Lidia Lombardi
I 50 anni della pillola anticoncezionale

Il grande passo sul pianeta Donna

Mezzo secolo fa veniva approvata l'abrogazione dell'articolo 553 del Codice Rocco che puniva «la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione». Una battaglia condotta dall'AIED che celebra l'anniversario con una serie di iniziative. Sembra preistoria, ma l'eguaglianza di genere è ancora da conquistare

Le nostre figlie, che abbiano diciotto anni o trentacinque, la comprano come un qualsiasi prodotto di usuale accesso. Oppure no, non la comprano, perché non sanno abbastanza come funziona o non se la possono permettere. Parlo delle figlie della generazione del boom, che ha vissuto “formidabili quegli anni”, dal ’68 ai primi Ottanta. E però le nostre figlie non conoscono la vera storia di quell’“oggetto di consumo” che è la pillola anticoncezionale. La quale ha appena compiuto mezzo secolo, essendo datata al 10 marzo 1971 la sentenza della Corte Costituzionale che abrogava un caposaldo del Codice Rocco: l’articolo 553 che vietava e puniva (fino a un anno di carcere e a 400 mila lire di multa) «la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione». Era il corollario di una battaglia condotta dall’AIED, l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica fondata nel 1953 da giornalisti, scienziati, intellettuali accomunati dall’obiettivo laico e democratico di diffondere conoscenza sulla pianificazione familiare e sui metodi contraccettivi. Una battaglia fatta – nell’aspetto estemporaneo – di cortei e slogan, l’“utero è mio e me lo gestisco io” ritmato da donne che roteavano il reggiseno prima di lanciarlo sul selciato e alzavano le due mani unendo indici e pollici, a simboleggiare quella che Courbet in un dipinto di culto aveva chiamato L’origine del mondo.

Era l’aspetto più colorato – ah, quelle erinni femministe – di una rivendicazione che si affiancò, nel decennio Settanta, al referendum sul divorzio e a quello sull’aborto, all’abolizione del reato d’adulterio e del delitto d’onore e alla nascita della potestà genitoriale al posto della patria potestà. Ed era un pilastro, lo sdoganamento della pillola, della parità uomo-donna, visto che con quell’assunzione giornaliera e solitaria di una pasticca lei decideva della vita propria, sì (avere o no un figlio, e quando averlo, e quanti averne), ma anche di quella del partner e degli altri suoi bambini, in termini affettivi, morali, ed economici.

L’Aied festeggia il cinquantenario con il manifesto di una teenager che imbraccia i libri di scuola e dice in un fumetto «Grazie alla lotta di tante donne sono libera di scegliere e di amare». Ha caricato sulla propria pagina Facebook un cartone animato che ripercorre la conquista di mezzo secolo fa. Ha organizzato per il mese di marzo una campagna di rafforzamento della informazione che il 30 prossimo culminerà in “Blister 21 Talk”, evento digitale al quale sono invitati ragazze e ragazzi, uomini e donne, «per un confronto aperto sui temi dell’educazione sessuale, affettiva ed emotiva rivolta all’adolescenza».

Perché qui sta il punto: la rivoluzione della pillola in Italia non è ancora completamente attuata. Quel blister, intanto, non è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale: al farmacista la donna che si vuole proteggere da una gravidanza che non può sostenere (non ci piace liquidarla come indesiderata) deve consegnare 33 euro, tanto quanto costa una confezione che dura tre mesi. Chi non ce l’ha, quei soldi, pensa pure che, se rimane incinta, l’aborto è gratuito, dunque le conviene, mentre non conviene alla Sanità Pubblica, che perciò attuerebbe una scelta oculata se “passasse” il contraccettivo. Del resto, i consultori pubblici sono sotto organico, scontano forti differenze regionali e scarsi finanziamenti.

Ma ci sono poi altri numeri che bisogna tenere bene a mente. In tema di contraccezione, tra quarantacinque Stati dell’Europa geografica – secondo l’Atlas 2019 – il nostro Paese è al 26esimo posto con un tasso del 58%, assai distante da Gran Bretagna, Francia e Spagna e invece vicino a Ucraina e Turchia. I giovani poi scontano un’informazione fai-da-te: l’89 per cento delle ragazze e l’84 per cento dei ragazzi la cerca on line invece di imparare l’educazione sessuale a scuola. «Siamo il fanalino di coda in Europa – avverte Mario Puiatti, presidente Aied –. In Svezia è materia scolastica dal 1955, in Austria dal 1970, in Germania dal 1995, in Francia dal 2001, nel Regno Unito dal 2017. L’Italia invece si affianca per la totale assenza di informazione scolastica sui temi della sessualità a Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cipro e Lituania. Così risultiamo del tutto inadempienti rispetto agli standard europei che seguono le linee guida Oms in materia di modalità formali per l’educazione sessuale, affettiva ed emotiva dei giovani nelle scuole. Alle nostre figlie e ai nostri figli non restano che i modi informali: informazioni che arrivano da amici e genitori, più spesso dal web e ovviamente dai siti pornografici».

Resistono poi opacità sulla pillola. Ieri era l’idea che fosse un farmaco e facesse male all’organismo (ma in mezzo secolo il contraccettivo ormonale è diventato tanto sofisticato da essere a misura di ogni donna). Oggi che sia un modo per aumentare l’effetto culla vuota, il depauperamento demografico. Altri sono i motivi che impediscono spesso la volontà di avere figli: scarsa tutela sulla donna lavoratrice, insufficienza di asili nido e scuole d’infanzia gratuiti, protesta l’Aied, che su questi temi si mobilita come sull’assistenza alle coppie infertili. Lo fa nei suoi venti consultori familiari sparsi da Nord a Sud nello Stivale. Il primo fu inaugurato a Roma nel 1956. La pillola, messa a punto negli Usa dal biochimico Gregory Pinkus e dal ginecologo John Rock, giunse in Europa cinque anni dopo. In Italia fu commercializzata nel 1965, ma potevano usarla «solo le donne sposate e per regolarizzare il ciclo». Erano ancora ostaggio di genitori e mariti, eppure incalzava ruggente la modernità del boom. I dirigenti dell’Aied subivano denunce e il linciaggio della stampa ostile, sia cattolica che comunista, altrettanto bacchettona (il caso Pasolini insegna). 

Cominciavano a farsi sentire i paladini dei diritti civili, Pannella, Adele Faccio, Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia, il socialista Loris Fortuna. E a difendere la contraccezione, a farla percepire come un diritto e non un peccato, arrivò anche un fotoromanzo, ideato da Luigi De Marchi, segretario dell’Aied. Si intitolava Il segreto, protagonista Paola Pitagora, che aveva interpretato Giulia ne I pugni in tascadi Bellocchio, macigno gettato nello stagno del perbenismo. Nel fotoromanzo l’attrice viene accusata dal marito di essere fredda a letto e gli risponde: «Come potrei essere diversa, sempre con l’angoscia di essere inguaiata…». Nel fotogramma successivo i due tra le lenzuola, e lei che dice «finalmente ho potuto abbandonarmi a te senza timore e gustare per la prima volta il piacere supremo». Una perifrasi al posto della parola proibita, orgasmo, ma tant’è, usarla sarebbe stato osare troppo. E però anche grazie al mass media fotoromanzo, che andava a ruba pure tra le ragazze del sud, tra le contadine e le operaie, il messaggio pro pillola si diffondeva. Sembra preistoria, invece tanti nodi, in specie sull’eguaglianza di genere, restano.

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