Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Le parole di Biden

Per Biden, «le parole contano, il tono conta e il civismo conta; e riunificare il paese per riportarlo ai tavoli globali delle trattative significa voltare pagina rispetto alle azioni ma anche rispetto al linguaggio del passato». Per questo il nuovo presidente non fa notizia?

Biden non fa notizia. Non infiamma I sostenitori, non urla, non grida contro il nemico, non pronuncia minacce, non è eccessivo e primitivo, non usa in continuazione il pronome io. Non è sopra le righe, non pensa, come direbbero gli americani, di essere larger than life. Non crede nella filosofia del marchese del Grillo (io sono io e voi non siete un c….!) e agisce come un leader di governo dovrebbe.

Per questo non fa notizia.

Ciò però fa riflettere su cosa sia diventata l’informazione di questi tempi. Su cosa significhi il bisogno continuo di breaking news, la necessità spasmodica della ricerca dell’eccezionalità, del sensazionalismo della notizia che ha dimenticato cosa sia un comportamento etico nel fare informazione e nella politica. Cosa sia la gravitas misurata di leader che dovrebbero da un lato tutelare e dall’altro rassicurare i cittadini, specie in questo momento cosi delicato in cui la fragilità delle persone è totalmente esposta e senza protezione.

In questo senso non solo il tono della voce di Biden è basso ed equilibrato, ma anche il suo stile, come abbiamo detto in precedenza, appare pacato, fermo e per questo rassicurante. Ma tutto ciò non è abbastanza per fare notizia.

 Addirittura Biden appare a tratti contrito, sotto tono e quasi inadeguato, come a sottolineare la sua non facile esperienza di vita (la prima moglie e una figlia morte in giovane età in un incidente automobilistico, l’avere cresciuto i due figli da solo e l’avere esperito ancora una volta il più grande dolore nella vita di un genitore, quella di perdere un altro figlio, morto di tumore). Il suo carisma è troppo rassicurante. E questo non piace al mondo dell’informazione. È stato già accusato di essere poco appetibile di fronte alle telecamere, di essere lento, anziano scialbo e cosi via. Ci vogliono personaggi forti, arroganti, aggressivi per fare audience, diceva Roger Aisles, fondatore di Foxnews, quello che ha portato nel mondo dell’informazione queste caratteristiche assieme alla estrema partigianeria e faziosità, avvelenando in maniera irreversibile i pozzi dell’informazione. Cosi ha condotto al patibolo gli obiettivi di una stampa libera e democratica che negli Stati Uniti e nel mondo oggi è affamata solo di personaggi stupidi, superficiali e pericolosi, ma telegenici. Non si preoccupa più di informare, ma solo di fare crescere l’audience. È scomparso il giornalismo investigativo perché troppo lento e costoso e gli editori non ne vogliono più sapere. Nel caso di Aisles, sostenuto dall’editore Rupert Murdoch, ciò avveniva attraverso «un prodotto confezionato a regola d’arte in salsa conservatrice».

Oggi però anche le testate non conservatrici hanno sposato questa filosofia e hanno smesso di fare informazione per prediligere notizie preconfezionate, sensazionali senza una ricerca approfondita dei fatti. Meglio, specie nel caso delle testate televisive, se raccontate da giovani e fisicamente prestanti newscaster che per inciso nel caso siano donne sono state molto spesso oggetto di molestie sessuali sia da parte dei capi che dei colleghi uomini.

Questo nuovo packaging dell’informazione, è concentrato solo sui profitti, sulla pubblicità e su un’audience che rimarrà fedele perché imboccata, non informata. Una volta individuato un target, invece di informarlo gll si dà quello che vuol sentire. In questa nuova veste l’informazione rincorre solo lo sharing e non si occupa dei fatti che divengono un orpello trascurabile. Spesso schiavi delle parole e sottomessi ad esse. La differenza tra realtà e parole non c’è ‘più. A questo gioco tuttavia vincono di gran lunga i conservatori alla Aisles o alla Murdoch che nel foggiare quella partigianeria sono e sono stati imbattibili perché assolutamente in malafede. Inoltre è interessante ricordare, come fa notare il regista Michael Moore, che «mentre i conservatori mirano alla testa, (cioè per uccidere), i liberal si accontentano di innocue cuscinate». E dunque è arrivato il momento per questi ultimi, suggerisce Moore, se non vogliono scomparire, di creare una strategia politica seria, solida e basata sulla decenza, sulla dignità sul civismo e su certi principi etici in grado di combattere i conservatori che sempre di più si sono radicalizzati. E non vogliono fare prigionieri.

Biden ha fatto dell’etica nell’approccio politico il mantra del nuovo agire della Casa Bianca e il mondo dell’informazione ha l’opportunità di indagarne l’operato informando l’opinione pubblica. Ancora però su questo si è in grande ritardo. Ha cominciato il New York Times che ha dato prova di una sensibilità diversa e di un’inversione di tendenza. Infatti in un articolo del 24 febbraio a firma di Michael D.Shear intitolato The Words That Are In and Out With the Biden Administration ha citato la portavoce della Casa Bianca Jean Psaki che afferma: «Il presidente ha chiarito a tutti noi che le parole contano, il tono conta e il civismo conta e riunificare il paese, riportarlo ai tavoli globali delle trattative, significa voltare pagina rispetto alle azioni, ma anche rispetto a un linguaggio divisivo e spesso xenofobo tipico della precedente amministrazione».

Molti sono gli esempi di questa trasformazione che non sono semplicemente di carattere formale come quella che vuole la sostituzione dell’espressione “illegal alien” usata da uno dei Ministri delle Giustizia di Trump Jeff Sessions con quella di “non citizen”. Non è solo una questione di political correctness, ma di dignità nei confronti di quegli immigrati che non hanno ancora i documenti giusti, ma che non per questo sono illegali. La parola “alien” inoltre testimonia di una distanza nei confronti degli stranieri che se forse può andare bene per un paese come l’Inghilterra che da sempre coltiva tendenze xenofobe e razziste, mal si concilia con un paese di emigranti come gli Stati Uniti.

Ricompare inoltre l’espressione “climate change” che Trump aveva abolito, come ricompare lo spagnolo in certi website governativi. Melissa Schwartz del Ministero degli Interni che si occupa del territorio e dell’ambiente naturale, (con competenze completamente diverse da quelle dei dipartimenti o dei ministeri degli interni di altri paesi che tendono a concentrarsi sulla polizia o sulla sicurezza) ha affermato che questi cambiamenti sono parte di una nuova strategia politica che incoraggia voci che non erano mai state udite prima durante l’amministrazione Trump. “Le parole che scegliamo sono critiche e stabiliscono anche il tono, sia che si tratti di comunicazione della stampa che dei social media o dei messaggi dello staff – ha affermato-  Qui da noi questo significa non solo riconoscere l’impatto sproporzionato che le crisi ambientali hanno sulle comunità di colore e dei nativi, ma anche abbracciare le parole della scienza e le soluzioni scientifiche che ci aiutino ad affrontarle”. L’amministrazione Biden ritiene dunque che anche gli sforzi di modificare il linguaggio usato dai dipendenti governativi sia il riconoscimento del potente messaggio che certe parole e certe frasi trasmettono. Perché sono pesanti come mattoni e incidono molto.

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