Sergio Buttiglieri
Visto al Festival dei Due Mondi

Orfeo in piazza

Pier Luigi Pizzi ha allestito un bellissimo "Orfeo" di Monteverdi davanti al Duomo di Spoleto, sistemando l'inferno dentro al teatro Caio Melisso. Una grande invenzione registica per adattare lo spettacolo alle esigenze di sicurezza dettate dal Covid

L’atmosfera timbrica di questo magnifico Orfeo di Claudio Monteverdi, in qualche modo padre del recitar cantando, che ha inaugurato l’ultima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto curata da Giorgio Ferrara, ed eseguita dall’Accademia Bizantina, diretta in maniera esemplare da Ottavio Dantone, probabilmente si avvicina a produrre un’emozione simile a quella che il Monteverdi stesso seppe suscitare a Mantova durante il Carnevale del 1607 quando la favola venne rappresentata per la prima volta nel Palazzo Ducale per la famiglia Gonzaga, a cura dell’Accademia degli Invaghiti.

Sapendo come Monteverdi sembra spesso attribuire un valore psicologico al colore, spesso assai variato, degli accompagnamenti strumentali, la scelta di suonare anche con strumenti originali d’epoca, come è uso fare questa ensemble specializzata nella musica del ‘600/‘700, ha contribuito a rendere ancora più riuscito l’abbinamento alla voce umana sia nei declamati “cantabili” sia negli impasti del coro con una genialità che a suo tempo dovette sbalordire anche i suoi contemporanei.

L’Orfeo, da non molti anni risorto dopo quasi tre secoli di oblio, è il più classico esempio di quelle musiche che per noi contemporanei sono diventate immagini mentali e che ogni esecuzione rischia di sciupare. Ma Pier Luigi Pizzi, uno dei maestri assoluti della regia lirica, dall’alto dei suoi 90 anni splendidamente portati, in scena dal 1955, è riuscito ancora una volta a incantarci.

Il suo nuovo Orfeo, derivato da quello da lui pensato in maniera diversa per il Maggio Musicale del 1984 all’interno di Palazzo Pitti, è stato questa volta – anche grazie alle problematiche legate al Covid 19 – un intelligente lavoro di sottrazione. La scena fissa con il duomo di Spoleto sullo sfondo, la compresenza di sacro e profano a sinistra, con il teatro Caio Melisso e la piccola chiesetta Santa Maria della Manna D’Oro, sono stati da lui utilizzati in maniera esemplare, in qualche modo memore del teatro greco classico che aveva sempre una scena fissa dietro agli attori.

L’orchestra protagonista del palco davanti al duomo. Il coro che arriva con luminose biciclette, che inaspettatamente percorre la platea, vestito di bianco, in scarpe da tennis, con le mascherine e i guanti neri, tanto ci ricordano alcune scene del celebre film Il Giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. 

Gironzolano fra il pubblico a inizio rappresentazione, scattandosi selfie, con movenze piacevolmente Anni Sessanta, assieme alla personificazione della Musica, interpretata dalla brava mezzo soprano Martina Cenere, in paillettes dorate, che ci canta il prologo con il microfono a gelato. Piccoli spiazzamenti registici che aiutano il pubblico ad avvicinarlo maggiormente alla notissima favola di Orfeo come recitano le iconiche locandine sulla facciata del Teatro/sede degli inferi.

Orfeo che sposerà Euridice per tragicamente perderla subito dopo, e poi ritrovarla negli inferi grazie al potere del suo canto che assopisce Caronte (l’efficace basso Mirco Palazzi, vestito tutto di nero, con tanto di stivaloni e con un lungo remo portato come fosse un’alabarda rinascimentale) e infine riperderla nuovamente per la sua non completa fiducia degli eventi che lo porterà a tradire la promessa fatta a Plutone (altro notevole basso interpretato da Paolo Gatti) di non girarsi mai a vedere Euridice mentre usciva dagli inferi.

Questa notissima, implacabile vicenda Pier Luigi Pizzi ce l’ha fatta rivivere utilizzando al meglio il luogo magico della Piazza del Duomo di Spoleto, sicuramente una delle più belle d’Italia, davanti ad un pubblico ben distanziato secondo le normative di sicurezza che occupava per intero tutto l’invaso digradante.

È bastato spalancare il portone d’ingresso del Teatro Caio Melisso per crearci l’atmosfera degli inferi con fumi sulfurei e luci azzurrine, curate egregiamente da Massimo Gasparon, e farne uscire tutte le figure completamente velate di nero, come è stato semplice utilizzare l’entrata della piccola chiesetta a lato per celebrare le mitiche nozze con Euridice interpretata con grande eleganza dalla giovane soprano Eleonora Pace.

Rimarranno piacevolmente impresse nella mente degli spettatori i momenti in cui Orfeo, il bravissimo tenore Giovanni Sala, interagisce con l’arpista sedendosi a fianco a lei o con i clarinettisti che gli girano intorno mentre lui canta la sua gioia e poi il suo dolore.

Per non parlare del resto del cast, come Delphine Galou nel ruolo di Proserpina, Maria Luisa Zaltron che impersonava la figura di Speranza, che ci ha condotto con grande scioltezza e affiatamento dentro le sonorità monteverdiane con il mirabile libretto di Alessandro Striggio.

Ottavio Dantone che suona il clavicembalo e al contempo dirige questo ensemble fra i più autorevoli del panorama internazionale, ha davvero contribuito a farci nuovamente amare questa favola in musica.

Serata davvero magica, quella che ha felicemente inaugurato questo Festival spoletino dalla gloriosa storia, in cui negli anni sono transitati importanti nomi internazionali, rendendolo famoso in tutto il mondo. Dopo dieci anni di felice conduzione da parte di Giorgio Ferrara, la direzione artistica del Festival l’anno prossimo passerà in mano a Monique Veaute, fondatrice di Romaeuropa e con esperienze passate alla Fondazione Pinault di Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia.

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