Nicola Bottiglieri
Le ragioni di un rito

Piazza San Pietro

La benedizione di Papa Francesco, che ha impressionato tutti per la sua potenza simbolica, è stata un richiamo a vivere il futuro in modo diverso da come lo abbiamo immaginato fin qui. Senza più mettere in conflitto scienza e religione

«Ci siamo trovati impauriti e smarriti, siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa, ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca tutti fragili e disorientati ma allo stesso tempo importanti e necessari. Tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti, tutti. Non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».

Alle ore 18 del giorno 27 marzo 2020, Papa Francesco in piazza San Pietro deserta ha iniziato una cerimonia religiosa spartana, inquietante, trasmessa in tutto il mondo. Dopo la recitazione cantata di un passo del Vangelo di San Marco, dopo la lettura di un testo scritto, a metà strada fra preghiera, predica e “documento politico” il papa si è seduto su una poltrona ed ha fissato in silenzio, per più di cinque, sei, forse dieci minuti l’ostia consacrata contenuta in un ostensorio con dei raggi d’oro fitti e pungenti. Durante quei minuti, l’ostia è sembrata un grande occhio bianco, senza pupilla, con palpebre e ciglia d’oro che guardava il mondo intero. Non è stato difficile, in quei momenti, vedere le ombre della morte sfiorare la punta delle nostre dita. Poi la camera ha fatto una zumata sull’ostensorio, ed ha interpretato tutti gli sguardi del mondo che dicevano: «Signore, le nostre anime sono nude, le parole si sono svuotate di senso, il mondo può diventare un cimitero». In quel momento, se un astronauta avesse guardato in basso, sulla Terra avrebbe visto una sorgente di nera luce gorgogliare in mezzo al colonnato di Piazza San Pietro.

Durante quel brusio di palpebre e silenzi ho capito che il Papa non era solo il capo della Chiesa di Roma, ma stava diventando il leader morale del mondo, la guida di una umanità sofferente. La benedizione al mondo intero ha stemperato l’angoscia e noi siamo tornati alle nostre paure chiedendoci passerà l’epidemia dopo quella cerimonia? Saranno state giuste le preghiere? Ma davvero non sappiamo come uscirne? Gesù farà il miracolo?

Se quella di Piazza San Pietro è stata una cerimonia religiosa, i “laici sacerdoti” della medicina  ci indicano tutti i giorni un altro cammino verso la speranza: quarantena rigorosa per tre, quattro mesi e vaccinazione di massa quando la “pozione magica” sarà pronta, rendendoci invisibili al nemico. Nel frattempo, lunghe “litanie” recitate in televisione, grandi fotografie dei laboratori di ricerca sui giornali, immensi passaparola su Facebook ed altri social, catene di sant’Antonio di filmati, clip e fotografie  su WhatsApp. Il giorno in cui uno di questi “cardinali di Esculapio” ci comunicherà che il vaccino è disponibile, dimenticheremo le suggestioni della cerimonia di Piazza San Pietro e guarderemo al “farmaco” risolutore come all’ennesimo miracolo della scienza che è più potente e veloce dell’occhio di pane e sangue che nasconde il corpo di Gesù.

Se questo è lo scenario, ossia che il miracolo della scienza sconfiggerà il miracolo della fede, perché abbiamo seguito con commozione quella cerimonia a Piazza San Pietro? Ha avuto senso farla? Non bastava restare rinchiusi nelle case in attesa della pozione magica?

Per rispondere a queste domande, per non trasformare due percorsi diversi  e paralleli in un conflitto fra scienza e fede, bisogna rileggere le parole del Papa. Il quale si chiede se questa pandemia sia uno dei tanti terremoti che sono avvenuti nella storia dell’Occidente, oppure che il virus ha fatto la radiografia alla società globalizzata e ci ha fatto scoprire la sua fragilità.

Quando dice che «Abbracciare la croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare» egli sa che è in atto una corsa spasmodica da parte di 20 laboratori sparsi nel mondo che stanno studiando come produrre il vaccino e che il paese che lo produrrà per primo, lo metterà sotto brevetto e acquisterà una potenza politica ed economica formidabile, mentre il Presidente di quel paese diventerà il croupier di questa immensa roulette russa che è diventato il mondo moderno.

Quando dice che bisogna «trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà» egli sa che le società ricche si chiuderanno ancora di più nel loro benessere, creando due forme di umanità nella quale alcuni popoli compreranno la loro vita dagli altri, come fanno i contadini che ogni anno devono comprare le sementi geneticamente modificate dalle Multinazionali se vogliono produrre raccolti abbondanti.

Insomma ha parlato da “cattolico” ossia da uomo universale che guarda al mondo nella sua globalità e non da politico che vuole allearsi con il paese che prima di ogni altro sarà capace di produrre il vaccino risolutore.

Naturalmente nessuno ha in mano le chiavi per aprire le porte alla società del futuro e per questo egli si è «messo in cammino» ossia è uscito dalla fortezza del Vaticano ed ha camminato per la città con ogni bassi e passi incerti il 16 marzo. La cerimonia di Piazza San Pietro è il naturale prosieguo della passeggiata fatta in Via del Corso undici giorni prima. E la benedizione con l’ostensorio ha voluto essere l’inizio di un percorso che si aprirà su molte strade quando davvero avremo il vaccino.

Se nel frattempo Gesù vuol darci una mano, scioglieremo le campane di Pasqua con più allegria!

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