Luca Zipoli
Visto al Globe di Roma

Le tristezze dell’amore

Andrea Baracco, mettendo in scena "I due gentiluomini di Verona" di William Shakespeare con gli allievi dell'Accademia Silvio D'Amico, ha posto l'accento sul lato drammatico del testo. Un apologo sulle intermittenze dell'amicizia

«Chi, in amore, rispetta l’amicizia?». Si potrebbe riassumere con questo verso della commedia (atto V scena IV) il dilemma morale da cui scaturiscono I due gentiluomini di Verona di Shakespeare, che mettono in scena il difficile equilibrio tra eros e filìa, tra rispetto degli amici e diritto alla soddisfazione sentimentale personale. Valentino e Proteo, amici fin dall’infanzia, convivono pacificamente a Verona nella loro diversità di carattere, libero e avventuroso il primo, languido e tormentato il secondo, che è preda di un folle amore per Giulia. Ritrovatisi entrambi a Milano, i due finiscono per innamorarsi entrambi di Silvia, la figlia del Duca, e, pur di ottenere la sua mano, Proteo non esiterà a dimenticare il suo primo amore e a consegnare l’amico a una rovina che solo il lieto fine in extremis riuscirà a scongiurare. Commedia giovanile di Shakespeare, l’opera appare già matura in tutte le sue sfaccettature drammaturgiche, e ha goduto nel tempo di una discreta popolarità, anche se lontana da quella dei drammi “maggiori” del Bardo. Proprio la storia dei giovani veronesi, ad esempio, fu scelta, nell’agosto 1996, per inaugurare il nuovo Globe Theatre di Londra, ricostruito nel quartiere di Southwark sul modello di quello originario (del futuro di questo teatro abbiamo recentemente parlato sulle nostre pagine).

Da un Globe a un altro, in questa fine d’agosto I due gentiluomini di Verona sono tornati sul palco del Silvano Toti Globe Theatre di Roma che, grazie alla direzione artistica di Gigi Proietti, è riuscito a mantenere una ricca stagione anche in questa estate inedita, contraddistinta dalla pandemia di covid-19 ancora in corso. La pièce mancava al teatro di Villa Borghese dal luglio 2010, quando, con la regia di Francesco Sala, fu scelta per inaugurare quella stagione estiva. Quest’anno al timone dello spettacolo c’è Andrea Baracco, che ha all’attivo un lungo curriculum di regie shakespeariane, e che in questo caso recupera un paio di elementi della prima produzione (l’adattamento del testo di Vincenzo Cerami e le musiche di
Nicola Piovani), per inserirli in un allestimento del tutto originale. Lo spettacolo, co-prodotto dal Teatro di Roma, vede protagonisti gli allievi attori e registi del III anno di corso dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, aprendo una collaborazione fruttuosa fra le più importanti realtà teatrali della città eterna.

La regia di Andrea Baracco offre una lettura chiaroscurale del testo, in cui dominano i toni cupi più che quelli comici, e in cui più che ridere degli intrecci della commedia si riflette sulla tensione generata dalle passioni contrapposte. La cifra dell’allestimento è data dalla presenza, in un angolo della scena, dall’inizio alla fine, della triste figura di Eglamur, il servo di Silvia rimasto vedovo e che ha giurato fedeltà eterna alla tomba dell’amata, cui rimane ancorato per tutta la durata dello spettacolo. Il personaggio, che nel testo è secondario, diviene visivamente protagonista del dramma e, con il suo manto nero unito a ombrello e guanti dello stesso colore, allunga un’atmosfera lugubre alle vicende rappresentate e offre un controcanto tragico alle disinvolte peripezie amorose di Proteo. I costumi e le scene sono a cura di Marta Crisolini Malatesta, e se i primi privilegiano tonalità livide, in linea con l’impostazione registica più tetra che ironica, le seconde sono improntate a un minimalismo in grado di mettere in risalto le dinamiche dei personaggi e i pochi significativi oggetti di scena (la tomba di Eglamur, le lettere degli amanti, le spade dei masnadieri…). Per immaginare gli altri oggetti materiali che mancano, giungono in soccorso – originalmente – due lavagne in fondo alla scena, su cui gli attori silenti disegnano con il gesso ciò di cui stanno parlando gli altri personaggi. Menzione doverosa meritano, infine, le musiche del Premio Oscar Nicola Piovani, che risultano efficaci tanto nel sottolineare la tensione crescente del dramma quanto nel stemperarla in pezzi d’assieme che cantano i drammi d’amore con maggiore leggerezza e autoironia.

Sul piano recitativo, la performance dei giovani attori è stata di alto livello e il cast ha saputo mantenere un ritmo serrato e una grande coordinazione per tutte le due ore dello spettacolo. Lorenzo Ciambrelli ha restituito in maniera convincente la metamorfosi di Proteo da dolente innamorato a spergiuro ingannatore, così come nel Valentino di Vincenzo Grassi era ben delineata la progressiva emersione dei sintomi del “mal d’amore”. Non da meno sono stati i ruoli femminili di Adele Cammarata (Silvia) e Carlotta Gamba (Giulia), quest’ultima in grado di passare con disinvoltura dal ruolo della giovane innamorata al suo travestimento al maschile come paggio. Particolarmente apprezzati sono stati, infine, i due ruoli più marcatamente comici del testo, il servo Lanciotto di Marco Fanizzi, che lo ha reso quasi patetico attraverso una recitazione balbuziente e piagnucolante,e il fool Fulmine di Luca Nencetti, che lo ha arricchito di sorprendenti movimenti di scena acrobatici.

La sala, piena – salvo i posti lasciati vuoti per rispettare il distanziamento –, ha accolto con favore la rilettura di questo dramma shakespeariano dopo dieci anni di assenza e non sono mancati diversi applausi a scena aperta. La produzione ha avuto il merito di far risuonare in tutta la sua complessità, e senza mascherarla attraverso il filtro distanziante dell’ironia, quella dialettica tra amore e amicizia, tra fedeltà e desiderio, così lucidamente delineata da Shakespeare nella sua indagine dell’animo umano.

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