispetto» il suo per la poesia

Una calma meridiana superficie marina è a congiungersi, lievemente increspata dalla luce, con una linea d’orizzonte che sfuma e sembra perdersi in lontananza. Non sappiamo cosa vi siaall’altro capodi quella linea, e la stessa calma si colora di inevitabile inquietudine. La suggestiva immagine di Giulia Napoleone (un particolare è riprodotto nell’immagine vicino al titolo, ndr) ci viene incontro sulla copertina del nuovo libro di poesia di Roberto Deidier (All’altro capo, Lo Specchio Mondadori 2021, 128 pagine, 18 euro), come un ottimo argomento. Linea, disegno, luce, inquietudine che proveremo meglio a definire, caratterizzano questa nuova stazione del poeta romano che esce a distanza di sette anni dal precedente, fortunato Solstizio (Lo Specchio Mondadori, 2014, 166 pagine, 16 euro). C’è continuità di stile e materia tra i due libri: la perfetta lavorazione dell’endecasillabo e dell’enjambement, la nettezza di disegno che accoglie la luce per campiture larghe e compatte, l’aver casa nella grande tradizione novecentesca italiana (Saba e Penna su tutti), ma anche europea (Auden e, sempre di più mi sembra, Zagajewski), la scelta infine di una pronuncia esistenziale e di pensiero che metta al centro la vita, allora che la vita si rispecchia in un paesaggio osservato con precisione nel trascorrere delle ore e delle stagioni. 

Tutto questo, mentre giunge a ulteriore maturazione stilistica e consapevolezza, mi pare possa dirsi anche del nuovo libro di Roberto Deidier (nella foto), laddove la sensibilità al tema dell’orizzonte si mostra però più acuta e rimanda a qualcosa che ne costituisce insieme minaccia e valore. È a una conradiana linea d’ombra quella a cui penso e che mi sembra attraversi l’intera offerta, talché la stessa bellezza che il poeta ci chiama a condividere appare già incrinata dalla fuga del tempo. La purissima luce della poesia che leggiamo in apertura – una luce che precede il tramonto in cui tutto decanta e la ringhiera davanti a «un cielo sempre più alto» trattiene ancora il calore del giorno – funziona come un termine ideale, una radice tenace del poeta che pure l’avverte in pericolo per quanto all’altro capopotrà accadere. È l’argomento di questo libro, che muove dalle soglie dell’elegia – un’elegia non immune da intelligenza sulla rovina del paesaggio storico («L’orizzonte fu rotto per sempre») – per incamminarsi nei tempi e nei luoghi di un attraversamento doloroso in cui tutto è messo in questione, fatti salvi gli irrinunciabili strumentidella poesia. 

«La poesia di Deidier – ha scritto Arnaldo Colasanti – sembra un potente atto d’amore e di rispetto per la poesia (in Braci. La poesia italiana contemporanea, Bompiani 2021, 444 pagine, 18 euro). Ed è quanto si avverte anche in quest’ultima raccolta, dove il gusto della precisione metrica e sintattica non viene mai meno, servito da un lessico insieme asciutto e robusto che incide là dove è necessario incidere, lasciare una traccia su cui riflettere, secondo una visione certamente prospettica, ma verrebbe quasi da dire secondo un teatro da camera nel quale l’amore e il dolore rivestono i ruoli principali. E in tale teatro lo sguardo si fa più ravvicinato, spiazzante, a tratti di una radenza elisabettiana: «A volte fermo lo sguardo sul tuo sguardo / E tu fermi il tuo sguardo sul mio: / Lo spazio è un vuoto e quella linea invisibile / Da pupilla a pupilla su quel vuoto / È il nostro ponte sospeso. Per un istante / Distogliamo lo sguardo ma quel ponte resiste». (p. 49) O ancora, un altro esempio: «Le vie di Google Maps sono un mosaico / Di fotogrammi con date diverse. / Qui eri ancora vivo. Pochi metri e anche a me / Chiedi di morire, ma si è fatto tardi. / Non mancherò all’appuntamento / Con una lingua che a stento riconosco». (p. 55). 

Sono, questi ultimi, versi che ben preludono all’attraversamento cui si è fatto cenno, come subito si materializza nelle sezioni seguenti, a cominciare dall’amara “Chimica dell’abbandono”. E dalla immediatamente successiva “Una discesa nell’Ade” con le sue “Cinque poesie” sul tema della perdita, forse il vertice del libro nella loro leopardiana prospicienza verso quanto sta insieme qui e all’altro capo. In esse le sensibilità di chi resta e di chi se ne va («Nella luce che intensifica il distacco / Quando invade la casa, o nel miele / Che riveste ogni vita all’imbrunire», p. 80) appaiono ravvicinatissime, negli orizzonti che per sempre divergono. Non potrebbero che essere dette così, nell’amore e nel rispetto per la poesia poc’anzi ricordati. E sapendo, come si dirà più avanti nel dialogo tra il poeta e Nina Cassian, che «L’orizzonte è un alfabeto in viaggio».

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