Laura Lanza
Parole e ombre/8

Principe di Tempesta

«Don Giovanni, due sono le cose: o siete italiano e allora ho ragione io e vi chiamate don Giovanni Velasco o siete forasteri e vi chiamate Juan Velasquez nel qual caso invece avete ragione voi»

Immagine di Zhanna Stankovych

Come ogni santa domenica che Dominiddiu aveva creato, poco prima che terminasse la funzione di mezzojorno, Don Juan Velasquez, di professione possidente – anche se le sue proprietà a picca a picca se ne stavano andando tutte alla rovina – comandò alla cammarera di portarci bastone e cappello. Fischiettando, si diresse verso il caffè Sicilia dove don Ciccio ci aveva riservato il solito tavolino all’ombra dell’albero di Giuda che, mancu a farlo apposta, si trovava proprio sotto la scalinata della Chiesa Madre.

Quella visita domenicale a don Ciccio ci donava lustru assai accussì ci accompagnava sempre il caffè con qualche pastizzeddu e, al momento del conto, non accettava danari: “Ma che scherziamo don Juan? Per mia è sempre un grande onore potervi servire”.

Nei registri comunali non ce n’era prova ma Don Juan Velasquez, pure che la sua famiglia viveva in paese da tempo immemorabile e la Spagna non l’aveva mai vista mancu sull’atlanti, vantava nobili lignaggi e si dichiarava diretto discendente nientemeno che del grande Francisco Velasquez De Santa Maria, principe di Tempesta.

Fatto questo che su tutte le donne del paese: maritate, zite o zitelle che fossero, esercitava un fascinu accussì ranne che a iddu ci era valsa la fama di grande seduttore e l’invidia di mezzo paese.

Il capo coperto da una paglietta all’ultimo grido, la faccia nascosta dietro le pagine del giornale che sfogliava distrattamente, don Juan smicciava tutte le fimmine che ci passavano davanti. Ma a quelle che, a funzione terminata, se ne scendevano dalle scale della Matrice ci dedicava un pensiero a parte.

Taliava la sua preda appoi ci rivolgeva un sorriso accussì veloce che solo idda se ne poteva avvedere. Per ultimo tirava fuori dalla sacchetta un taccuino nero e con il lapis ci scriveva sopra il nome della prescelta e certi versi poetici che solo iddu era in grado di decifrare ma che, al momento giusto, avrebbe declamato.

Quella domenica lo sguardo ci cadde su donna Margherita che se ne stava scendendo le scale al braccio di sua sora Caterina. Bedda, appassionata, fucusa, a Caterina  iddu  l’aveva già canusciuta bonu.

“Se tanto mi dà tanto sua sora non sarà da meno”, ragionò don Juan e iniziò a scrivere sul suo taccuino.

“E che? Si vuole futtiri magari a mia sora?” pensò Caterina. “A mia chistu per fissa non mi ci deve prendere più.”

 “Margherita, pigghiamo dall’altro lato che dda sutta c’è quel fimminaru miezzo spagnolo che ci sta taliando”

“E che c’è di male? Don Juan è persona perbene e pure nobile è.”

“E che ne sai tu?”

“Me lo disse la cammarera. Mi disse che iddu a casa, dintra a una cascia antica, sarva una medaglia d’oro con la faccia di suo nannu, il principe di Tempesta.”

“Si, si. Vedi che ora tempesta c’è! Cammina dritta e non ci facciamo dire cose dietro.”

“Dici accussì per invidia che tuo marito, pure che va dicendo in giro che è di famiglia nobile, al barone di Villastella ci viene solo cugino di secondo grado.”

A ssira, prima di prendere sonno, donna Caterina ci disse a suo marito: “Ma tu lo sapevi che don Juan Velasquez è nipote di principi?”

“E che me ne fotte a mia?”

“A tia nenti, ma tuo cugino si potrebbe siddiari”

“E perché?”

“Perché Velasquez va dicendo che lui è vero nobile, no tuo cugino che è solo barone”.

“E chi te lo disse a te?”

“Lo disse la cammarera di Velasquez a mia sora”

“Ah, cosa di servi è.”

Donna Caterina però la pulce nell’orecchio a suo marito ce l’aveva messa e iddu raccontò il fatto al cugino barone che si siddiò veramente e ne parlò con l’amico cavaliere Giuseppe Bongiovanni, segretario politico del fascio.

“Pippuzzo, ma, che tu sappia, questo principe di Tempesta di cui tanto si vanta don Juan Velasquez è esistito davvero?”

“Che te ne fotte a tia?”

“Me ne fotte assai perché iddu se ne va dicendo di essere l’unico vero nobili del paese.”

“Velasquez… Mai sentito. Mah! Sarà nobile a casa sua. In paese di nobili forasteri non ce n’è. Non ti dare pensiero che la facenna te la sistemo io in quattro e quattr’otto. Dimmi solo dove lo posso trovare questo signor Velasquez.”

“Mia mugghiera dice che tutte le domeniche intorno a mezzojorno si passa tempo al tavolino del Caffè Sicilia.”

Don Juan Velasquez non si era mai appassionato di politica ma, dal momento che essere fascista era dovere e obbligo di ogni cittadino che si rispetti e iddu problemi non ne voleva avere, era fascista e fascista convinto. Accussì quando il segretario politico del fascio ci si assettò vicino non se ne stupì. Magari lo voleva invitare a presenziare a qualche pubblica cerimonia in quanto era venuto a conoscenza del fatto che iddu era diretto discendente del grande Francisco Velasquez De Santa Maria, principe di Tempesta.

“Don Giovanni che piacere vedervi!”.

“Il piacere è mio, cavaliere. Ma forse non vi ricordate di me: sono don Juan Velasquez, diretto discendente di Francisco Velasquez De Santa Maria, principe di Tempesta.”

“Ah! Allora non siete italiano?”

“Cettu! Italianissimo sono. Cca sugno nato e precisamenti il jorno 25 aprile dell’anno1900.”

“Don Giovanni, due sono le cose: o siete italiano e allora ho ragione io e vi chiamate don Giovanni Velasco o siete forasteri e vi chiamate Juan Velasquez nel qual caso invece avete ragione voi. Ma allora non mi spiego com’è che vi trovate qui.”

Don Juan si risentì assai: “Ma che mi dite cavaliere? Che c’è legge che impone alla genti di cambiare di nome e magari di casatu?”

“Ma no, che andate pensando? La mia è solo una raccomandazioni. Ma ne potete stare tranquillo: è già tutto fatto. Vi aspettano in Comune per chiudere la faccenna”.

“Vi saluto, buona giornata signor Velasco!” Concluse il segretario politico del fascio a voce accussì alta che lo sentirono tutti i fedeli che se ne uscivano dalla Chiesa.

“Signor Velasco?” Mmurmuriò Margherita a sua sora Caterina. “Ragione avevi! Ca quale nobile e nobile? Il principe? La faccia del nannu sulla medaglia? Cose di pazzi sono! E io che ci avevo creduto a questo grandissimo fitenti!”.

Caterina taliò soddisfatta don Juan e iddu, se c’era cosa che poteva capire, capì.

Si era fatta oramai ora di pranzo.

Il  cameriere del Caffè Sicilia si avvicinò a don Juan un poco mmbarazzatu: “Don Ciccio mi ha incaricato di portarvi il conticino dell’ultima mesata. Appoi vi fa sapere che ci dispiace assai ma il tavolino non ve lo può tenere più riservato. Lo dovete scusare ma dice che, dalla simana che viene, ci abbisogna al barone di Villastella.”

Giovanni Velasco poggiò le banconote sul tabbarè e se ne tornò.


Laura Lanza (Roma 1954), laurea in Storia del diritto italiano, è stata bibliotecaria della Vallicelliana di Roma dal 1984 al 2009. Presso la Direzione Generale biblioteche e istituti culturali del MIBAC, ha seguito il settore relativo alle biblioteche non statali e dal 2009 è capo redattore della rivista “Accademie & Biblioteche d’Italia”. Ha pubblicato, nel 2011, Brani di storia: immagini dell’unità d’Italia dalle Biblioteche pubbliche statali (Gangemi) e, nel 2015, L’altra Roma: La frusta e la stampa cattolica a Roma da Porta Pia a Roma capitale, (Biblioteca di Orfeo). Per la stessa casa editrice ha pubblicato nel 2019 Indovina indovinello, curiosità enigmistiche del passato in La scrittura segreta, crittografie, enigmi, profezie. Ha fatto parte della redazione della “Bibliografia Romana”, progetto dell’Università degli Studi Roma Tre e ha curato, dal 1999 al 2012, la rubrica Bibliografia di storia delle istituzioni contemporanee sulla rivista “Le carte e la storia” edita da Il Mulino. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina (Astoria), finalista della XXXII edizione del Premio Calvino.


Zhanna Stankovych, artista e fotografa romana di origine ucraina, vive a Roma da più di 20 anni. Espone le proprie opere ad Arles nell’ambito dei “Rencontres de la Photographie”, a Roma “Il Mostro” presso la galleria TAG, a Roma “Un ponte per la fotografia”, “Female in March”, a Todi “Todimmagina”, al Castello di Santa Severa “The Darkroom Project”, “Divo C”. Nel 2019 tiene due mostre personali a Roma -“Dove sorge il sole”, dedicata al Giappone, “Mondo Ex”, dedicata alle donne dell’ex Jugoslavia, e nel 2020 “Marte Nostrum” presso Incinque Open Art Monti. Si impegna nella fotografia sociale. Il suo progetto fotografico ” Er Forchetta” è stato scelto da Fotografi senza frontiere per il Forum “Hide the camera”. Nel 2020 le sue opere sono state pubblicate nella rivista “Erodoto 108”  Dossier “Inafferrabile Giappone”.

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