Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

La bella letteratura

Con il via alle candidature si è aperta la competizione dello Strega 2021, agone di case editrici che si battono fino all’ultimo voto per i loro autori-concorrenti. Tra i primi Emanuele Trevi e il suo “Due vite”, un memoir dedicato a Rocco Carbone, Pia Pera e all’amicizia tra loro tre

Non è passata una settimana dallo start al Premio Strega 2021 – le candidature promosse da uno degli Amici della Domenica si accettano dal 20 gennaio al 5 marzo – che si registra l’epifania ufficiale del primo concorrente: Emanuele Trevi, critico letterario e scrittore, romano, arrivato al secondo posto nell’edizione 2012 del premio letterario con Qualcosa di scritto(Ponte alle Grazie), incentrato sulla figura di Pier Paolo Pasolini. Anche l’opera in gara in questo problematico 2021 ruota attorno a due scrittori, meno celebri ma da rileggere. I protagonisti di Due vite (uscito lo scorso maggio per le edizioni Neri Pozza, ora rilanciato nella collana Bloom, 128 pagine, 15 euro, e presentato allo Strega da Francesco Piccolo) sono Rocco Carbone e Pia Pera, amici di Trevi così come Pasolini ne era stato un mentore indiretto, attraverso la figura di Laura Betti. E come l’intellettuale di Casarsa, morti prematuramente. Carbone nel 2008, a 46 anni, fu vittima di un incidente stradale mentre guidava il suo motorino (L’apparizione, Mondadori/Castelvecchi, il suo titolo migliore, su un misterioso ospite che arriva invisibile tra alcuni amici in una casa di campagna ed enigmaticamente accende la passione in due di loro). Pia Pera otto anni più tardi, sessantenne, fu annientata dalla sclerosi laterale amiotrofica, non lontano dallo stagno nel giardino che aveva creato nella residenza in Toscana: lo stesso evocato ne Al giardino non l’ho ancora detto (Ponte alle Grazie), frutto della passione per la botanica e riflessione delicata quanto profonda sulla malattia e la voglia di futuro di una moribonda che cerca la vita nelle sue piante.

È un saggio narrativo, un memoir, una doppia biografia Due vite. Non un romanzo-romanzo, come nella tradizione dell’alloro capitolino, che soltanto con M di Scurati, La ragazza con la Leica di Janeczek e N di Ernesto Ferrero ha virato verso il romanzo storico. Può essere il suo tallone d’Achille o il suo punto di forza in una competizione assai agguerrita e non scevra nella sua ultrasettantennale storia di colpi bassi tra le maggiori case editrici. Al tempo stesso la gara nata nel salotto di Maria Bellonci nell’ultimo decennio ha ampiamente rinnovato il suo regolamento, allargando la giuria a lettori meno implicati nelle logiche dei colossi editoriali e tutelando per l’ingresso alla finale le case medio-piccole, comunque indipendenti. Per questo motivo l’ipotetica vittoria di un testo ibrido, quale è quello di Trevi, potrebbe sancire un ulteriore ammodernamento del Premio.

Del resto, Due vite è un libro sull’essenza dello Strega, ovvero la letteratura. E lo stesso Trevi qui come in altre sue opere su di essa riflette. Ora sentendo la necessità di una letteratura che possa durare, rompendo la logica prettamente imprenditoriale di quanti pubblicano libri, quella di liquidare un titolo nel giro di poche settimane, bruciandolo con l’immissione in catalogo di altre caterve di copertine. Succedeva, prima della pandemia, anche per il cinema, però l’editoria fa uscire ottanta libri al giorno, inevitabilmente destinati a diventare vecchi prestissimo. 

Raccontare scrittori, dunque, è farli durare, osserva Trevi, per esempio immaginando che il suo Qualcosa di scritto possa essere letto da chi vuol saperne di più su Pasolini. Raccontare Carbone e Pia Pera è anche qualcosa in più: Trevi narra pure di sé stesso, dunque di tre vite. Intrecciate da un’amicizia vera anche se non scevra da risentimenti, specie per il carattere spinoso di Carbone, un calabrese approdato a Roma «incline a infliggere colpi per le Furie che lo braccavano senza tregua». Mentre Pia Pera era «incline a riceverli, i colpi, per la sua anima prensile e sensibile, così propensa alle illusioni». Caratteri che si specchiano nell’identikit dei due: fisionomia spigolosa, lineamenti marcati per il primo; aspetto da incantevole «signorina inglese» della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. E lui, Trevi? Una spugna da biblioteca, un epigono leopardiano per lo studio matto ma non disperatissimo, dal quale ha tratto uno stile colto, stratificato di citazioni, vivificato da input e input, come corrente elettrica che può disorientare il lettore e che però lo affascina.

La testa con cui scrive Trevi non è poi disgiunta dal sentimento. Vibra fin dall’incipit di Due vite, allorché il terzetto di amici si trova a Parigi l’estate del 1995 ed entra al Museo d’Orsay per guardare una tela appena acquistata dallo Stato francese dagli eredi dello psicanalista Jacques Lacan, L’origine del mondo di Gustave Courbet, 1866. Una vitalità – in quella scena che ritrae «la fonte di tutte le cose, la porta della vita, tra due cosce ben tornite e divaricate» – che si riverbera nel caparbio compito che Trevi si dà di raccontare l’amicizia fra tre autori, cosa rara in letteratura, dove, specie col passare degli anni, diventa spesso preponderante l’invidia. «L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità», avverte in Due vite. Particolarità, onestà intellettuale, nitore e profondità della scrittura possono essere il tirabusciò per aprire la bottiglia del liquore Strega nella serata finale al Ninfeo di Villa Giulia. 

Intanto, dal 1 febbraio sul sito della Fondazione Bellonci verranno pubblicati i titoli ufficialmente proposti dagli Amici della Domenica. Si vocifera sul ritorno in gara di Teresa Ciabatti, Antonio Pennacchi, Silvia Avallone, Nicola Lagioia. E di candidati di peso come Aurelio Picca, Paolo Di Stefano, Loredana Lipperini. Che viva (e duri) la bella letteratura. 

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