Giuliano Compagno
Il festival di San Gimignano

Il vento dell’attore

Virgilio Gazzolo, Carla Tatò, Giancarlo Cauteruccio, Alessio Martinoli, Angela Torrioni Evangelisti, Sergio Basile: il festival "Orizzonti Verticali” si è chiuso nel segno dell'arte dell'attore. Con un ricordo di Carlo Quartucci

Il Protagonista si lamenta della sciatteria del birraio. Ciò anima la curiosità dei vecchi, i quali chiedono di cosa egli stia parlando: «Di birra!» Non ci credono: di birra senza allusioni, senza allegoria o sottintesi? «Dice che nella birra galleggiano i moscerini. Quando lui dice birra vuol dire birra, e un moscerino è solo un moscerino. Nient’altro.» Ma abbiate pazienza – protestano quelli – questo non è un Protagonista, è uno schifo. Dove sono gli antichi protagonisti, gli orfei, gli eroi, i profeti? Un moscerino nella birra! Neanche una mosca, un moscerino! Che roba è mai questa? «È teatro sulla misura dei nostri tempi. I tempi saranno magari grandi, ma la gente è piccola».

Scelgo Kartoteka per salutare la chiusura dell’ottava edizione di Orizzonti Verticali. Sin dai suoi esordi, la drammaturgia di Tadeusz Różewicz aveva rivelato una originalissima inquietudine, come se le visioni ossessive del mondo aderissero per intero alla sua poetica. Al debutto, nel 1960, Kartoteka mise inscena la drammatica condizione di uomini qualsiasi della seconda metà del Novecento, nella loro smarrita, caotica crisi esistenziale. Scelgo questa fondamentale opera dello scrittore polacco perché a San Gimignano si è ricordato Carlo Quartucci il quale, già nel 1965 a Genova, aveva importato l’opera di Rózewicz, uno spettacolo estraneo ai circuiti tradizionali, che aveva trascinato gli studenti universitari e da cui «troverà origine per la ricerca di nuovi modi di fare teatro fuori dalle istituzioni teatrali, fuori dall’edificio teatrale convenzionale, fuori da logiche commerciali da ogni rigoroso tracciato geometrico-astratto». Il tratto distintivo dell’autocommento, che Livia Cavaglieri aveva così bene colto nel regista messinese, viene ripreso nel volume appena pubblicato da Donatella Orecchia, Stravedere la scena, in cui l’autrice si sofferma sugli elementi quartucciani della stimolazione e della straveggenza (del vedere fuori): «Non è da una lingua scenica che nasce uno spettacolo ma da un paesaggio drammaturgico. E fu a Genova che lo creammo, non per una sperimentazione ma per un teatro nazionale. Fu un viaggio. Fu un recitare in amicizia, come lo stesso Beckett esortava, affermando che Vladimir ed Estragon non potevano che essere, in scena, già amici».

Per amore e per arte, Carla Tatò (nella foto) ha dato voce a questa esperienza di movimento in un progetto in grado di inventare e non solo di copiarsi. Lo ha ha fatto commuovendosi ed emozionandoci durante il suo potente dialogo con Luigi Cinque. Accanto all’amica si era accomodata Michelle Coudray, compagna infinita di Jannis Kounellis che insieme a Quartucci aveva dato vita a una grande impresa artistica e intellettuale. Michelle ha ricordato e ha ringraziato per quel tepore improvviso che stava respirando e non ha voluto ripetere quel suo giudizio decisivo che anni prima ci aveva regalato: «Jannis Kounellis è stato l’artista più importante della generazione più importante dell’arte italiana del dopoguerra. Si deve dire questa verità in modo perentorio. È così davvero e semplicemente perché l’eccezionalità della sua figura si colloca in una sfasatura, in una piega del tempo storico dove presente e passato, tradizione e modernità sono diventate questioni molto concrete». Questa memoria imperdibile è rimasta come un soffio durante tutta l’ultima serata di Orizzonti Verticali, allorché si sono succeduti, in forma di intenso commiato, attori poeti e scrittori che a quei luoghi e a quel progetto hanno saputo donare moltissimo: da Alessio Martinoli con le sue visitazioni brechtiane a una narrazione ben attuale di Patrizia Zappa Mulas; da una Tatò sontuosa che mi ha riportato alla sua Pentesilea del Teatro Olimpico, da Angela Torrioni Evangelisti che rendeva omaggio a un nostro scrittore in perpetuo asilo (il grande Antonio Tabucchi, seppellito a Lisbona accanto a due colleghi lusitani sotto la stele Escritores portugueses!) a Sergio Basile che ci ha deliziati con le poesie di Ernesto Ragazzoni («C’è chi taglia e cuce brache / chi leoni addestra in gabbia / chi va in cerca di lumache / io fo buchi nella sabbia…») e a Giulia Martini, che alcuni definivano poeta giovane, altri giovanissima, e che pareva di ascoltare, dai suoi versi, un Caproni alleggerito e avvelenato. Infine Giancarlo Cauteruccio che proponeva un suo cavallo di battaglia, quel Mi fa fame che ancora una volta dava un’assordante eco calabrese al delirio ossessivo di Knut Hamsun 130 anni prima. Infine Virgilio Gazzolo (nella foto accanto al titolo), che ha lasciato stupefatta una platea trascinata dal vento, in una serata da non dimenticare mai più.

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