Massimo Morasca *
Le nuove frontiere della conoscenza medica

La base dell’arcobaleno

Occorre familiarizzare col concetto di Medicina Integrata, che guarda l’essere umano come un intero e che agisce utilizzando un insieme di saperi e di reti di collaborazione per afferrare la complessità dell’esperienza di malattia e delle possibilità di cura. Tanto più in tempi di pandemia

«I problemi importanti sono sempre complessi e vanno affrontati globalmente. Se voglio comprendere la personalità di un individuo, non posso ridurla a pochi tratti schematici. Devo necessariamente tenere conto di molte sfumature, spesso contraddittorie […] la realtà è complessa e piena di contraddizioni che sono una sfida alla conoscenza. Per affrontare tale complessità, non basta semplicemente giustapporre frammenti di saperi diversi. Occorre trovare il modo per farli interagire all’interno di una nuova prospettiva».

Questa affermazione del filosofo e sociologo francese Edgar Morin ci aiuta a entrare nel concetto di Medicina Integrata, una medicina che guarda l’essere umano come un intero,ed è essa stessa una medicina integra, in tutte le sue parti, quelle che attengono alla conoscenza, ma anche al fare, al sapere, all’essere, alla scienza, all’arte, al corpo, alla mente e alle relazioni complesse che si stabiliscono tra tutte queste componenti. Una nuova prospettiva quindi, multidimensionale, dell’approccio terapeutico al paziente, che ha come obiettivo una medicina centrata sulla persona, che deve tenere conto non solo del sintomo, ma anche del contesto in cui si sviluppa, delle istanze che la persona porta dentro di sé, della sua biografia e delle sue emozioni.

I sistemi complessi non possono venire indagati a partire dalle classiche metafore meccanicistiche lineari, e cioè come catene sia pur molto lunghe e ramificate di cause e di effetti. La rassicurante geometria Euclidea continua ancora oggi a influenzare il pensiero scientifico medico ma ormai è certo che un sistema può essere definito come un insieme di elementi liberi di agire in modo tale da non risultare prevedibile, ma strettamente interconnessi, così che ogni azione agita da parte di uno di essi modifica il sistema e di conseguenza le azioni di tutti gli altri. La dinamica di strutture di questo tipo non è quindi ordinatamente lineare ma circolare e multidirezionale, talora ai limiti del caos: essa risulta di conseguenza largamente imprevedibile. Ad esempio il sistema immunitario è un sistema complesso biologico, anche la famiglia è un sistema complesso.

Il medico di oggi – così come ogni altro professionista sanitario – non è immerso nella complessità più di quanto lo fosse il medico di cinquant’anni fa: semplicemente oggi gli elementi in gioco sono molto più numerosi, si muovono più rapidamente e, soprattutto, sono inseriti in un contesto ad alta densità informativa.

Alla luce di questa concezione unitaria dell’uomo come persona, e dei saperi che lo studiano, occorre ricordare che, nell’affrontare una qualsivoglia patologia, è opportuno distinguere la sua classificazione o normatività che nel mondo anglosassone è chiamata disease, il suo impatto sul nostro vissuto illness, ovvero come ognuno di noi risponde nella sua irripetibile biografia alla patologia che lo investe, come la rimodella nei suoi vissuti e nei suoi agiti e, infine, le sue ricadute o determinazioni sociali sicknessSickness, ovvero le relazioni sociali della malattia, non è più un termine generico che si riferisce alla patologia e/o all’esperienza di malattia. È quindi un processo per la socializzazione della patologia (disease) e dell’esperienza di malattia (illness).

La psicologia e la medicina hanno percorso strade parallele senza quasi mai incrociarsi per tutto il secolo scorso. Per il medico attribuire a un cosiddetto disturbo psicosomatico la causa di una strana sindrome riferita dal paziente rappresenta una sconfitta più che una vittoria, mentre per lo psicologo accettare che una situazione di stress cronico sia in grado di determinare una malattia organica si traduce nella perdita quasi certa di un contatto con quel determinato paziente. Pochi e illuminati specialisti si sono resi conto che l’approccio moderno a tutta una serie di patologie cosiddette funzionali e non solo richiede un’integrazione tra le due visioni e filosofie, uno sforzo di reciproca umiltà e un forte senso di collaborazione.

In medicina sta emergendo la consapevolezza che il corpo umano non è una macchina e il suo malfunzionamento non può essere analizzato solo scomponendo il sistema nelle sue parti e considerando isolatamente ciascuna di esse. Né la malattia né il comportamento umano sono prevedibili e neppure possono essere modellati con un semplice sistema basato sui rapporti di causa-effetto. Riprendendo le parole di E.O. Wilson, padre della biodiversita: «La più grande sfida oggi, non solo in biologia cellulare e in ecologia, ma in tutta la scienza, è l’accurata e completa descrizione dei sistemi complessi». Gli scienziati hanno scomposto molti sistemi in piccoli pezzi. Essi pensano di conoscerne la maggior parte degli elementi e delle forze. Il prossimo compito sarà quindi quello di riassemblarli, almeno nei modelli matematici che catturano le proprietà chiave di interi insiemi, vale a dire connessioni, nodi e hubs o nodi portanti. Un fenomeno complesso si adatta all’ambiente e lavora per adattare a sé l’ambiente. E ciò che definiamo ambiente è spesso un’altra moltitudine di fenomeni complessi. La non linearità di questi fenomeni è tale che nel loro funzionamento e nel loro sviluppo si comportano come se i loro effetti fossero la causa delle loro cause.

In Medicina Integrata la relazione terapeutica tra medico e paziente assume quindi grande importanza, perché soltanto da una buona e corretta relazione il medico può trarre le informazioni necessarie per comprendere quel paziente e migliorare la qualità del suo intervento terapeutico. Ogni azione di cura pone il medico davanti a una rete di relazioni e di emozioni, cioè a un sistema complesso, che come tale non può essere compiutamente descritto ma solo narrato. È evidente che il sintomo, e a maggior ragione la malattia, non si limitano per il paziente al fenomeno biologico descritto dalla diagnosi clinica, ma costituiscono un problema infinitamente più complesso, che coinvolge aspetti cognitivi, emotivi, relazionali, progettuali. Indipensabile quindi che il medico attui un ascolto attivo ed empatico nel tentativo di cogliere tutte le sfumature che costituiscono il puzzle della complessità del paziente.

Le competenze comunicative e narrative e, più ampiamente, le cosiddette medical humanities sono praticamente assenti dalla formazione dei professionisti sanitari in Italia, ma questo non significa che non ne venga avvertita la mancanza: la loro fondamentale importanza nella relazione con il malato emerge da domande e da riflessioni che tutti i professionisti pongono innanzi tutto a se stessi nel percorso di cura e che circolano nei momenti di confronto e di aggiornamento, sempre più spesso dedicati agli aspetti relazionali e narrativi della medicina. Lo strumento per avviare questa esplorazione del mondo del paziente in modo non casuale, e per mantenerla nell’ambito e negli obiettivi dell’intervento di cura, è la Medicina Narrativa.

Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) «si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale che considera la narrazione come uno strumento fondamentale di acquisizione e comprensione della pluralità di prospettive che intervengono nell’evento-malattia, finalizzata a un’adeguata rilevazione della storia della malattia che, mediante la costruzione condivisa di una possibile trama alternativa, consenta la definizione e la realizzazione di un percorso di cura efficace, appropriato e condiviso» . (Definizione dell’Istituto Superiore di Sanità – 2014). La medicina narrativa è al tempo stesso un atteggiamento e uno strumento che il professionista sanitario dovrebbe saper utilizzare quotidianamente nell’intervento di cura.

Ma per intervenire con competenza in quel sistema complesso rappresentato dal paziente è necessario da parte del medico un cambio di paradigma nella sua formazione, come si accennava prima a proposito delle medical humanities, lo sviluppo cioè di un ascolto attivo, di maggiore empatia, di un’intelligenza intuitiva, della capacità di gestire la relazione con il paziente con partecipazione, senza rimanerne schiacciati, tutte istanze che necessitano di un’adeguata formazione. Fondamentale a questo proposito, ad esempio, è lo sviluppo del cosiddetto Pensiero laterale. Descritto da Edward De Bono, medico e psicologo maltese, il Pensiero laterale si distingue dal Pensiero verticale, ovvero dalla metodologia classica che tutti utilizziamo, derivante dall’educazione tradizionale e caposaldo del pensiero scientifico. Bono ha analizzato l’importanza dell’utilizzo dell’intuizione e della fantasia all’interno di ogni disciplina e gli ha dato questo nome. Il Pensiero laterale non si contrappone al Pensiero verticale ma lo affianca e completa.

«Il pensiero laterale non è un surrogato del pensiero verticale. Entrambi sono necessari e sono complementari. Il pensiero laterale è produttivo. Il pensiero verticale è selettivo». L’utilizzo dell’intuizione, della creatività e della fantasia non vanno considerati a sé, ma come completamento dei modelli tradizionali. Il Pensiero laterale va favorito proprio allo scopo di avviare un pensiero intuitivo che non si lasci bloccare dai modelli stereotipati su cui siamo abituati a ragionare. Lo sviluppo di questo pensiero è necessario nella medicina narrativa, che è al tempo stesso un atteggiamento e uno strumento che il professionista sanitario dovrebbe saper utilizzare quotidianamente nell’intervento di cura per realizzare la Medicina Integrata. Che infatti non esclude nessun tipo di intervento: ritiene utile la farmacologia e la chirurgia, ma integra anche fitoterapia, omeopatia, antroposofia, microimmunoterapia, la medicina tradizionale cinese, le cosiddette medicine non-convenzionali o tradizionali o complementari (sono tutti sinonimi) che hanno avuto larga diffusione in Italia e nel mondo.

Secondo la Dr.ssa Matgarth Chan, già Direttore generale dell’Oms, la medicina tradizionale «rappresenta nel mondo o il cardine dell’assistenza sanitaria o il suo complemento», essa è presente in quasi tutti i Paesi del mondo e la domanda per poterne fruire è crescente. Tanto per avere un’idea, il rapporto Eurispes 2019 afferma che l’omeopatia è la seconda medicina più diffusa al mondo, precisamente in 80 paesi, con 600 milioni di utilizzatori in crescita costante ogni anno. L’Oms riporta che i medici che utilizzano l’omeopatia nel mondo sono oltre 500 mila; in Europa sono 130 milioni i pazienti che la utilizzano circa il 29% della popolazione e 50 mila i medici che la prescrivono. Il valore cruciale delle medicine non convenzionali, insieme anche alla scienza dell’alimentazione e della probiotica, è quello di migliorare la perfomance reattiva del sistema immunitario e quindi svolgere un’azione di prevenzione primaria, quanto mai importante in questo momento nel quale siamo sottoposti a uno sciame virale imponente. In Cina per migliorare la risposta immunitaria al Covid 19 è stata utilizzata ufficialmente anche la medicina tradizionale cinese, in India l’omeopatia.

In conclusione un approccio medico integrato si avvale di un insieme di saperi e di reti di collaborazione in psicologia e in psicoterapia, oltre a tutte le discipline a mediazione corporea (fisioterapia, osteopatia, qigong, meditazione, yoga e così via), all’utilizzo delle medicine non-convenzionali, perché ha come obiettivo una medicina centrata sulla persona, che deve tenere conto non solo del sintomo, ma anche del contesto in cui si sviluppa, delle istanze che la persona porta dentro di sé, della sua biografia e delle sue emozioni. Questa definizione tutt’altro che esaustiva, è in realtà un punto di partenza. Lo studio, la ricerca, in medicina sembrano non finire mai. Più si avanza, più l’obiettivo appare lontano.È come cercare la base di un arcobaleno, studio e pratica consistono nella ricerca stessa. Recita un Aiku: «Più la si cerca,/ più si allontana/ la base dell’arcobaleno».

* Massimo Morasca è Medico Pediatra

Cenni bibliografici
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De Bono Edward, “Il pensiero laterale” Superbur benessere, 2000
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