Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Il sogno di Biden

Gli Stati Uniti voltano pagina. La cerimonia dell'insediamento di Joe Biden e Kamala Harris è avvenuta nel segno della pacificazione e della riunificazione del Paese. «La democrazia è fragile e preziosa, ma ha bisogno di essere difesa e protetta»

L’inaugurazione della presidenza Biden negli Stati Uniti si può senza ombra di dubbio definire storica rispetto a quelle che l’hanno precedute finora per una serie di motivi. Innanzi tutto marca la presenza della prima donna nera vicepresidente degli Stati Uniti: Kamala Harris. Inoltre avviene dopo il primo attentato, nella storia del paese, alla democrazia americana: un fallito tentativo di quello che potremmo definire un colpo di stato. Infine non c’è stato il presidente uscente a passare le consegne al nuovo presidente come è sempre accaduto nelle passate amministrazioni. Quello stesso presidente che ha attentato alle istituzioni democratiche incitando una folla di disperati ad occupare Capitol Hill. Trump se ne è andato in mattinata. Nel frattempo ha graziato molti personaggi di dubbia reputazione, come il suo amico Steve Bannon e fino all’ultimo ha mostrato uno spietato spirito giustizialista, insistendo per fare eseguire fino all’ultimo tutte le esecuzioni capitali previste. Inutile ricordare che la maggioranza dei condannati a morte era nera.

La cerimonia di inaugurazione e il successivo giuramento sono stati come sempre uno spettacolo, con una sua ritualità precisa e scandita da un cerimoniale ormai rodato che ha rappresentato l’occasione, specie in questo caso, per ribadire le immagini della democrazia americana. Sono sfilate le bandiere i colori dei corpi speciali. Si sono succedute Lady Gaga che ha cantato meravigliosamente l’inno nazionale, Jennifer Lopez e Garth Brooks, tutti performer ben conosciuti dagli americani, che hanno cantato rispettivamente America America e Amazing Grace. E infine c’è stata una giovanissima poetessa nera Amanda Gorman che con grazia davvero inconsueta ha recitato un poema a meta tra la poesia vera e il ritmo del rap. Originale e toccante.

Joe Biden non è arrivato all’inaugurazione lo stesso giorno della cerimonia, come invece aveva programmato in precedenza. Sarebbe voluto partire in treno a Wilmington dal Delaware dove la stazione porta il suo nome come tributo agli anni in cui faceva avanti e indietro da e per Washington per potere tornare la sera a casa dai figli dopo la tragica e improvvisa morte della prima moglie e della figlia in un incidente automobilistico. È partito invece un giorno prima, viste le misure di sicurezza adottate. Tra l’altro a Washington c’erano 25.000 soldati della Guardia Nazionale dislocati strategicamente in città. Nel dare l’addio al suo Stato, proprio prima di partire, Biden ha fatto un discorso durante il quale si è commosso (gli sono scese le lacrime) quando ha fatto riferimento al passato, alla memoria. Ha parlato delle sue recenti vicende personali, non solo dell’altra tragedia che ha colpito la sua famiglia, quella della morte del figlio Beau durante la sua vicepresidenza sotto Obama, ma anche del suo attaccamento allo Stato dove è vissuto in tutti questi anni e di cui ha detto, con evidente emozione: «Il giorno in cui morirò avrò il Delaware nel mio cuore».

Poi l’abbiamo visto di nuovo ieri a Washington assieme alla moglie e a Kamala Harris con suo marito al Lincoln Memorial dove si sono accese 400 luci per ricordare i 400.000 morti di Covid degli Stati Uniti. Di nuovo ha parlato della necessità di ricordare il passato, gli eventi della memoria per quanto siano dolorosi, se si vuole davvero guarire: «To heal we must remember» ha detto di fronte alla Reflecting Pool per ricordare le vittime. «È difficile a volte ricordare. Ma è il solo modo per guarire. È importante fare questo come nazione. Questo è il motivo per cui siamo qui oggi. Tra il tramonto e l’alba accenderemo le luci nell’oscurità accanto a questa sacra piscina della riflessione per ricordare coloro che abbiamo perduto». Il riferimento alla memoria paragonata alla luce che squarcia le tenebre ai lati di una piscina, luogo di riflessione su ciò che è stato, diventa un trigger per non dimenticare e aiutare a non ripetere gli errori del passato. Il tema della luce e delle tenebre è stato inoltre il leitmotiv del discorso dopo la sua investitura ufficiale quando ha citato Sant’Agostino che della luce e delle tenebre parla continuamente per riferirsi all’unità dei cristiani. Nel suo discorso Biden ha detto come la democrazia sia fragile e preziosa allo stesso tempo e di come abbia bisogno di essere difesa e protetta, specie in un momento come questo, anche se ha dimostrato si essere capace di resistere al test a cui è stata sottoposta.

«Questa è la giornata della democrazia» ha detto Biden. La luce deve sempre illuminarla. Pertanto ha promesso di difendere la Costituzione che è alla sua base, specie In un momento come questo in cui il paese è squassato da un virus che ha fatto più morti di quelli della seconda guerra mondiale, da un’economia in ginocchio e da una mancanza diffusa di giustizia sociale. C’è bisogno di riunificare il tessuto sociale e di cancellare una divisività che lo sta mangiando vivo. Aggiungendo che le cose dovranno cambiare rispetto a come sono state condotte dal precedente presidente (non ha mai nominato Trump per nome) e affermando che sarà il presidente di tutti gli american di anche di quelli che non l’hanno votato, in totale disaccordo con il suo predecessore. Questa di nuovo è la luce di cui parla. E tutto ciò va fatto al più presto, ha insistito. Non c’è tempo da perdere.  Ha inoltre nominato i suprematisti bianchi e ha affermato come vada eliminato il loro brodo di coltura: il razzismo, il nativismo, la rabbia, il risentimento. Non a caso ha citato Abraham Lincoln che nel 1863 ha concluso la costruzione dell’edificio da dove parlava nel bel mezzo della guerra civile e lo ha fatto proprio per dare un messaggio di unità. “Tutta la mia anima è qui” ha detto Biden citando proprio Lincoln al proposito. «Dobbiamo ricominciare ad ascoltarci, a vederci, a rispettarci – ha detto il presidente – perché questa è l’America». Quella di Martin Luther King, quella della libertà, delle opportunità, della tolleranza, della verità. «Dobbiamo ricominciare a sognare insieme». Si è inoltre soffermato sulla verità, sul fatto che non si possono manipolare i fatti, che bisogna ritornare alla possibilità di avere opinioni differenti, senza per questo scatenare una guerra.

Sono temi di cui i democratici parlano da tempo. La sfida di Biden adesso sarà quella di essere capace di ascoltare le voci che salgono dal paese. Il suo discorso è sembrato sinceramente costruttivo e anche molto sentito. I fatti parleranno per lui e i primi 100 giorni saranno, come sempre, essenziali. A lui gli auguri di riuscire a sanare una situazione difficile e di riuscire a governare il paese nei prossimi quattro anni, non dimenticando mai, come scriveva il gesuita seicentesco Baltasar Gracian, che «il solo vantaggio del potere è che puoi fare più del bene».

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