Mario Di Calo
Al teatro India di Roma

Da Pasolini a Sade

Il giovane regista Fabio Condemi mette in scena "La filosofia nel Boudoir" ispirandosi all'opera del Marchese De Sade. Uno spettacolo affascinante e riuscito che mescola suggestioni visive al trionfo della parola

Forse non è un caso che Fabio Condemi, giovane regista, classe 1988, abbia scelto di accomiatarsi dalla sua formazione di regista avvenuta presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica ed entrare nel mondo del professionismo nel 2015 con un saggio di diploma basato su Bestia da Stile di Pier Paolo Pasolini, spettacolo cui fortunatamente ho assistito rimanendone amabilmente colpito. E forse non è un caso che, passando per un altro genio del novecento come Robert Walser, sia inciampato proprio nel Marchese De Sade e la sua Filosofia nel Boudoir che ora porta in scena all’India di Roma.

E per leggere accuratamente la sua messinscena bisogna passare proprio per Pasolini, e non il simmetrico film basato sui materiali sadici, materiali da cui lo scrittore corsaro si distaccò con lucida intuizione, ma proprio da quel Manifesto sul Nuovo Teatro edito nel 1968 – a cavallo di grandi cambiamenti sociali, economici e politici – in cui contestava aspramente il teatro borghese, quel “teatro della chiacchiera” che tanto rassicurava (e rassicura) il pubblico salottiero. Ma Pasolini prese posizione anche con gli spettacoli di avanguardia che cominciavano ad affacciarsi in quegli anni proprio come antitesi a quel teatro ammuffito di conservatori (che poi una corretta riflessione sulle avanguardie comincia a prendere forma solo in questi ultimi anni…)

Insomma, il teatro di Condemi si situa proprio nel “teatro di parola” che il friulano andava caldeggiando, promuovendo con il suo programma. Una parola nuda al centro della scena che va prendendo forma, si distoglie dall’imbarazzo della timidezza, della spogliata esposizione, solo quando trova investitura in interpreti degni di comprenderla e restituirla amorevolmente. Va da sé che il pubblico seppur semplice spettatore, ha una funzione essenziale all’interno di questo nuovo incarto, una funzione interattiva, ecclettica con ciò che accade in scena. La connessione, il corto circuito fra arte e vita è valido solo nella scintilla iniziale. A seguire non vi è più nessuna differenziazione fra queste opposte fazioni, secondo natura, con tutte le conseguenze del caso. La scena stessa diventa luogo di dibattito, confronto da cui potrebbero scaturire anche decisioni importanti per la polis: in sostanza il teatro riprende ad avere finalmente la sua funzione iniziale.

Il nuovo spettacolo di Fabio Condemi diventa dunque direttamente un trattato di estetica teatrale, ove fra parola, segno, corpo esile, giovane, imberbe o ricoperto di impudica peluria degli attori non vi è nessuna differenza di classe o importanza. Tutto collima in un equilibrio perfetto. Introdotto da alcuni brandelli dell’operetta morale Leopardiana Dialogo d’Ercole e di Atlante ci induce a riflettere sul mondo – peraltro in bella vista, sospeso, incombente, nella bellissima scenografia di Fabio Cherstrich –: da quell’Illuminismo/1968 in poi, che tanto voleva cambiare questo mondo siamo progrediti o regrediti? A quanto pare siamo ancora qui a discutere e la discussione durerà molto a lungo.

Il dialogo filosofico del Marchese sembra quanto mai attuale e vivo nella bocca di questi interpreti/sacerdoti che come un rituale inevitabile sciorinano cinque lezioni impartite alla bella Eugenie. E, come accadeva in Bestia da Stile, dei pannelli scorrevoli fanno da sipario/diaframma ai vari scenari che si susseguono ma se in quel caso venivano imbrattati manualmente ora sono rischiarati da lavagne luminose, bellissimo oggetto scenico, su cui proiettare una possibile didattica del libertinaggio. E vi è pure un omaggio (volontario o involontario?) a Giorgio Barberio Corsetti con quella iniziale sequenza cinematografica centrale, dove i corpi degli interpreti scivolano legati uno all’altro senza soluzione di continuità: immagini, decupage, bozzetti, informazioni, appunti di viaggio insomma. Una serra sonora all’interno della quale i quattro elementi della radice Empedocliana acqua, aria, terra e fuoco vanno a congiungersi armonicamente, vita e morte sono rappresentate nella loro essenzialità e crudezza.

Generosi i quattro interpreti, sotto ogni punto di vista, Elena Rivoltini, Marco Fasciana, Gabriele Portoghese e Carolina Ellero rispettivamente Madame de Saint-Ange, Augustin, Dolmancé ed Eugenie le cui iniziali a conclusione della scena più esilarante e movimentata dello spettacolo (il set del doppiaggio di un porno) vanno a firmare in calce il nome di Sade. Si congiunge nel finale la più matura e imperiosa Candida Nieri. Lo spettacolo che ha debuttato alla Biennale Teatro 2020 quest’estate ed è prodotto dal Teatro di Roma e Teatro Piemonte Europa, è in scena al Teatro India fino all’11 ottobre.

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