Emilia Santoro
A proposito di "Secondi a nessuno"

A scuola di sogni

Vincenzo Strino racconta la voglia di riscatto di una comunità di Secondigliano, uno dei luoghi più complessi dell'hinterland napoletano. Una terra di confine dove anche la normalità sembra un sogno da strappare metro dopo metro alla malavita

Certi libri arrivano per interessi comuni, ma in Secondi a nessuno di Vincenzo Strino (Iod edizioni, 162 pagine, 15 Euro) l’argomento criminalità organizzata viene rapportato a un possibile cambiamento, a una visione ottimistica di futuro “normale”. O addirittura di sogno ambientato a Shoreditch (un quartiere dell’East End di Londra). Beh, mi si accende un’immagine: quartiere artistico, con i suoi mercatini vintage tutti i giorni, dove fanno da padroni giovani creativi e trendsetter che frequentano i club alla moda e i bar del posto. Ma se ti viene fame te la tieni o ti sposti perché i bar non sono economicamente abbordabili… Mi dico che forse una periferia così non mi piacerebbe. Ma un sogno è un sogno e decido di andare avanti con la lettura.  

Non mi meraviglio quando vedo l’autore al funerale di un amico dell’adolescenza sparato in faccia da quelli “dell’altra parte della barricata”. Quest’espressione mi ritorna spesso, come se ci fossero due mondi paralleli. Ma abbiamo imparato che non è così: esiste una promiscuità a volte non consapevole, invisibile o spesso ignorata. Da sempre ci si ritrova a disagio, con amici e parenti scomodi o addirittura diventati scomodi perché si sono ritrovati fidanzati con una ragazza “dell’altra parte della barricata”, in quel mondo che ci appare parallelo. Alcuni di questi ragazzi, colpiti dalla sfortuna, sono stati costretti poi a rimanere in quel mondo per capriccio della ragazza e per le minacce dei parenti.

In certe zone si vive di fortuna e di sfortuna e molta promiscuità.

Man mano che leggo, addiziono il numero dei luoghi deserti, con cinema e teatri chiusi, senza spazi verdi. E vi aggiungo quelli delle mie parti: i bambini che giocano felici su uno spiazzo dietro alla pompa di benzina o al parchetto accanto a un grande parcheggio, sempre adornato di mezzi busti di santi o crocifissi su piedistalli.

Se prima uno dei mondi paralleli si mostrava con qualche iniziativa culturale (anche se provinciale), oggi una nebbia avvolge le nostre esistenze, compresa la scuola che in questo libro esiste ma nella realtà non ha consistenza. La parola scuola ritorna in modo insistente, e non me ne meraviglio perché dovrebbe essere uno dei presidi culturali del territorio. Decido proprio di inseguire la parola nelle pagine del libro e la trovo per niente attraente, con insegnanti che fanno le domande sbagliate nel momento sbagliato. In fondo, perché questo mondo nebbioso dovrebbe fermarsi sulla soglia del portone di scuola?

Negli anni novanta il risorgimento che entusiasmò Napoli si fermò prima di arrivare a Secondigliano, come afferma l’autore.  Aggiungerei che gli scrittori si crogiolarono addirittura in questo bagliore, che non riusciva ad arrivare oltre il confine del bosco di Capodimonte. Praticamente rimase chiuso nella città madre. Ricordo che proprio uno di quegli scrittori, nell’accompagnarmi a casa a Marano, si perse perché neppure sapeva dell’esistenza del posto, nonostante ci vivessero famiglie intere di camorristi.

Meno di 16 km dal centro della città madre e si diventava fantasmi. 

Ma il libro continua, e seguo d’istinto la mia parola scuola. Adesso viene nominata in relazione all’andare in vacanza, al tempo prima o dopo la scuola. Fino a quando arrivo in un’aula e vedo seduto in un banco il figlio del notaio accanto al figlio del boss.

Penserete che la mia attenzione sia stata attirata dal contrasto notaio-boss. Niente affatto, è la presenza del figlio del notaio che mi meraviglia, perché ancora oggi insegno in una scuola in cui i figli dei professionisti sono mosche bianche e, appena possono, si trasferiscono nella città madre, in genere al Vomero.

Ma la scuola acquista una certa anima quando l’autore vede la gravità di una tragedia consumatasi davanti ai suoi occhi: l’esplosione di gas in una galleria in costruzione che crea una voragine all’incrocio di Secondigliano, portando con sé l’ala di un palazzo nel quale, tra gli altri, muore una bambina. È proprio a scuola che comprende la tragedia, durante la preghiera recitata dalla maestra tra le lacrime di qualche bambino. Sono commossa ma il binomio scuola-preghiera mi inquieta ancora oggi per l’arretratezza che emana, perché una scuola inclusiva dovrebbe insegnare la storia delle religioni e non indottrinare i bambini.

Ma siamo un popolo respingente.

Cito: «Molti bambini dei quartieri poveri quando cominciano ad andare a scuola presentano subito problemi: incapaci di identificare i numeri più semplici, i colori o le lettere dell’alfabeto, non sono abituati a stare seduti tranquilli, o a far parte di un gruppo strutturato, e spesso portano il peso di problemi di salute non diagnosticati».

Eppure la scuola è cambiata, i bambini hanno pause, si possono muovere liberamente, possono fare attività alternative che li interessino maggiormente, vengono rispettati tempi più lunghi di apprendimento e stanno bene in un gruppo strutturato se educati alla solidarietà, all’accoglienza. Piuttosto i problemi di salute urtano contro la precaria situazione sanitaria che alimenta l’ingiustizia sociale.

A questo punto la prossima tappa della parola scuola arriva con naturalezza a toccare la dispersione scolastica… «I bambini lasciano la scuola per portare i soldi in famiglia»,questo era l’aspetto da libro cuore. Oggi molti ragazzi vengono adescati in piazza e si propone loro un guadagno facile, perché “senza soldi non sei nessuno…”, consegnando “un pacchetto” e ricevendo una somma tale da comprarti un giubbino e un paio di scarpe di marca.

È vero, la scuola è avere un sogno, ma puoi costruirtelo se sai volerti bene, se senti di meritare una vita migliore di quella dei genitori. E per i bambini che vivono in queste terre non è affatto facile avere un sogno. Sono d’accordo con l’autore sul fatto che sono necessari presidi culturali perché delegare solo la scuola non basta.

Ho seguito in modo diligente le tracce. Ma nonostante l’interessante lettura, resto dell’opinione che la scuola non riesce a essere ancora il più significativo presidio culturale; lo stesso progetto Larsec per la riqualificazione ambientale e culturale di Secondigliano, di cui è promotore l’autore, pure fatica nella divulgazione delle sue attività…

Ringrazio Strino per questa briciola di sogno.

I massacrati sogni di periferia.

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