Andrea Carraro
Una storia di padri e figli

Solo una chiacchierata

«“Lei per quella rissa in mensa, oltre ai giorni d’isolamento e a tutto il resto, ha perduto anche lo sconto di pena…” “Starei già fori da 67 giorni”. L’operatore lo guarda, lui schiaccia la sigaretta con la scarpa di gomma...»

“Faccia entrare, agente… ”

“Coletti dai sta a te!… ”

“Tommaso Coletti…  –  dice lo psicologo penitenziario, congedando un vecchio ergastolano di Reggio Calabria con la faccia da ratto che tutti a Rebibbia chiamano Nonno. Poi comincia ad analizzare la cartella personale del nuovo detenuto, che si siede di fronte a lui nell’unica sedia disponibile senza togliersi il berretto. Non essendoci una scrivania, l’operatore deve tenersi le carte in grembo con alcuni fascicoli impilati provvisoriamente sul pavimento sporco di intonaco ceduto dalle pareti e qualche cicca schiacciata. Smette di leggere, si abbassa gli occhiali da lettura sul naso porcino, guarda il giovane con attenzione, torna a leggere qualcosa da un fascicolo azzurro. La sala è grande, imbiancata solo per metà, vuota, eccetto per le due seggiole dove sono seduti e alcune scansie metalliche sulla parete più lontana, mezzo occupate da faldoni, carte e goffi manufatti di terracotta. C’è anche un termosifone sotto a una mensoletta di finto marmo. La luce proviene da una finestrella sbarrata che corre alta sulla parete in fondo. Nell’aria c’è un pungente odore di vernice e il rumore ovattato di un cortile dove qualcuno sta facendo l’ora d’aria.

“Come si sente?”

“Io non l’ho richiesto questo colloquio”

“Lo so, si rilassi. È solo una chiacchierata”.

“Lei non è il mio avvocato, perché devo parlare con lei?”

“Il suo avvocato lo ha richiesto al posto suo, e anche il giudice.”

“ “

“Allora, che ha intenzione di fare della sua vita una volta uscito da qui?”

“Boh!”

Il giovane detenuto cava dalla tasca un pacchetto di sigarette, chiede se può fumare e ne accende una con la mano tremante. Poi si toglie il berretto di cotone da giocatore di baseball beige con la scritta Help sopra la visiera, scoprendosi la testa rasata e abbassa un poco lo zip della tuta nera che indossa.

“Fa caldo qua…” – dice facendo il gesto di sventolarsi con la mano.

“Perché ha picchiato il suo compagno di cella in quel modo fino a rompergli il setto nasale e spaccargli i denti? Le va di parlarne?”

“M’hanno già punito per questo.”

“Ma io non sto qui per giudicarla, si tranquillizzi. Sono uno psicologo.”

“Non se faceva i cazzi sua! Parlava troppo, anche la notte!”

“Che cosa le diceva?”

“Se l’è meritato, punto.”

“Che cosa le aveva detto Lorenzo Rossi per farla reagire così violentemente?”

“Nun me ricordo… Chiedetelo a lui.”

“Mi faccia capire, altrimenti come posso aiutarla?”

“Io non ci ho bisogno d’aiuto”

“Ne è proprio sicuro?”

“ ”

“Lei per quella rissa in mensa, oltre ai giorni d’isolamento e a tutto il resto, ha perduto anche lo sconto di pena…”

“Starei già fori da 67 giorni”.  

L’operatore lo guarda, lui schiaccia la sigaretta con la scarpa di gomma e sta per accendersene un’altra, ma il tremore alle mani lo fa desistere, rimette in tasca l’accendino e il pacchetto e resta con la sigaretta intonsa fra le dita accostata al petto, come se avesse una mano offesa, guardando il vuoto.

“Senta, io non voglio costringerla a parlare a tutti i costi. Se vuole chiamo la guardia e la faccio riportare in cella”.

“Io sto bene, gliel’ho detto… ‘Na favola!…”

“Riprenderà a combattere?”

“None.”

“Quanti anni ha, ventisette, ventotto?”

“Non è un problema d’età. Mi’ padre ha combattuto fino a 38 anni!”

“E allora?”

“Guardi, guardi come me tremano le mano, guardi che panza!… – fa il detenuto sollevandosi la casacca della tuta sportiva e mostrando il ventre prominente che preme sulla t-shirt bianca. – Ho preso 18 chili qua dentro…”

“Può dipendere dai farmaci. E dall’alcol. Perché ha smesso l’attività fisica?”

Coletti tossisce e il volto gli si infiamma. Poi si ottura le orecchie con le dita e grugnisce come per sturarle.

“Come c’è finito a Rebibbia?”

“Senta, dottore, psicologo… eccellenza… santità… come devo chiamalla!?… So’ tutte cose che sapete benissimo…”

“Vorrei sentirle da lei, ma è libero di non rispondere”.

“ ”

“Vorrei sapere perché un pugile affermato, con una fedina penale immacolata a un certo punto…”

“Ma perché lei si interessa tanto alla mia storia? Mi servivano i soldi…”

“Solo questo?”

Silenzio. Lo psicologo sta quasi per desistere e congedare il giovane detenuto, quando questi inaspettatamente abbassa la testa e comincia a bestemmiare fra i denti e lamentarsi.

“La mia vita è un casino, porcoddio in croce, ho sbajato tutto, io nu lo so perché, ho sempre sbajato tutto. È da quanno so’ nato che faccio cazzate!”

Leva lo sguardo verso l’uomo che gli è seduto di fronte, lo guarda finalmente con attenzione, i capelli sfibrati, le tempie ingrigite, il doppiomento, la pancetta. Per età potrebbe essere suo padre. Ma non ha l’aria truce di suo padre. Non deve essere cattivo.

“Devo rientra’ in cella.”

“Non si preoccupi del tempo.”

“Volevo tanto usci’ da ‘sto manicomio…”

“E adesso? Non lo vuole più?”

“Boh. Ci ho un casino nella capoccia, j’ho detto.”

“Perché non vuole approfittare di questa occasione? Parlare con qualcuno può servire. Come fa a escluderlo? Si lasci andare…”

“Non so’ mai annato da ‘no psicologo in vita mia! Non saprei manco da dove comincia’.”

“Cominci da un punto qualunque. Cos’è che la fa soffrire? Quand’è che le cose nella sua vita hanno cominciato a guastarsi?”

Il detenuto ha un nuovo accesso di tosse, che lo fa piegare in due sulla sedia. Smoccola ancora, chiede scusa, si volge un poco per scatarrare nel fazzoletto di carta, si rimette diritto. Si tura ancora le orecchie e fa uno strano rumore con la bocca a imbuto.

“Coddio…”

“Che c’è? Sente dolore?”

“I gong, sento. De giorno, de notte. E il rumore dei cazzotti sulla testa, certe volte me pare da impazzi’!”

Un ennesimo accesso di tosse gli impedisce di continuare.

“Perché si rifiuta di andare ai colloqui? C’è una giovane donna che la viene a trovare regolarmente… è la sua fidanzata?”

“Lei lo sa bene. Non mi pigli per fesso!

“Ma lei ancora non mi ha risposto, Coletti. È la sua ragazza?”

“Non più.”

“Perché non vuole vederla? Quando uscirà da qui potrebbe essere per lei un punto di riferimento.”

“Io non vojo la compassione de nessuno! Deve trovasse un altro, gliel’ho scritto e riscritto. Io nun so più quer Tommaso che ha conosciuto.”

“E suo padre?”

“Se vergogna de me e fa bene. Manco me risponne ar telefono, come sente la voce mia attacca. E nun è mica perché sto carcerato, none…”

“E perché allora?”

“Perché so’ un perdente! Dice che me piace perde’. Da quando ho perso il titolo per lui so’ morto!”

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