Nicola Fano
La scomparsa di un magnifico attore

Per Sergio Fantoni

Da Visconti a Ronconi a Strehler, passando per Hollywood: la parabola di Sergio Fantoni è stata quella di un grande interprete dotato di misura, altruismo ed eleganza. Perché prima di tutto è stato un uomo speciale

Sergio Fantoni era un attore, un magnifico attore per formazione, cultura e vocazione. È morto nel pomeriggio di venerdì in seguito a uno stupido incidente domestico, aveva 89 anni, ne avrebbe chiusi novanta la prossima estate. Chiunque abbia amato il teatro dagli anni Sessanta del secolo scorso in poi lo ricorderà bello e carismatico: mai una parola di troppo in scena, mai un gesto fuori posto; sobrio nelle passioni, convincente negli amori smodati. Lo vidi per la prima volta in Minna von Barnhelm di Lessing con la regìa di Strehler al Piccolo di Milano (1982, nella foto sotto) e rimasi rapito per la misura con la quale riusciva a interpretare un personaggio onesto, trasparente ma disarmante che si fa abbindolare da una giovane intraprendente (in scena era Andrea Jonasson): forse non era lo spettacolo migliore di Strehler, ma Sergio Fantoni reggeva perfettamente (e da solo) il disegno illuminista di Lessing (e di Strehler) che puntava a rappresentare l’emendabilità della borghesia “buona”.

Molti anni dopo ho avuto il privilegio di costruire con lui e con Gioele Dix un fortunato spettacolo su Garibaldi ed ebbi modo di approfondire la meraviglia della sua umanità rara. Nel mezzo, c’era stata una malattia alle corde vocali che lo aveva strappato dalle scene e lo aveva costretto nel ruolo di regista; che esercitò sempre mettendosi al servizio dell’attore, della sua libertà. A teatro devono succedere cose, mi diceva sempre, seduto sul divano bianco di una sua assurda villetta marinara: è l’unica legge dalla quale non si può prescindere.

Era figlio d’arte e tutta la sua vita ha dedicato al teatro, ma qualcuno, forse, di Sergio Fantoni – uomo dal fascino fuori dal comune – ricorderà una stravagante fiammata hollywoodiana nel pieno degli anni Sessanta (con Mark Robson o Blake Edwards) quando si fece la fama del bello latino. Ne parlava con affetto e divertimento, ma senza prendersi troppo sul serio: l’autoironia e il distacco erano la sua misura abituale. Eppure avrebbe potuto vantare eccezionali esperienze con i maestri del teatro e del cinema italiano, da Ronconi (che in pratica tenne a battesimo ne I lunatici, 1966) a Strehler, appunto, fino a Luchino Visconti (recitò in Senso, 1954). Poi fu tra i protagonisti della straordinaria stagione del teatro cooperativistico degli anni Settanta e quindi della scoperta della nuova drammaturgia italiana (fu uno dei mentori di Manlio Santanelli, fin dagli anni Ottanta) insieme con gli impresari Mauro Carbonoli e Fioravante Cozzaglio (che tempi, quelli!).

Sergio era un uomo dolce e sapiente, il suo unico “difetto” (per così dire) era l’altruismo, dote decisamente inusuale per un attore. Pesava le parole e le dispensava con saggia parsimonia: sovente, nel lavoro e nella vita sociale, i suoi silenzi avevano più peso delle sue affermazioni. Non gli piaceva la televisione, che pure aveva frequentato con grande successo (da Anna Karenina a un cammeo in un Montalbano) proprio perché era troppo ridondante e spesso banalizzava le parole, che invece per lui erano un tesoro. Perciò il suo vero, più travolgente amore era il teatro. Quanto gli venne diagnosticata la malattia che gli avrebbe tolto la voce, non si perse d’animo e accetto di progettare una messinscena di Ultimo nastro di Krapp di Beckett curata da Cristina Pezzoli: prima dell’operazione che gli avrebbe tolto le corde vocali, registrò i nastri di Krapp e dopo, molto dopo, li portò in scena commentandoli con quel filo di voce che il destino gli aveva lasciato. Chi altri avrebbe celebrato, in quelle condizioni, un tale rito d’amore per il teatro?

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Molti e bei ricordi personali mi restano di Sergio Fantoni. Tutti mi hanno fatto ricco: quando mi chiese di emendare un ignobile copione (ne era perfettamente cosciente) di un autore che sarebbe diventato di gran moda; quando mi insegnò a cucinare il risotto ai gamberoni; quando mi spiegò che l’amore non ha un’età di riferimento. Tutti li porterò con me nel suo nome. Ringraziandolo.

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