Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Tre libri di donne

Dalle storie ai confini della realtà di Mary E. Wilkins al "Palazzo" che ospita le donne disagiate di Laetitia Colombani fino alle memorie della Los Angeles degli artisti e delle trasgressioni di Eve Babiz

Anormale. Per gli scaramantici, alloggiare nella camera in fondo al corridoio di una pensione è assolutamente da evitare. Lo sa bene anche la titolare della pensione, che ha bisogno di soldi dopo essere rimasta vedova di un farmacista. Sarà mister George H. Wheatcroft a dormire in quella camera. Quel che gli capita di notte va aldilà delle leggi della fisica, della medicina e della fantasia più sfrenata. Mr George prende ogni notte un medicinale. E ogni due o tre ore si sveglia. Una notte si alza per andare a prendere la medicina, che ha lasciato su un cassettone, posto sotto un quadro “strano”. Cammina e i suoi piedi toccano un pavimento che non finisce mai. Non è finita: una volta sente prima una grande fame e subito dopo la sazietà confortante, un’altra notte “si trova” in un prato ricco di fiori di inconsueta fragranza. Poi George scompare.

Questo racconto (La stanza in fondo al corridoio) è uno dei migliori della raccolta Storie di spettri scritta da Mary E. Wilkins e pubblicato dall’editore Fanucci (394 pagg., 14 euro). L’autrice è ricordata da uno dei maestri delle ghost story, H.P. Lovecraft. Il genere è gotico e orrifico e, nel caso della Wilkins, «mette in luce i disagi della condizione femminile in un’epoca in cui comincia ad affermarsi l’idea contrastata dell’emancipazione delle donne», come scrive nell’introduzione Oriana Palusci. La ghost story vantava una lunga tradizione ottocentesca, soprattutto nell’Inghilterra vittoriana. C’è poi da dire che da queste narrazioni traggono linfa gli studi psicologici e parapsicologici. Non a caso Charles Darwin non si era limitato alle ricerche scientifiche e naturali, ma allungò la sua curiosità di scienziato «sulla sfera psichica e di «fenomeni sfuggenti come la telepatia, per poi affrontare direttamente quelle manifestazioni che sembravano riguardare l’esistenza oltre la morte, evocata dallo spiritismo e da altre pratiche paranormali».

Tra donne. Un giorno, per caso, Laetitia Colombani si perde nell’undicesimo arrondissement parigino e il suo sguardo si ferma su una bellissima casa ottocentesca con la scritta “Il palazzo delle donne”. S’incuriosisce e viene a sapere che fu fondato, come ricovero femminile, da una certa Blanche Peyron, che ha abbandonato una vita da ricca per dedicarsi alle meno fortunate di lei. Le ricerche continuano e nasce il suo secondo romanzo. Il primo, La treccia, ha venduto tre anni fa oltre un milione di copie ed è stato tradotto in 34 lingue. Questo di cui parliamo s’intitola come la scritta su quella casa (Il palazzo delle donne) ed è edito da Nord (284 pagg., 16,90 euro). La scrittura della Colombani risente molto da quel che fece anni fa, come regista e sceneggiatrice, lavorando con attrici del calibro di Catherine Deneuve ed Emmanuelle Béart. Una delle protagoniste di questa storia è Solène, quarantenne, affermato avvocato caduta nella depressione per aver visto un suo cliente buttarsi dalla finestra del tribunale. Dallo choc passa al lavoro come volontaria, per ridare un senso alla propria esistenza, come le ha suggerito il suo terapeuta. Infine approda nel Palazzo delle donne, dove, appunto ci sono soltanto donne. Di ogni età e di ogni provenienza sociale (gli uomini sono soltanto tre, uno dei quali diventerà compagno di vita di Blanche, la fondatrice dell’istituto). Solène si trova così a stretto contatto con donne scampate alla guerra, alla prostituzione, alla violenza. Prendono il the, chiacchierano, lavorano a maglia, tutte avvolte dal clima della sorellanza. Non c’è cupezza: ballano e si sostengono l’una con l’altra. Sono così rilassate che qualcuna, come Renée, si addormenta su una sedia. Commenterà al risveglio: «Quindici anni per strada sono come quindici anni di coma. Quando esci devi riadattarti, riscoprire ogni gesto della vita quotidiana».

Eva. Tante ne ha fatte, tanti ne ha conosciuti che l’editore Bompiani ha ritenuto giusto pubblicare il suo libro. Parliamo di Eve Babiz, ex bionda, alta un metro e ottanta, ora ha 77 anni e vive ritirata dopo un incidente. Si possono immaginare i suoi lamenti. Non potrà ripercorrere i viali di Hollywood, luogo dove, per le sue conoscenze e il suo biondume, si trovava a suo agio. Il suo libro s’intitola L.A. Woman (pagg. 208, 17 euro). La protagonista si chiama Sophie Lubin, suo alter ego che, come tale, di episodi ne sforna a bizzeffe. Ha avuto molti amanti, tra cui (citiamoli per difetto) Steve Martin e Harrison Ford. L’immagine nota in tutto il mondo, o quasi, la ritrae nuda davanti a una scacchiera, all’interno del Pasadena Aert Museum. Lo sfidante, nel 1963, era Marcel Duchamp, il quale con un paio di mosse la mise ko. L’artista non si lasciò distrarre dalle sue bellissime tette. Nel gergo si chiama “scacco dell’imbecille”. Lui aveva 70 anni, lei solo 20. Il titolo del suo libro è lo stesso del brano musicale dei Doors. Una sorta di dedica visto che Jim Morrison le aveva dedicato l’omonimo brano. Il luogo preferito al mondo è Los Angeles, un territorio di sogni, veri e finti, dove «le ragazze sono troppo belle e troppo preoccupate a fare di tutto fuorché lavorare». La Sophie del romanzo deve pur mangiare e avere un tetto per dormire: per un po’ fa la cassiera in un cinema, ma con la fantasia si vede cortigiana e anche prostituta. E dice perentoria: «Mi rifiutavo di preoccuparmi del lavoro quando c’era il Sunset Boulevard a un solo isolato di distanza». Si respira l’eterno clima degli anni Sessanta.

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