Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Storie di figli e padri

Da un lato i padri perduti di Giorgio Ghiotti, dall'altra i figli ritrovati di Jenny Erpenbeck e di Enrico Luceri: tre romanzi che raccontano la difficoltà di rapportarsi con la generazione che ci precede

Il padre. Il racconto della quotidianità può essere banale, e molto. Non lo è se è occasione per sondare caratteri, situazioni, emozioni. È il caso di Giorgio Ghiotti (romano, classe 1994), autore di una serie di racconti intitolati Gli occhi vuoti dei santi (Hacca editore, 187 pg., 15 euro). Si chiede che anno fosse quello della morte del padre («Senza barba sembra un bambino»), confessa di avere timore di chi muore in casa e pensa che «morire è uno schifo», e si ripromette di trattenere un ricordo «che lo renda speciale». Ricorda di quando era bambino e il padre si mette a quattro zampe facendo il giro di tutta la casa per farlo divertire.

Si susseguono memorie affettuose, strazianti e anche comiche. Nel racconto Noi due, il protagonista quarantenne parla della moglie, di quando la osservava mezza nuda sul letto. Un giorno le dice: «Quando ridi mi fai innamorare. Non del tuo sorriso, perché non è affatto bello e ridi in modo buffo, stranissimo, che tutti si girano. Di te. E poi mi fa innamorare il pensiero che tu possa ridere a causa mia… mi fa sentire intelligente e pieno di argomenti». La prosa di Ghiotti è svelta e acuta, ci prende per mano evitandoci inutili scorciatoie anche quando ti chiedi dove voglia andare a parare.

La ragazzina. Viene trovata in strada con un secchio in mano. Poco più di una bambina, viene soccorsa da chi però non ha alcuna risposta sul suo passato. Ha un corpo sgraziato, è senza identità, è priva intenzioni palesi e ignora la sua provenienza. Allora la portano in un orfanatrofio dove si unisce agli altri scolari, ciascuno dei quali ha un numero al posto del nome. Si dipana quindi la vicenda di una “diversa” e l’autrice, la tedesca Jenny Erpenbeck (vincitrice di premi importanti), mostra tutta la sua competenza psicologica nel delineare il disagio, la paura, le piccole gioie di un essere che potrebbe raffigurato e interpretato come un’allegoria, a metà tra la patologia e la fiaba. La narrazione è secca, penetrante e lontana da qualsiasi facile pedagogismo. Il libro, edito da Sellerio e s’intitola Storia della bambina che volle fermare il tempo (119 pg., 12 euro). Facilmente è fatta bersaglio di scherzi e di lievi brutalità, «la bambina sa che il suo corpo è una colpa, è desiderosa di espiare questa colpa e perciò obbedisce puntigliosamente agli ordini dei suoi compagni di scuola». È capace di commuoversi al racconto di una storia, ma anche di ridere e allora mostra i denti perché osserva le bocche degli altri. Sa di essere impedita nei movimenti e nei sentimenti, ma non nutre rancore. Lei è «una specie di paralisi». Di evidente ha soltanto la volontà di «mettere tra parentesi la vita».

L’inganno. Lettura da consigliare a chi ama Agatha Christie e tutti i suoi epigoni, ma anche una certa filmografia horror, in primis le prime opere al nero di Pupi Avati. È lo stesso autore, Enrico Luceri (Il vizio del diavolo, Oltre edizioni, 227 pg., 14 euro), che lo confessa nella postfazione, con abbondanza di riferimenti. Il perno di questa claustrofobica vicenda è l’angoscia, che poi si fa minaccia, paura, mistero sempre più fitto. Il racconto noir s’inizia con la descrizione della quattordicenne Corinna che di notte vaga tra la vegetazione, la nebbia che attorniano un’antica dimora adibita a convento-scuola. È tempo di vacanze natalizie, Corinna, orfana di madre e di padre ignoto, si trova senza compagni. E’ una ribelle, si muove tra mille tormenti e ha in odio le due suore che sono rimaste tra le spesse mura. Giungono, in mezzo a una tormenta che sembra non avere fine, due elementi importanti: un pacco dono contenente dolci natalizi e un sedicente frate (padre Wurth) che ha come scopo un’indagine particolare sulla madre di Corinna, che dopo aver insegnato in quel collegio muore. La donna proveniva da Roma, e padre Wurth, domenicano dai tratti inquisitori cerca negli archivi la documentazione relativa a un delitto, oscuro e mai risolto, avvenuto nella Capitale e ha a che fare con la madre della ragazza. Una suora viene avvelenata da un dolce cosparso di topicida. Si avvisa la guardia medica e arriva l’affabile dottor Bonelli che con un ematico riesce a salvarla. Ma per poco, visto che qualcuno (ma chi?) la soffoca con un cuscino. Ipotesi, sospetti, accuse, dubbie identità e un passato tenuto nascosto s’intrecciano vorticosamente, dato che la morte violenta s’aggira silenziosa e subdola. Qual è il volto del diavolo che, come recita il titolo, ha la sconvolgente abilità dell’inganno?

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