Alberto Fraccacreta
A proposito di “L’anima o niente”

Parole dall’anima

La raccolta poetica di Salvatore Ritrovato insegue lo spirito di Petrarca. Questa "filiazione” contribuisce a creare una crescente atmosfera di trascendenza dell’amore in cerca della “donna delle ricordanza”

Diceva John Donne che «i misteri dell’amore crescono nelle anime, e tuttavia il corpo è il suo libro». Una silloge che mette in campo i sentimenti, essendo lei stessa corpo (non soltanto nel senso di corpus poeticum), è destinata a mostrare le pieghe e l’ombra dell’anima quale autorivelazione del soggetto lirico. Per questo motivo appare importante la duplice connotazione del titolo del nuovo libro di Salvatore Ritrovato, L’anima o niente (Il Vicolo, pp. 48, € 14): da un lato si compie la domanda d’amore posta dal destinatario femminile che assume il carattere dell’irremeabilità e segna un discrimine categorico nell’incontro, quasi incarni sin dalle prime battute l’inesorabilità della scelta e il piano superiore d’elezione («Iniziò con te il secondo tempo della mia vita/ ma tutto quello che oggi per me vorrei è portarti via/ da un limbo di sogni e farti entrare in una poesia»; «Quel giorno credevo non sarebbe mai venuto/ quando mi hai detto “voglio la tua anima”», Un pomeriggio); dall’altro è lo stesso io-scrivente a mostrarsi dentro il corpo del libro, a dar luogo ai pensieri più riposti, testimoniando nell’intercalare di forme chiuse (madrigale, sonetto, sonetto elisabettiano) e libere, la sua completa aderenza, fedeltà alla petrarchesca vita vissuta — e riabbozzata — attraverso l’infallibile lente della poesia («Questa mattina una poesia dopo tanto tempo/ leggo nel libro che stiamo vivendo», Una poesia dopo tanto tempo).

Ecco allora che i numerosi riferimenti in sottotraccia accompagnano Ritrovato nella ricerca esistenziale del tu e funzionano anche come perfetto scandaglio del sé: Petrarca appunto, Montale citato in esergo, Rudel, Stefano Protonotaro, Sereni, Marziale, Nerval, Verlaine. Riferimenti che puntellano, non appesantiscono il verso e, anzi, contribuiscono a creare la crescente atmosfera di trascendenza dell’amore nel punto più fragile della sua parabola: la donna delle ricordanze (una sorta di ineffabile Nerina) ritorna con il suo senhal (le «lucciole») a indicare la via futura, con funzione quindi odigitria, di savia accompagnatrice («ma nessuno sapeva cosa succedeva dalle tue parti/ quando mi hai annunciato “Le lucciole sono arrivate”.// Arrivano con la stagione e l’aria che rinfresca/ leggère piccole anime luminose/ radendo le spighe d’oro che si piegano nel tuo nome/ mentre io siedo qui a lèggere ogni mattone/ della dimora che custodisce la bellezza delle cose», Cercando l’ispirazione).

Donna-guida legata a tracce angeliche («È l’angelo custode quando rassetta le ali/ e le spolvera in quella leggerissima materia che sfuma», Per una piuma), eppure segnata da un atteggiamento dimesso e quotidiano (Uova fresche) che presenta la musa alla luce della sua presenza empirica, della de-sacralizzazione di una «caduca forma». Ciò rende possibile uno svolgimento del romanzo amoroso in senso provenzale: il bel vezers si rituffa nell’hic et nunc e gli impedimenti occorsi tra l’io poetico e il destinatario sono parte di una venture tracciata con precisione sin dall’inizio, il cui snodo metaforico è da ravvisarsi nell’immagine della «macchina in panne». Doppia valenza del femminino (angelico e reale), progressione nella storia a mo’ di canzoniere: due caratteristiche che riassumono per grandi linee le tensioni essenziali della tradizione europea.

Il rimembrare — inteso anche evangelicamente — è dunque una diversa forma di riannodare la presenza dell’altro nella ricognizione del proprio esistere. Da tale punto di vista è fondamentale, in alcuni interstizi dell’opera, il dono dell’ombra, ossia il mescolarsi delle reciproche personalità in gesti consueti tali da far rinascere o soltanto lasciarsi rivivere nel destinatario quale dispensatore agapico dell’intero suo essere («Dovunque vada, a dare senso al corpo che mi porta/ è l’ombra che tu mi restituisci», Attraversando l’ombra). Il dono dell’ombra, il dono di sé, l’unio mystica degli amanti (persino in amor de lohn) sono temi presenti in alcune liriche degli Ossi di seppia (in particolare quelle dedicate a Crisalide) e sarebbe utile un confronto. Certo è che il sacrificio dell’anima non è ovviamente vissuto con significato faustiano, ma prende appunto la forma di una libera scelta in un’ottica di servizio, di accoglienza, di umile abbassamento. Devotamente l’io lirico si riconosce nel chiarore del femminino («Nei tuoi occhi va e viene una luce/ che solo le lucciole conoscono», Pensiero d’estate), e l’unica possibilità di sopravvivenza del potente barbaglio è l’offerta del poeta nell’Oltre, indistinto e vagheggiato («In questo luogo caro sentiamo l’uno fatto per l’altro:/ oltre non è possibile andare, perché l’Oltre/ non è che il fulgore di un volo alto e lontano/ il lampo di un sogno che il destino ci promette e ci toglie», Vieni oltre). Spostare su un altro piano il colloquio, senza dinieghi o ripensamenti: questa è la più forte funzione della poesia, qui pienamente assolta. E tutto il resto «merita un saluto./ Tra porte e finestre ormai chiuse davanti al temporale/ è più facile confondere notte e giorno, l’eternità e un minuto».

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