Luca Fortis
Il nuovo dramma mediorientale

La colonia libanese

La terribile esplosione al porto di Beirut ha scoperchiato una situazione da tempo insostenibile. Con la società civile sempre più schierata contro una politica corrotta e settaria. E l'Iran, dietro le quinte, che spera di controllare il caos

Il Libano è precipitato da un anno a questa parte nella peggiore crisi dalla fine della guerra civile. L’esplosione che ha devastato il porto e i quartieri che dal centro di Beirut vanno a nord della città non è che l’ultimo atto di una crisi scoppiata l’autunno scorso con l’esplosione delle proteste della società civile contro i politici. La maggioranza della piccola borghesia libanese e le classi più popolari sono stufe della corruzione dilagante e dei politici, che di fatto, sono ancora i vecchi signori della guerra del periodo del conflitto civile che ha dilaniato il paese. Per la prima volta non sono solamente i cristiani e i sunniti a scendere in piazza, ma anche una parte delle classi popolari sciite. Una novità in una comunità controllata in modo ferreo, se non quasi totalitario, da Hezbollah. 

Questo fermento popolare, come avvenuto dalle Primavere Arabe in poi, non poteva non attrarre l’attenzione di quegli attori che muovono le pedine di quei conflitti paralleli e generalizzati, esplosi dall’Afghanistan fino alla Nigeria. 

Una guerra diffusa di cui si ha paura a parlare, preferendo dire che ne esiste una in Afghanistan, una in Iraq, una in Siria, un’altra in Yemen, un’altra ancora in Somalia o a Gaza, nel Sinai, in Libia, nel Sael o Nigeria. In realtà, come sanno bene gli analisti, quasi sempre gli attori che tirano i fili hanno dei legami internazionali. Per esempio, i movimenti terroristici islamici hanno quasi sempre affiliazioni internazionali, così dietro a questi conflitti si nascondono sempre interessi di alcune potenze mediorientali e non che giocano a scacchi. 

Siria, Libano, Iraq, Yemen e Gaza sono il campo di battaglia di uno scontro per procura tra Iran da una parte e Arabia Saudita, Israele, Emirati e Stati Uniti dall’altra, con la Russia che riesce ad essere amica sia dell’Iran che di Israele e la Turchia di Erdogan, che gioca una partita tutta sua, neo ottomana. Anche la Francia, almeno in Libia e Libano gioca la sua partita.

Nel Sinai egiziano, in Somalia, Sudan e Libia, i conflitti vedono invece l’Arabia Saudita, gli Emirati e l’Egitto, contrapporsi alla Turchia e al Qatar, anche qui con la Russia e gli Stati Uniti che sono anch’essi della partita. 

Ogni volta che la società civile di un paese mediorientale tenta di ribellarsi alla corruzione dei politici o gli islamisti o una delle potenze dell’area gioca la sua partita, avvelenando i pozzi delle proteste, per strappare all’avversario (o non perdere) il controllo di un paese. 

Il Libano non fa eccezione. Quando il governo di unità nazionale del primo ministro Hariri si è dimesso, sotto la pressione popolare, non è nato un governo delle forze riformiste. Anzi, invece di formare un governo lontano dalle logiche settarie e spartitorie del passato, come richiesto dalla società civile, l’Iran e la Siria hanno preso il sopravvento sul paese. Il Libano si è trovato infatti con un governo controllato dal partito sciita Hezbollah. Il primo governo non di unità nazionale del paese è stato possibile, nonostante la costituzione libanese preveda un primo ministro sunnita, grazie alla divisione del fronte cristiano, con i partiti vicini al presidente cristiano Michel Aoun che hanno sostenuto il governo di Hezbollah e grazie a un politico sunnita, Hassan Diab, che è stato eletto primo ministro senza il sostegno dei partiti sunniti. 

Questa mossa dell’Iran e della Siria ha consolidato la cosiddetta mezzaluna sciita, cioè il controllo che Teheran cerca di avere sull’Iraq, Yemen, Siria e Libano. Questo, oltre che scontentare i libanesi, che si sentono colonizzati dall’Iran, ha anche causato la contromossa degli americani e dei sauditi. 

Infatti, di fronte a una crisi del debito statale sempre più pesante, i mercati internazionali che avevano sempre chiuso gli occhi sulla corruzione e sull’incapacità dei politici – perché il Libano era troppo importante da un punto di vista geopolitico – questa volta non hanno più sostenuto il paese e il nuovo governo è stato costretto ad annunciare che non poteva più pagare il debito pubblico.

Anche il dollaro, che era la seconda moneta nazionale, ha cominciato a scarseggiare, mentre la lira libanese si è svalutata sempre di più. Le banche libanesi, un tempo fiore all’occhiello del paese, hanno congelato il denaro dei correntisti, che non solo possono prendere pochi soldi al giorno, ma non li possono fare uscire dal paese. 

È in questo scenario che è piombata sul Libano anche la crisi del coronavirus che ha peggiorato una situazione già gravissima e ha rafforzato il malcontento popolare.

L’Iran ha chiaramente paura delle proteste popolari che chiedono la sostituzione della classe politica settaria e confessionale libanese, con una laica che rappresenti tutte le religioni e le culture libanesi, ecco perché ha giocato la carta del governo in solitudine, insieme all’altro partito sciita Amal e i cristiani che appoggiano il presidente Aoun. Soprattutto dopo che ha capito che il fronte di Saad Hariri, formato dai sunniti e da una buona parte dei cristiani, era più sensibile alle richieste popolari e non era più disposto a formare un governo.

Nonostante la crisi del coronavirus, il malcontento popolare non si è attenuato, anzi è aumentato. 

È in questo quadro che arriva l’esplosione del porto di Beirut che ha devastato vaste aree del centro storico e molta parte dei quartieri popolari cristiani. Un’esplosione avvenuta in un deposito del porto in cui da anni era stoccato del nitrato di ammonio sequestrato da una nave di cui non si è mai accertato il proprietario. 

Al di là dei risultati che darà l’indagine interna libanese, che non gode della fiducia popolare, alcuni libanesi hanno da subito indicato Hezbollah come il mandante di un possibile attentato o quanto meno come responsabile di un incidente dopo che aveva stoccato in modo insicuro il nitrato di ammonio da utilizzare in Siria o in altri contesti.

Alcuni indizi portano su questa strada. Il nitrato di ammonio è una sostanza “double use”, viene usato in agricoltura, ma anche per attentati. Per questo è molto ricercato dai terroristi che tentano di comprarlo fingendo usi agricoli e poi lo trasformano in esplosivo. Esponenti di Hezbollah all’estero da anni vengono arrestati o accusati per compravendite di nitrato di ammonio. 

Inoltre, tutti sanno che Hezbollah, oltre a controllare l’aeroporto, controlla in parte anche il porto. In Libano è noto che le ispezioni al porto vengono fatte solo sulle merci dei cittadini non affiliati a qualche partito politico: se si fa parte di un gruppo settario, si riesce a far entrare di tutto e senza alcun controllo. Questo vale per tutto, dalle singole merci, evadendo così il fisco, fino alle armi.

Inoltre, l’esplosione ha creato quasi 300 mila sfollati senza più una casa abitabile nel breve periodo. In gran parte cristiani e sunniti. E questo in un paese in cui la società civile, appartenente ogni fede o laica, già è abituata a emigrare in massa.

Il tutto in un momento in cui i cittadini stanno mettendo in discussione il sistema settario che governa il paese dalla fine della guerra civile e alla vigilia della sentenza per l’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri, padre di Saad Hariri, premier fino all’autunno del 2019. Uccisione di cui sono sospettati il governo siriano e Hezbollah. 

Conoscendo i veleni che avvelenano i pozzi mediorientali, non si può non interrogarsi su queste teorie da strategia della tensione. 

Hezbollah nega e altri osservatori immaginano altri intrighi geopolitici. È difficile però che una giuria in Libano possa accertare la verità. Quello che è accaduto dopo, tuttavia, non ha favorito Hezbollah ed i suoi alleati cristiani. La rabbia popolare, soprattutto tra i cristiani e i sunniti è stata così forte che il presidente cristiano Aoun non ha potuto più sostenere il governo in coalizione con Hezbollah; lo stesso hanno fatto altri parlamentari provenienti da altri gruppi settari. Il governo è così caduto. Anche la comunità internazionale, Francia in primis, si è mobilitata, per paura che la gente lasciasse il paese e che il multiculturalismo libanese sparisse sotto il gioco colonizzatore di Hezbollah. Ovviamente vi sono anche interessi geostrategici americani, israeliani, francesi e sauditi che spingeranno per la marginalizzazione di Hezbollah e del suo tentativo strisciante di esportare in Libano la Repubblica Islamica iraniana. 

La società civile libanese, proveniente da tutti i gruppi culturali e religiosi, si è sostituita allo Stato, per ospitare le persone che hanno perso la casa. Anche se nel lungo termine, se si vuole evitare un’emigrazione di massa di giovani, laici e borghesia proveniente da tutti i gruppi culturali, bisognerà pensare alla ricostruzione e a governi vicini ai cittadini che protestano. 

L’Iran gioca la carta delle armi nelle mani di Hezbollah e quella demografica visto che gli sciiti tradizionalmente sono più poveri e fanno più figli. Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita giocano la carta economica e del commercio internazionale, facendo comprendere ai libanesi, storicamente banchieri e commercianti, che se scelgono l’Iran, non potranno più commerciare a livello internazionale e il paese non potrà più finanziarsi sul mercato. La società civile, la più debole da un punto di vista geopolitico, tenta di fermare l’emigrazione dal paese scommettendo sulla stanchezza e sulla rabbia dei cittadini contro il sistema politico settario, sulla voglia di laicità e neutralità dello stato che, in modo trasversale ai gruppi religiosi, hanno i giovani.  La società civile deve però stare attenta a non cascare in tutte quelle trappole che le potenze regionali e internazionali e i gruppi islamisti tenderanno loro per inquinare i pozzi e giocare le loro partite geopolitiche.

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